Luca Desserafino sdb "IL SUO AMORE E' PER SEMPRE"
12 Aprile 2015 | 2a Domenica di Pasqua - Anno B | Omelia
Otto giorni fa, abbiamo celebrato la vittoria di Gesù Cristo sulla morte. Abbiamo meditato sulla vicenda storica del Figlio di Dio, vicenda non lontana, ma attuale nella quale anche noi oggi veniamo compresi.
Lungo tutta questa settimana di ottavario della Pasqua, la liturgia ci ha proposto la lettura delle apparizioni di Gesù. Oggi Egli appare ancora ai Dodici, a coloro che sono stati partecipi della sua vita e della vicenda tragica degli ultimi giorni.
Il brano del Vangelo di Giovanni, ascoltato, inizia proprio così: "La sera di quel giorno, il primo della settimana". La cornice che inquadra quest'evento è proprio la continuazione del giorno di Pasqua che, come tale, è il "primo della settimana".
Alla sera di questo giorno, mentre tutti erano barricati a porte chiuse, per paura, ecco che Gesù irrompe improvvisamente nella stanza, si ferma con loro e, augurando la pace, se ne fa portatore.
Allo stupore e smarrimento dei presenti Gesù s'identifica mostrando le sue piaghe. A testimonianza che colui che hanno di fronte è proprio il Mastro, l'amato, colui che è stato crocifisso. Tra di loro, però, manca all'appello solo Tommaso. Giovanni non dice dove egli sia o cosa stesse facendo, ci rileva soltanto la sua assenza dal gruppo.
Questa mancanza fa si che egli quando si unisce ai Dodici venga a conoscenza del fatto loro accaduto, di come Gesù sia venuto e intrattenuto con loro. Impossibile, per Tommaso che incredulo "sfida" la fede dei suoi compagni.
Otto giorni dopo, ecco accadere lo stesso avvenimento, unico particolare: c'è anche Tommaso. Gesù viene e dialoga con Tommaso, lo invita a credergli e a certificare la fede degli altri Apostoli, mostrando le sue piaghe, come già aveva fatto otto giorni prima. L'incredulità di Tommaso diventa fede certa, di fronte a questi segni non ci possono essere dubbi, è veramente Gesù.
Siamo anche noi come Tommaso. Anche noi vogliamo toccare, vogliamo vedere, ci è difficile credere sulla parola di qualcun'altro. Non c'è da rimproverare Tommaso per la sua incertezza nel credere. Piuttosto bisogna rimproverare la nostra poca fede, ora.
Anche noi oggi, infatti, possiamo toccare e vedere il Risorto. Ogni volta che nella nostra vita ci lasciamo plasmare dall'Amore, ogni volta che ci accostiamo ai Sacramenti, ogni volta che facciamo della nostra vita un dono, come lo è stato per Gesù, allora anche noi tocchiamo e vediamo Gesù, ci rendiamo suoi fedeli testimoni.
Il nostro credere, fondato sulla fede di Gesù, ci è trasmesso dalla fede degli Apostoli e dei loro successori, ma anche dalla testimonianza di tutta la Chiesa.
L'amore di Dio è l'amore del Crocifisso risorto, la Trinità possiede i segni della passione, essi non vengono tolti con la risurrezione, ma vengono ricompresi alla luce dell'amore e risignificati, da segni di morte diventano segni di vita.
Renderci consapevoli di questo fatto, ci rende forti nelle nostre piccole o grandi sofferenze, ci rende capaci di non chiuderci in uno sterile pianto o in farisaiche imprecazioni, ma di guardare alla vita con la speranza del Risorto.
Giovanni termina questo brano evangelico ricordandoci che "Gesù fece molti altri segni, che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome".
La fede nella Parola di Dio è per noi oggi una testimonianza vera e compiuta, senza nulla togliere a ciò che più sopra dicevamo.
Il credere alla Parola ci spinge sempre più alla fede nel Risorto, e questa ci porta alla pienezza della vita; a testimoniare la sensatezza di un amore che si dona fino alla morte, e che superata la morte stessa, è frutto duraturo di vita nuova e beata, che ha radici nel presente.
