MONS.Antonio Riboldi “Beati quelli che, pur non avendo visto, crederanno!’”
Omelia del giorno 12 aprile 2015
II Domenica di Pasqua (Anno B)
Ci sono momenti, nella vita, difficili da conciliare con l’idea dell’Amore del Padre, in cui abbiamo riposto la nostra totale fiducia o fede: momenti in cui vacilla o viene meno la nostra fede in Lui, e ricordiamo solo la Morte del Figlio e non la Sua e nostra resurrezione. Sono i
momenti della prova, quando pare che tra noi e Dio sia calata una densa nube, al punto da mettere in dubbio non solo che ci voglia bene, ma addirittura che esista.
Mi è sempre rimasta nel ricordo una scena, subito dopo il terremoto a Santa Ninfa.
Nello smarrimento generale, un uomo, vedendo la sua casa accartocciata come un oggetto da buttare, ebbe un moto di incontenibile rabbia: prese una scarpa e la lanciò contro il cielo, come volesse colpire in faccia Dio stesso. Io stesso, davanti alla Chiesa Madrice, un ammasso di pietre su pietre, guardai verso l’altare, che non c’era più, però custodiva da qualche parte Gesù nel Santissimo Sacramento, e mi uscì dal cuore il lamento: ‘Signore fammi capire come ci vuoi bene’.
In quel momento giunse un giovane: ‘Padre, mamma, papà e le mie due sorelle sono sotto le macerie e credo siano morti’. Era come se Dio mi svegliasse dal ‘sonno della fede’ e mi indicasse dove era... Era là, sotto quelle macerie. Lui era là dove c’era disperazione e morte e occorreva correre a salvare quelli che, diversamente, sarebbero morti. Ma non è facile.
Facile invece è smarrirsi e voltare le spalle alla fede.
Ed è comprensibile, nel dolore, questo smarrimento! Di fronte alle tante tragedie del nostro mondo, che avvengono in tanti modi: dalla tragedia della fame e della miseria, a quella delle insensate guerre o dei rigurgiti di violenza nelle stesse famiglie, a tutti i tipi di sfruttamento, ai massacri brutali dei cristiani a cui ogni giorno assistiamo, che sembrano il ghigno di satana, è facile essere tentati di porsi la stessa domanda: ‘Signore, facci capire dove e come è il tuo amore’.
Proprio il Vangelo di oggi mette in evidenza il dubbio o la incertezza che Dio non sia più tra noi, come fosse morto per sempre...almeno per noi! E lo fa con il racconto di Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Didimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dissero allora gli altri discepoli: ‘Abbiamo visto il Signore!’. Ma egli disse loro: ‘Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò’.
Ma è anche difficile provare la gioia dei discepoli, eppure sono tantissimi i nostri fratelli che sanno affrontare la vita - che a volte mette in difficoltà la fede come in Tommaso - senza abbandonare mai la certezza che verrà il giorno in cui vedremo faccia a faccia Gesù Risorto, risorgendo anche noi.
Non sono solo i primi cristiani, che morivano con il sorriso sulle labbra, perché sapevano di ‘vedere Gesù’, ma ancora oggi, nonostante le tante paure che ci vogliono allontanare dal Risorto, tanti cristiani e tanti martiri cristiani vivono come già appartenenti al Cielo.
Hanno certezze che sembrano ‘bestemmie per il mondo e per i tanti che sono stati schiavizzati o indottrinati dal mondo’. Ma la loro vita è una risposta a Gesù che ci chiede la piena fede, come quella degli apostoli, anche se a volte sentiamo la paura di Pietro o abbiamo l’incertezza di Tommaso.
In questa domenica davvero speciale, ricordiamo le parole pronunciate dal caro S. Giovanni Paolo II, che ispirandosi alle rivelazioni di S. Faustina, l’ha dedicata alla Divina Misericordia:
“’Celebrate il Signore, perché è buono, perché eterna è la Sua Misericordia’. (Salmo 117)
Facciamo nostra l’esclamazione del Salmista! … Vogliamo rendere grazie al Signore per il suo amore, che è più forte della morte e del peccato. Esso si rivela e si attua come misericordia nella nostra quotidiana esistenza e sollecita ogni uomo ad avere a sua volta misericordia verso il Crocifisso. Non è forse proprio amare Dio e amare il prossimo e persino i propri nemici, seguendo l’esempio di Gesù, il programma di ogni battezzato e della Chiesa tutta intera?
