Monastero di Ruviano p. Fabrizio Cristarella Orestano "VIA DI SALVEZZA"

Gesù buon pastore, icona (Monastero di Ruviano
At 4, 8-12; Sal 117; 1Gv 3, 1-2; Gv 10, 11-18
C’è una conoscenza che passa da Dio al mondo, e che dal mondo dovrebbe tornare a Dio. La conoscenza fa il discepolo; il mondo, di contro, è caratterizzato dalla non-conoscenza di Dio! Da questa non-conoscenza nascono tutte le derive del mondo.
Purtroppo, nella predicazione e nella prassi cristiana, da un certo momento in poi si è voluto saltare “a piè pari” la
necessità della conoscenza; e per paure legate all’eresia gnostica, che ad un certo punto parve dilagare, la comunità cristiana cominciò a non parlare più di “gnosis” (cioè,  di “conoscenza”), e a non parlare più della necessaria relazione di conoscenza tra il credente ed il Signore. Nel tempo, si è creato così un cristianesimo in cui si è obliato che per una vera fede, per una vera adesione al Dio dell’Evangelo, è necessaria al primo posto la conoscenza di Lui.
Una conoscenza che certamente non è nè conoscenza intellettuale nè conoscenza filosofica, quella cioè che la gnosis ereticale predicava, ma una conoscenza “penetrativa”, esistenziale, esperienziale! Non si può cioè appartenere al Dio della storia se non si è fatta esperienza storica, concreta, e vitale di Lui. Il Dio della storia è Colui che ha una tale relazione con la storia degli uomini da assumerla definitivamente nell’Incarnazione del Figlio.
La testimonianza apostolica, così come la testimonianza dei padri nella fede di Israele, è testimonianza di un incontro che salva, di un incontro che fonda una conoscenza, la nostra, e si fonda sulla conoscenza che Dio ha di ciascuno di noi.
Non si può essere autenticamente discepoli di Cristo se non si mettono le fondamenta su questa conoscenza.
I testi della Scrittura di questa domenica mi pare che abbiano uno sfondo comune: la conoscenza di Cristo è via di salvezza; ma l’espressione “conoscenza di Cristo“ bisogna intenderla in due direzioni: la conoscenza che Cristo ha di me, e la conoscenza che io posso avere di Lui.
Pietro, nel racconto di Atti che è la prima lettura di oggi, annunzia un nome in cui c’è salvezza: il nome di Gesù, il Crocefisso Risorto. Chi conosce quel nome, chi conosce la sua storia pasquale, può sperimentare la salvezza. Pietro lo dice chiaramente: non ci si può affidare ad altri nomi, ad altre conoscenze: «Non vi è altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati».
Al cuore del passo di Giovanni che oggi si proclama c’è Gesù che si auto-rivela come il Pastore bello, un pastore bello-buono perché capace di fare una cosa straordinaria: dare la vita per le pecore! Un dare la vita che non è però per un tutti indistinto, ma per ognuno: perchè Lui conosce le sue pecore, e questa conoscenza apre alla conoscenza di Lui. Il Quarto Evangelo – come spesso accade! – diventa qui davvero vertiginoso, poiché fa riferimento ad una reciproca conoscenza, calcata sulla conoscenza che il Padre ha del Figlio ed il Figlio ha del Padre.
La comunione trinitaria, la vita trinitaria, è dunque la conoscenza che il Padre ha del Figlio ed il Figlio del Padre; e una conoscenza così è quella a cui sono chiamati coloro che appartengono al gregge del Pastore bello-buono!
Lo sguardo del Pastore si allarga ad ogni uomo, come ci dice Giovanni fin dal secondo capitolo dell’Evangelo: «Egli conosceva ciò che c’è in ogni uomo» (cfr Gv 2, 25); i confini della conoscenza del Pastore sono infatti grandi come quelli dell’umanità: «E ho altre pecore che non sono di quest’ovile; anche queste devo condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore».
L’ascolto genera la conoscenza, e la conoscenza genera l’amore: questa è una via chiara per il discepolato, ed il Quarto Evangelo lo sottolinea con vigore.
La conoscenza spalanca le porte ad un Signore che dona la vita: quando si conosce un Signore così, cosa fare se non aprirgli le porte? Giovanni per ben due volte in questi pochi versetti di questa domenica ci dice che il «Pastore bello offre la vita», ed è questo ciò che lo rende kalòs, cioè bello-buono.
E’ una bellezza strana, una bellezza che non “convince” razionalmente, ma che ci vince! In fondo il mistero pasquale vuole questo: che ci lasciamo vincere da quell’amore tanto oltre ogni nostra immaginazione, oltre ogni logica “convincente”.
Chi riesce a conoscere questa bellezza entra nella novità di vita che è la salvezza!
p. Fabrizio Cristarella Orestano

Commenti

Post più popolari