Luca Desserafino sdb
Otto giorni fa, abbiamo celebrato la vittoria di Gesù Cristo sulla morte. Abbiamo meditato sulla vicenda storica del Figlio di Dio, vicenda non lontana, ma attuale nella quale anche noi oggi veniamo compresi.
Lungo tutta questa settimana di ottavario della Pasqua, la liturgia ci ha proposto la lettura delle apparizioni di Gesù. Oggi Egli appare ancora ai Dodici, a coloro che sono stati partecipi della sua vita e della vicenda tragica degli ultimi giorni.
Il brano del Vangelo di Giovanni, ascoltato, inizia proprio così: "La sera di quel giorno, il primo della settimana". La cornice che inquadra quest'evento è proprio la continuazione del giorno di Pasqua che, come tale, è il "primo della settimana".
Alla sera di questo giorno, mentre tutti erano barricati a porte chiuse, per paura, ecco che Gesù irrompe improvvisamente nella stanza, si ferma con loro e, augurando la pace, se ne fa portatore.
Allo stupore e smarrimento dei presenti Gesù s'identifica mostrando le sue piaghe. A testimonianza che colui che hanno di fronte è proprio il Mastro, l'amato, colui che è stato crocifisso. Tra di loro, però, manca all'appello solo Tommaso. Giovanni non dice dove egli sia o cosa stesse facendo, ci rileva soltanto la sua assenza dal gruppo.
Questa mancanza fa si che egli quando si unisce ai Dodici venga a conoscenza del fatto loro accaduto, di come Gesù sia venuto e intrattenuto con loro. Impossibile, per Tommaso che incredulo "sfida" la fede dei suoi compagni.
Otto giorni dopo, ecco accadere lo stesso avvenimento, unico particolare: c'è anche Tommaso. Gesù viene e dialoga con Tommaso, lo invita a credergli e a certificare la fede degli altri Apostoli, mostrando le sue piaghe, come già aveva fatto otto giorni prima. L'incredulità di Tommaso diventa fede certa, di fronte a questi segni non ci possono essere dubbi, è veramente Gesù.
Siamo anche noi come Tommaso. Anche noi vogliamo toccare, vogliamo vedere, ci è difficile credere sulla parola di qualcun'altro. Non c'è da rimproverare Tommaso per la sua incertezza nel credere. Piuttosto bisogna rimproverare la nostra poca fede, ora.
Anche noi oggi, infatti, possiamo toccare e vedere il Risorto. Ogni volta che nella nostra vita ci lasciamo plasmare dall'Amore, ogni volta che ci accostiamo ai Sacramenti, ogni volta che facciamo della nostra vita un dono, come lo è stato per Gesù, allora anche noi tocchiamo e vediamo Gesù, ci rendiamo suoi fedeli testimoni.
Il nostro credere, fondato sulla fede di Gesù, ci è trasmesso dalla fede degli Apostoli e dei loro successori, ma anche dalla testimonianza di tutta la Chiesa.
L'amore di Dio è l'amore del Crocifisso risorto, la Trinità possiede i segni della passione, essi non vengono tolti con la risurrezione, ma vengono ricompresi alla luce dell'amore e risignificati, da segni di morte diventano segni di vita.
Renderci consapevoli di questo fatto, ci rende forti nelle nostre piccole o grandi sofferenze, ci rende capaci di non chiuderci in uno sterile pianto o in farisaiche imprecazioni, ma di guardare alla vita con la speranza del Risorto.
Giovanni termina questo brano evangelico ricordandoci che "Gesù fece molti altri segni, che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome".
La fede nella Parola di Dio è per noi oggi una testimonianza vera e compiuta, senza nulla togliere a ciò che più sopra dicevamo.
Il credere alla Parola ci spinge sempre più alla fede nel Risorto, e questa ci porta alla pienezza della vita; a testimoniare la sensatezza di un amore che si dona fino alla morte, e che superata la morte stessa, è frutto duraturo di vita nuova e beata, che ha radici nel presente.
Luca Desserafino sdb
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