Con questi sentimenti celebriamo la seconda domenica di Pasqua, che dal Grande Giubileo è chiamata anche la ‘Domenica della Divina Misericordia’.
E’ davvero un immenso dono del Padre quello di avere compassione per le nostre quotidiane debolezze, che sono offese alla Sua bontà. Ci sarebbe da disperarsi se queste debolezze o peccati non incontrassero un Padre che talmente ci ama, pronto ‘a gettarci le braccia al collo’, solo se...’rientriamo in noi stessi’, prendiamo atto dei nostri peccati e ci abbandoniamo al Suo immediato e totale perdono, che è la grande ed unica nostra vera pace.
Questa domenica ‘Festa della Divina Misericordia’, giustamente, la liturgia della Parola continua a farci vivere il grande dono e mistero e ci mostra Gesù che ‘torna vivo e risorto’ tra i Suoi, che si erano rinchiusi per la paura e temevano che l’orribile onda della persecuzione giungesse fino a loro.
Ma è proprio la paura che determina il ritorno di Gesù tra di loro, come se il Maestro volesse confermare nella fede e nell’amore, quanti aveva scelto, per essere poi Suoi testimoni in tutto il mondo.
Scriveva il caro Paolo VI, nella Pasqua del 1963:
“Il mistero pasquale nel nostro tempo chiede fedeltà che è vera professione di fede … È necessario il ritorno della fiducia (che mancava in Tommaso) che è conseguenza della fede e della speranza. Anche le nostre avversità possono essere da Cristo condotte nel disegno della Sua Provvidenza. Leviamo allora gli occhi dell’anima alla trionfante figura di Cristo e lasciamo che le sue corroboranti parole risuonino oggi nei nostri spiriti: ‘Pace a voi: beati quelli che, pur non avendo visto, crederanno!’”.
Cristo è Risorto! Vivere senza questa certezza ci porta solo a crearci idoli vani, fondamentalismi distruttori o a farci prendere da ogni tipo di paura … di vivere e...di morire!
Antonio Riboldi – Vescovo
II Domenica di Pasqua (Anno B)
Ci sono momenti, nella vita, difficili da conciliare con l’idea dell’Amore del Padre, in cui abbiamo riposto la nostra totale fiducia o fede: momenti in cui vacilla o viene meno la nostra fede in Lui, e ricordiamo solo la Morte del Figlio e non la Sua e nostra resurrezione. Sono i
momenti della prova, quando pare che tra noi e Dio sia calata una densa nube, al punto da mettere in dubbio non solo che ci voglia bene, ma addirittura che esista.
Mi è sempre rimasta nel ricordo una scena, subito dopo il terremoto a Santa Ninfa.
Nello smarrimento generale, un uomo, vedendo la sua casa accartocciata come un oggetto da buttare, ebbe un moto di incontenibile rabbia: prese una scarpa e la lanciò contro il cielo, come volesse colpire in faccia Dio stesso. Io stesso, davanti alla Chiesa Madrice, un ammasso di pietre su pietre, guardai verso l’altare, che non c’era più, però custodiva da qualche parte Gesù nel Santissimo Sacramento, e mi uscì dal cuore il lamento: ‘Signore fammi capire come ci vuoi bene’.
In quel momento giunse un giovane: ‘Padre, mamma, papà e le mie due sorelle sono sotto le macerie e credo siano morti’. Era come se Dio mi svegliasse dal ‘sonno della fede’ e mi indicasse dove era... Era là, sotto quelle macerie. Lui era là dove c’era disperazione e morte e occorreva correre a salvare quelli che, diversamente, sarebbero morti. Ma non è facile.
Facile invece è smarrirsi e voltare le spalle alla fede.
Ed è comprensibile, nel dolore, questo smarrimento! Di fronte alle tante tragedie del nostro mondo, che avvengono in tanti modi: dalla tragedia della fame e della miseria, a quella delle insensate guerre o dei rigurgiti di violenza nelle stesse famiglie, a tutti i tipi di sfruttamento, ai massacri brutali dei cristiani a cui ogni giorno assistiamo, che sembrano il ghigno di satana, è facile essere tentati di porsi la stessa domanda: ‘Signore, facci capire dove e come è il tuo amore’.
