padre Gian Franco Scarpitta " Offrire e riprendere"
Giovedì Santo (Messa in Cena Domini) (02/04/2015)
Vangelo: Gv 13,1-15
Nessuno mi toglie la vita, ma la offro da me stesso, perché ho il potere di offrirla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo comando ho ricevuto dal Padre mio" (Gv 10, 17-18)
Con queste parole Gesù, fomentando lo sdegno e l'inimicizia dei Giudei che tenteranno di ucciderlo, afferma la sua comunione intima con il Padre che avviene nello Spirito Santo: lui è infatti Dio assieme alle altre Due Persone. Lo Spirito Santo fa in modo che fra lui e il Padre vi sia identità piena e quindi anche eternità e
uguaglianza sostanziale. Nel mistero dell'incarnazione però, nonostante tutte le sue prerogative di divinità, Gesù si fa Figlio dell'Uomo. Si sottomette alla volontà stessa del Padre. Diventa obbediente e subordinato nonostante egli sia Dio e nonostante proclami a tutti, rivendicandola come cosa certa, la sua divinità per mezzo di parole e di opere. Gesù si proclama, in quanto Dio fatto uomo, "la via, la verità e la vita", il "pane vivo disceso dal cielo", l'"acqua che zampilla per la vita eterna" e con queste similitudini (logia) afferma di se stesso la divinità incontrastata. Nonostante tutto questo, egli però non manifesta gelosia e altezzosità per in fatto di essere Dio, ma come afferma Paolo "ha spogliato se stesso, facendosi obbediente, fino alla morte e alla morte di croce." (Fil 2, 1 - 6).
Nonostante abbia potere indiscusso come Re dell'Universo, si protende, da uomo fra gli uomini, in concreti atti di umiltà e di mansuetudine che si traducono in ineluttabili opere di amore nelle quali mostra di essere Dio che concede se stesso agli uomini.
Le opere di misericordia dimostrano infatti che il Regno di Dio è amore, pace e giustizia.
Ma l'obbedienza piena di Gesù alla volontà del Padre per amore dell'uomo avviene nello "scandalo della croce". In esso avviene la manifestazione totale dell'amore di Dio, anzi la manifestazione totale che Dio è Amore. La croce rivela definitivamente il vero Dio e Signore, che la divinità è donazione e che la gloria del Signore è l'uomo vivente. Jungel affermerà infatti che sulla croce sarà lo stesso Dio "per intero" (Padre, Figlio e Spirito Santo) a donare la vita agli uomini: non il solo Figlio che è Verbo fatto Carne, ma nella consustanzialità anche il Padre e lo Spirito Santo (quest'ultimo fra l'altro emesso (consegnato) da Gesù al Padre nell'atto dello spirare). In Cristo è proprio Dio che consegna se stesso all'uomo, il Dio che i filosofi cercano come a tentoni per vie traverse della razionalità, il Dio che i Giudei tentano di concepire a furia di miracoli e di prodigi, il Dio che in altre religioni si cerca per mezzo della meditazione, dell'autotrascendenza e nel quale qualsiasi soggetto umano aspirerebbe a credere. Il Dio di tutta l'umanità passata, presente e futura è proprio il Dio Gesù Cristo appeso sulla croce.
