DON PAOLO ZAMENGO SDB "Sei la terra e la vigna "

  V Domenica di Pasqua (B)  Gv 15, 1-8
La differenza tra un deserto e un giardino non è l’acqua ma l’uomo. Non siamo sulla terra a custodire un museo, ma a coltivare un giardino fiorente, destinato a una splendida primavera. Lo spazio cui ci richiama l'immagine della vigna non è quello dell'aria chiusa e pesante, bensì quello dell'aria aperta, delle vigne assolate e
rigogliose di Israele, nate, quasi d'incanto, per miracolo, in una terra arida.
Ebbene Gesù, con il simbolismo della vigna, si ricollega all’immagine più volte evocata nell'Antico Testamento, dove la storia della vigna descrive e racconta con insistenza il rapporto tra Dio e il suo popolo, un rapporto, sul versante di Dio, fatto di cure, di premure, di tenerezza per la sua vigna, un rapporto, sul versante dell’uomo, seminato, a volte, purtroppo, di indifferenza o anche di rifiuto.
Ma c'è di più. Nel Vangelo di Giovanni, Gesù attribuisce a se stesso l'immagine della vite. "Io sono la vite, voi i tralci". Possiamo dire che con il Battesimo è avvenuto un innesto: noi, rami in qualche misura selvatici, innestati alla vite che ha la pienezza della primavera. È questo l’invito di Gesù: dobbiamo custodire l'innesto, averne cura, perché́ senza questa comunicazione con lui e il suo Vangelo, si interrompe il flusso della linfa,  e,  fatalmente, noi rinsecchiamo.
Rami secchi! E questa del rinsecchirsi è la cosa che ci preoccupa di più - più dell'invecchiare negli anni - l'invecchiare, l'inaridirsi, il rinsecchirsi, l'ammuffire, il morire dello Spirito.
Quale è la condizione perché questo non avvenga? La condizione è ricordata senz'ombra di equivoci da Gesù: "Rimanete in me". Custodite l'innesto.  Per sette volte in questi otto versetti di Vangelo ritorna il verbo "rimanere": "Se rimanete", "se non rimanete", "chi rimane", "chi non rimane"... e così via, sette volte. Il verbo "rimanere" è una parola cara a Giovanni. Perché  dice intimità. Dice appartenenza.
Che cosa significa rimanere nell'altro e l'altro in me?  Lo possono raccontare solo coloro che fanno un'esperienza di amore: "Ora te ne vai, ma tu rimani in me". Che cosa significa rimanere in Gesù, rimanere nella vite? Significa che il suo mondo, il mondo di Gesù, è diventato il mio mondo, è l'aria che respiro, è la linfa che pulsa e genera sussulti di nascita anche in questo ramo apparentemente secco, rinsecchito o morto che sono io.
Questo vuol dire rimanere in Gesù, rimanere nella vite. Custodire questo innesto è il nostro impegno, la nostra cura: custodire il nostro innesto e quello degli altri. Questo è il compito che ci attende nella vigna di Dio che è la Chiesa.
A volte invece sembra che la preoccupazione sia quella di tagliare i rami secchi e di bruciarli. Posso sbagliarmi, ma penso che non ci voglia una grande arte né una grande intelligenza per tagliare e per bruciare i rami secchi.
L'arte e l'intelligenza dello Spirito stanno invece nel creare un innesto o nel custodirlo, nel fasciare, come diceva Gesù, il punto debole della vite. Anche la Chiesa delle origini stentava a credere nei nuovi innesti. Stentava a credere che Dio avesse fatto giungere la linfa luminosa a Paolo di Tarso. E ci volle Barnaba, ci volle tutta la forza del suo animo a convincerli che Dio ha strade infinite e che anche la strada di Damasco può essere strada di cambiamento.
Bisogna aprire gli occhi e contemplare ciò che sta germogliando. Barnaba, uomo della vigna, uomo degli innesti. E noi, nella comunità, non a custodire un museo, ma a coltivare un giardino! La differenza tra un deserto e un giardino non è l’acqua ma l’uomo.

Commenti

Post più popolari