Proprio il Vangelo di oggi mette in evidenza il dubbio o la incertezza che Dio non sia più tra noi, come fosse morto per sempre...almeno per noi! E lo fa con il racconto di Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Didimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dissero allora gli altri discepoli: ‘Abbiamo visto il Signore!’. Ma egli disse loro: ‘Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò’.
Ma è anche difficile provare la gioia dei discepoli, eppure sono tantissimi i nostri fratelli che sanno affrontare la vita - che a volte mette in difficoltà la fede come in Tommaso - senza abbandonare mai la certezza che verrà il giorno in cui vedremo faccia a faccia Gesù Risorto, risorgendo anche noi.
Non sono solo i primi cristiani, che morivano con il sorriso sulle labbra, perché sapevano di ‘vedere Gesù’, ma ancora oggi, nonostante le tante paure che ci vogliono allontanare dal Risorto, tanti cristiani e tanti martiri cristiani vivono come già appartenenti al Cielo.
Hanno certezze che sembrano ‘bestemmie per il mondo e per i tanti che sono stati schiavizzati o indottrinati dal mondo’. Ma la loro vita è una risposta a Gesù che ci chiede la piena fede, come quella degli apostoli, anche se a volte sentiamo la paura di Pietro o abbiamo l’incertezza di Tommaso.
In questa domenica davvero speciale, ricordiamo le parole pronunciate dal caro S. Giovanni Paolo II, che ispirandosi alle rivelazioni di S. Faustina, l’ha dedicata alla Divina Misericordia:
“’Celebrate il Signore, perché è buono, perché eterna è la Sua Misericordia’. (Salmo 117)
Facciamo nostra l’esclamazione del Salmista! … Vogliamo rendere grazie al Signore per il suo amore, che è più forte della morte e del peccato. Esso si rivela e si attua come misericordia nella nostra quotidiana esistenza e sollecita ogni uomo ad avere a sua volta misericordia verso il Crocifisso. Non è forse proprio amare Dio e amare il prossimo e persino i propri nemici, seguendo l’esempio di Gesù, il programma di ogni battezzato e della Chiesa tutta intera?
Con questi sentimenti celebriamo la seconda domenica di Pasqua, che dal Grande Giubileo è chiamata anche la ‘Domenica della Divina Misericordia’.
E’ davvero un immenso dono del Padre quello di avere compassione per le nostre quotidiane debolezze, che sono offese alla Sua bontà. Ci sarebbe da disperarsi se queste debolezze o peccati non incontrassero un Padre che talmente ci ama, pronto ‘a gettarci le braccia al collo’, solo se...’rientriamo in noi stessi’, prendiamo atto dei nostri peccati e ci abbandoniamo al Suo immediato e totale perdono, che è la grande ed unica nostra vera pace.
Questa domenica ‘Festa della Divina Misericordia’, giustamente, la liturgia della Parola continua a farci vivere il grande dono e mistero e ci mostra Gesù che ‘torna vivo e risorto’ tra i Suoi, che si erano rinchiusi per la paura e temevano che l’orribile onda della persecuzione giungesse fino a loro.
Ma è proprio la paura che determina il ritorno di Gesù tra di loro, come se il Maestro volesse confermare nella fede e nell’amore, quanti aveva scelto, per essere poi Suoi testimoni in tutto il mondo.
Scriveva il caro Paolo VI, nella Pasqua del 1963:
“Il mistero pasquale nel nostro tempo chiede fedeltà che è vera professione di fede … È necessario il ritorno della fiducia (che mancava in Tommaso) che è conseguenza della fede e della speranza. Anche le nostre avversità possono essere da Cristo condotte nel disegno della Sua Provvidenza. Leviamo allora gli occhi dell’anima alla trionfante figura di Cristo e lasciamo che le sue corroboranti parole risuonino oggi nei nostri spiriti: ‘Pace a voi: beati quelli che, pur non avendo visto, crederanno!’”.
Cristo è Risorto! Vivere senza questa certezza ci porta solo a crearci idoli vani, fondamentalismi distruttori o a farci prendere da ogni tipo di paura … di vivere e...di morire!
Antonio Riboldi – Vescovo
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