Proprio in quanto Uomo e in quanto Dio, Cristo ha il potere di offrire la vita e di riprenderla di nuovo. Attenzione: non dice "ho il potere di togliere (ad altri) la vita e di riprenderla di nuovo", ma di "offrire la mia vita e di riprenderla di nuovo", cioè di concedere se stesso in sacrificio e in libagione per tutti. La morte che Gesù patirà sarà infatti salvezza per tutti, perché il su sacrificio espierà i peccati dell'umanità intera, renderà tutti gli uomini giustificati, cioè resi degni di ottenere meriti davanti a Dio e pagherà il prezzo del riscatto universale. Morendo Gesù da' quindi sollievo all'umanità intera e per questo mi sovviene riportare un preziosissimo passo della Regola del Terz'Ordine dei Minimi, quanto alla partecipazione alla Messa. Così si esprime San Francesco di Paola: "...parteciperete con attenzione alla Santa Messa, affinché, corroborati in modo salutare dalla dolorosa passione di Cristo che si rinnova in essa, vi conserviate forti e saldi nell'osservanza dei comandamenti di Dio. Vi suggeriamo anche di supplicare con devozione, durante la Messa, che la morte preziosa di Cristo diventi vita per voi, il suo dolore vostra medicina e la sua fatica riposo che nulla potrà distruggere." La passione di Gesù è nostro farmaco di immortalità e la sua morte è quindi è per noi vita; infatti se Cristo non fosse morto, non avrebbe potuto darci la vita. E l'amore di Dio risiede proprio in questo: egli morendo per noi in Cristo ci ha comunicato la vita sanandoci da tutte le infermità che il peccato comporta. E quale più grande atto di amore se non quello di dare la morte per gli altri? Se poi si offre la vita per i peccatori, allora l'amore diventa ancora più eloquente, perché si trasforma in amore per i nemici e assume connotati di eroismo e per ciò stesso è indubbio e categorico: "Infatti, quando eravamo ancora deboli, nel tempo stabilito Cristo morì per gli empi. Ora, a stento qualcuno è disposto a morire per un giusto; forse qualcuno oserebbe morire per una persona buona. "Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi." (Rm 5, 6 - 8)
A proposito della Messa, è proprio in questa circostanza cruciale della Cena di commiato, consumata nella sala predisposta a Gerusalemme, che Gesù si dona espressamente ai suoi discepoli e attraverso questi al mondo intero, riaffermando così il proprio amore inequivocabile.
Spezzando il pane, egli comunica di "dividere se stesso" in parti uguali ai suoi, di donare inesorabilmente la propria vita rendendosi egli stesso cibo per noi. Nelle parole sul pane e sul vino, non soltanto egli anticipa quanto sta per affrontare di lì a poco; non solamente rende tangibile attraverso i segni sacramentali il sacrificio che lo attende per il riscatto di tutti, ma invita tutti a mangiare di sé: il suo stesso corpo e il suo stesso Sangue. "Questo è il mio Corpo" significa infatti ""Questo sono io" e d'altra parte aveva invitato categoricamente a mangiare la sua carne e a bere il suo sangue per la vita. Nella celebrazione dell'Eucarestia avviene infatti che il sacrificio di Cristo sulla croce ci viene ripresentato come attuale in quella celebrazione che definiamo "memoriale", ossia il ricordo unito ad "anamnesi". E gli effetti di questo sacrificio sono quelli sopra elencati: il suo dolore guarisce le nostre ferite come farmaco di immortalità, la sua morte diventa per noi vita eterna e nella sua fatica noi troviamo sollievo.
La donazione che Gesù fa di se stesso in quella sera così triste e desolata per i suoi discepoli assume poi una pedagogia di concretezza in un atto semplice eppure a dir poco eroico, anche ai nostri gironi, inverosimile: chinarsi davanti a ciascuno dei discepoli per lavare i loro piedi. Un gesto che non necessita di spiegazioni né di delucidazioni, ma che si commenta da se stesso e spiega nei dettagli che l'amore di coloro che sono in Cristo dev'essere per l'appunto eroico e decisivo, capace di straordinarietà e di illimitata disposizione per gli altri. Non si chiede in effetti, con un simile gesto, di essere disposti ad effondere il proprio sangue, né a privarsi o a sacrificare se stessi su ciò che si ritiene prezioso, ma semplicemente di servirci a vicenda gli uni gli altri perfino negli atti più impensabili e per certuni anche ignobili. Dio, che dona se stesso fino al sacrificio del sangue chiede innanzitutto, prima ancora che diamo il nostro sangue, di dare la nostra stessa vita per gli altri e di fare questo in ciò che viene rappresentato in concreti atti ora rappresentati da un pediluvio: gesti forse banali e ridicoli eppure di grande portata universale.
"Offrire" e "riprendere" per Gesù è un continuo donare, anche quando la sua vita verrà "ripresa" perché la resurrezione sarà anch'essa un dono di vita piena e indefinita. In Cristo l'Amore di Dio si concretizza nel Dono. A differenza che un premio, che si ottiene solamente per merito e in conseguenza di lotte e sacrifici, il dono viene dato a piene mani immeritatamente, senza riserve e a volte inaspettatamente e con effetto sorpresa. Tale è l'esternarsi dell'Amore universale di Dio in Cristo: il farsi Dono per noi peccatori nell'incarnazione, nelle opere e nella morte di croce per la risurrezione. L'offrire se stesso perché anche noi offriamo vicendevolmente noi stessi.
Vangelo: Gv 13,1-15
Nessuno mi toglie la vita, ma la offro da me stesso, perché ho il potere di offrirla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo comando ho ricevuto dal Padre mio" (Gv 10, 17-18)
Con queste parole Gesù, fomentando lo sdegno e l'inimicizia dei Giudei che tenteranno di ucciderlo, afferma la sua comunione intima con il Padre che avviene nello Spirito Santo: lui è infatti Dio assieme alle altre Due Persone. Lo Spirito Santo fa in modo che fra lui e il Padre vi sia identità piena e quindi anche eternità e
uguaglianza sostanziale. Nel mistero dell'incarnazione però, nonostante tutte le sue prerogative di divinità, Gesù si fa Figlio dell'Uomo. Si sottomette alla volontà stessa del Padre. Diventa obbediente e subordinato nonostante egli sia Dio e nonostante proclami a tutti, rivendicandola come cosa certa, la sua divinità per mezzo di parole e di opere. Gesù si proclama, in quanto Dio fatto uomo, "la via, la verità e la vita", il "pane vivo disceso dal cielo", l'"acqua che zampilla per la vita eterna" e con queste similitudini (logia) afferma di se stesso la divinità incontrastata. Nonostante tutto questo, egli però non manifesta gelosia e altezzosità per in fatto di essere Dio, ma come afferma Paolo "ha spogliato se stesso, facendosi obbediente, fino alla morte e alla morte di croce." (Fil 2, 1 - 6).
Nonostante abbia potere indiscusso come Re dell'Universo, si protende, da uomo fra gli uomini, in concreti atti di umiltà e di mansuetudine che si traducono in ineluttabili opere di amore nelle quali mostra di essere Dio che concede se stesso agli uomini.
Le opere di misericordia dimostrano infatti che il Regno di Dio è amore, pace e giustizia.
Ma l'obbedienza piena di Gesù alla volontà del Padre per amore dell'uomo avviene nello "scandalo della croce". In esso avviene la manifestazione totale dell'amore di Dio, anzi la manifestazione totale che Dio è Amore. La croce rivela definitivamente il vero Dio e Signore, che la divinità è donazione e che la gloria del Signore è l'uomo vivente. Jungel affermerà infatti che sulla croce sarà lo stesso Dio "per intero" (Padre, Figlio e Spirito Santo) a donare la vita agli uomini: non il solo Figlio che è Verbo fatto Carne, ma nella consustanzialità anche il Padre e lo Spirito Santo (quest'ultimo fra l'altro emesso (consegnato) da Gesù al Padre nell'atto dello spirare). In Cristo è proprio Dio che consegna se stesso all'uomo, il Dio che i filosofi cercano come a tentoni per vie traverse della razionalità, il Dio che i Giudei tentano di concepire a furia di miracoli e di prodigi, il Dio che in altre religioni si cerca per mezzo della meditazione, dell'autotrascendenza e nel quale qualsiasi soggetto umano aspirerebbe a credere. Il Dio di tutta l'umanità passata, presente e futura è proprio il Dio Gesù Cristo appeso sulla croce.
Proprio in quanto Uomo e in quanto Dio, Cristo ha il potere di offrire la vita e di riprenderla di nuovo. Attenzione: non dice "ho il potere di togliere (ad altri) la vita e di riprenderla di nuovo", ma di "offrire la mia vita e di riprenderla di nuovo", cioè di concedere se stesso in sacrificio e in libagione per tutti. La morte che Gesù patirà sarà infatti salvezza per tutti, perché il su sacrificio espierà i peccati dell'umanità intera, renderà tutti gli uomini giustificati, cioè resi degni di ottenere meriti davanti a Dio e pagherà il prezzo del riscatto universale. Morendo Gesù da' quindi sollievo all'umanità intera e per questo mi sovviene riportare un preziosissimo passo della Regola del Terz'Ordine dei Minimi, quanto alla partecipazione alla Messa. Così si esprime San Francesco di Paola: "...parteciperete con attenzione alla Santa Messa, affinché, corroborati in modo salutare dalla dolorosa passione di Cristo che si rinnova in essa, vi conserviate forti e saldi nell'osservanza dei comandamenti di Dio. Vi suggeriamo anche di supplicare con devozione, durante la Messa, che la morte preziosa di Cristo diventi vita per voi, il suo dolore vostra medicina e la sua fatica riposo che nulla potrà distruggere." La passione di Gesù è nostro farmaco di immortalità e la sua morte è quindi è per noi vita; infatti se Cristo non fosse morto, non avrebbe potuto darci la vita. E l'amore di Dio risiede proprio in questo: egli morendo per noi in Cristo ci ha comunicato la vita sanandoci da tutte le infermità che il peccato comporta. E quale più grande atto di amore se non quello di dare la morte per gli altri? Se poi si offre la vita per i peccatori, allora l'amore diventa ancora più eloquente, perché si trasforma in amore per i nemici e assume connotati di eroismo e per ciò stesso è indubbio e categorico: "Infatti, quando eravamo ancora deboli, nel tempo stabilito Cristo morì per gli empi. Ora, a stento qualcuno è disposto a morire per un giusto; forse qualcuno oserebbe morire per una persona buona. "Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi." (Rm 5, 6 - 8)
A proposito della Messa, è proprio in questa circostanza cruciale della Cena di commiato, consumata nella sala predisposta a Gerusalemme, che Gesù si dona espressamente ai suoi discepoli e attraverso questi al mondo intero, riaffermando così il proprio amore inequivocabile.
Spezzando il pane, egli comunica di "dividere se stesso" in parti uguali ai suoi, di donare inesorabilmente la propria vita rendendosi egli stesso cibo per noi. Nelle parole sul pane e sul vino, non soltanto egli anticipa quanto sta per affrontare di lì a poco; non solamente rende tangibile attraverso i segni sacramentali il sacrificio che lo attende per il riscatto di tutti, ma invita tutti a mangiare di sé: il suo stesso corpo e il suo stesso Sangue. "Questo è il mio Corpo" significa infatti ""Questo sono io" e d'altra parte aveva invitato categoricamente a mangiare la sua carne e a bere il suo sangue per la vita. Nella celebrazione dell'Eucarestia avviene infatti che il sacrificio di Cristo sulla croce ci viene ripresentato come attuale in quella celebrazione che definiamo "memoriale", ossia il ricordo unito ad "anamnesi". E gli effetti di questo sacrificio sono quelli sopra elencati: il suo dolore guarisce le nostre ferite come farmaco di immortalità, la sua morte diventa per noi vita eterna e nella sua fatica noi troviamo sollievo.
La donazione che Gesù fa di se stesso in quella sera così triste e desolata per i suoi discepoli assume poi una pedagogia di concretezza in un atto semplice eppure a dir poco eroico, anche ai nostri gironi, inverosimile: chinarsi davanti a ciascuno dei discepoli per lavare i loro piedi. Un gesto che non necessita di spiegazioni né di delucidazioni, ma che si commenta da se stesso e spiega nei dettagli che l'amore di coloro che sono in Cristo dev'essere per l'appunto eroico e decisivo, capace di straordinarietà e di illimitata disposizione per gli altri. Non si chiede in effetti, con un simile gesto, di essere disposti ad effondere il proprio sangue, né a privarsi o a sacrificare se stessi su ciò che si ritiene prezioso, ma semplicemente di servirci a vicenda gli uni gli altri perfino negli atti più impensabili e per certuni anche ignobili. Dio, che dona se stesso fino al sacrificio del sangue chiede innanzitutto, prima ancora che diamo il nostro sangue, di dare la nostra stessa vita per gli altri e di fare questo in ciò che viene rappresentato in concreti atti ora rappresentati da un pediluvio: gesti forse banali e ridicoli eppure di grande portata universale.
"Offrire" e "riprendere" per Gesù è un continuo donare, anche quando la sua vita verrà "ripresa" perché la resurrezione sarà anch'essa un dono di vita piena e indefinita. In Cristo l'Amore di Dio si concretizza nel Dono. A differenza che un premio, che si ottiene solamente per merito e in conseguenza di lotte e sacrifici, il dono viene dato a piene mani immeritatamente, senza riserve e a volte inaspettatamente e con effetto sorpresa. Tale è l'esternarsi dell'Amore universale di Dio in Cristo: il farsi Dono per noi peccatori nell'incarnazione, nelle opere e nella morte di croce per la risurrezione. L'offrire se stesso perché anche noi offriamo vicendevolmente noi stessi.
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