CIPRIANI SETTIMO SDB "Ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo"

24 maggio 2015 | 8a Domenica: Pentecoste - Anno B | Appunti per la Lectio
La festa di Pentecoste ci richiama alla ricca tematica dello "Spirito" che davvero, come ci ricorda l'antifona di ingresso con un leggero
adattamento di Sap 1,7, "riempie l'universo e, abbracciando ogni cosa, conosce ogni voce"; "conosce" perfino quei "gemiti inesprimibili" che affiorano, per suo impulso, dalle profondità del nostro cuore. Sarebbe perciò interessante studiare i vari aspetti di questa tematica, che vanno dall'opera dello Spirito nella creazione ("E lo spirito di Dio aleggiava sulle acque": Gn 1,2), fino al grido struggente della consumazione finale, che esprime l'anelito di ritorno di tutta la creazione a Dio: "Lo Spirito e la sposa dicono: "Vieni!"" (Ap 22,17).
Molto più modestamente, invece, seguiremo alcune piste di riflessione che ci suggerisce la Liturgia nelle tre letture bibliche odierne: ognuna di esse sottolinea qualche aspetto dell'attività dello Spirito nella nostra vita e nella vita della Chiesa.

"Mentre il giorno di Pentecoste stava per finire..."
Si prenda, ad esempio, la prima lettura, che oggi vogliamo privilegiare proprio perché è quella che più direttamente è impegnata a presentarci, sia pure con estrema sobrietà, l'evento di Pentecoste nel suo significato "teologico" di fondo.
Ecco dunque come si esprime il testo: "Mentre il giorno di Pentecoste stava per finire, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all'improvviso dal cielo un rombo, come di vento che si abbatte gagliardo, e riempì tutta la casa dove si trovavano. Apparvero loro lingue come di fuoco che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro; ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue come lo Spirito dava loro il potere di esprimersi" (At 2,1-4).
La prima osservazione da fare è che qui san Luca si ispira quasi certamente alla descrizione con cui in Esodo 19,3-20 si narrano i preparativi per la pattuizione dell'"alleanza" fra Dio e il suo popolo, ai piedi del Sinai: anche lì fuoco, rimbombo impetuoso, sbigottimento generale! "Ed ecco al terzo giorno, sul far del mattino, vi furono tuoni, lampi, una nube densa sul monte e un suono fortissimo di tromba: tutto il popolo che era nell'accampamento fu scosso da tremore... Il monte Sinai era tutto fumante, perché su di esso era sceso il Signore nel fuoco e il suo fumo saliva come il fumo di una fornace: tutto il monte tremava molto" (Es 19,16.18).
Però ci sono anche delle differenze: allora Dio parlò di mezzo al fuoco, stando lontano dal suo popolo che, intimorito, non ardiva avvicinarsi; qui invece il "fuoco" di Dio, cioè il suo Spirito, investe direttamente della sua potenza di trasformazione gli apostoli, che rappresentano la incipienza del nuovo popolo di Dio. Allora il destinatario di questo gesto di amore e di salvezza era soltanto Israele; qui invece è la moltitudine dei popoli che in quei giorni di festa (la Pentecoste era una delle tre grandi feste di pellegrinaggio per i Giudei) si erano dati convegno a Gerusalemme: "Parti, Medi, Elamiti e abitanti della Mesopotamia, della Giudea, della Cappadocia, del Ponto... stranieri di Roma, Ebrei e proseliti, Cretesi e Arabi, li udiamo annunziare nelle nostre lingue le grandi opere di Dio" (At 2,9-11).
Tutto questo sta a significare, per un verso, la "continuità" degli interventi salvifici di Dio nella storia, come, del resto, dirà subito dopo nel suo discorso san Pietro (At 2,14-36) che vede attuata nell'evento di Pentecoste la celebre profezia di Gioele (3,1-5); per un altro verso, la "novità" radicale introdotta da Cristo che, in virtù della sua morte e risurrezione, ci ha conquistato il dono dello Spirito e "lo ha effuso, come voi stessi potete vedere e udire", ricorda ancora san Pietro (At 2,33).

"La legge dello Spirito che dà vita in Cristo Gesù"
E la "novità" principale è che Dio, in Cristo, ci ha fatto dono non tanto di una "nuova" legge, che era l'aspetto più caratteristico e rilevante dell'alleanza antica e che la festa giudaica della Pentecoste sembra volesse rievocare, quanto dello Spirito Santo, che di fatto abolisce la legge: "...Dove c'è lo Spirito del Signore, c'è la libertà" (2 Cor 3,17).
Però lo Spirito abolisce la legge, diventando lui stesso la nuova "legge" che ci ispira sempre e dovunque quello che piace al Signore: in tal modo, l'"alleanza" è appesa non tanto a delle condizioni esterne da osservare, quanto piuttosto alla presenza e all'azione dello Spirito di Dio in noi. Dio si fa sempre più "interiore" all'uomo, per possederlo di più e realizzare in lui il suo "regno". È quanto san Paolo ci ricorda in alcuni testi meravigliosi, che vogliamo qui riportare: "La legge dello Spirito che dà vita in Cristo Gesù ti ha liberato dalla legge del peccato e della morte... Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene. E se Cristo è in voi, il vostro corpo è morto a causa del peccato, ma lo spirito è vita a causa della giustificazione... Infatti tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio" (Rm 8,2.9-10.14).
Si sarà notato, in questi testi di san Paolo, come l'apostolo parli dello Spirito come di colui che "dà la vita", che ci "libera dalla legge del peccato e della morte", che ci fa "appartenere" a Cristo, che ci "guida" in modo da realizzare sempre più in noi la "figliolanza" divina. In altre parole, lo Spirito ci immette nel pieno possesso della nostra "eredità" celeste: "Lo Spirito stesso attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se veramente partecipiamo alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria" (Rm 8,16-17).
A questo punto ci accorgiamo facilmente come la festa di Pentecoste è la celebrazione della nostra "figliolanza" divina, prodotta e realizzata in noi dallo Spirito: questa è l'alleanza "nuova" che Dio ha pattuito con noi nel sangue di Cristo e nel fuoco bruciante dello Spirito. Una festa dunque che, più della stessa Pasqua e come frutto di quella, ci immette nei "beni" celesti che già possediamo come "primizia", in virtù di quella "primizia" fondamentale che è lo Spirito: "...Anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l'adozione a figli, la redenzione del nostro corpo" (Rm 8,23).

"Li udiamo annunziare nelle nostre lingue le grandi opere di Dio"
L'agire interiore e segreto dello Spirito non è però un agire a livello "intimistico": proprio perché è lui il "pegno" e il "frutto" dell'alleanza, coinvolge in questo speciale rapporto di amore tutti gli uomini, al di là delle stesse barriere di razza, di lingua, di cultura, di pratiche di culto esteriori, ecc. È quanto risulta da quel meraviglioso quadro di universalismo salvifico, che ci viene descritto dal libro degli Atti: "Costoro che parlano non sono forse tutti Galilei? E com'è che li sentiamo ciascuno parlare la nostra lingua nativa?... Li udiamo annunziare nelle nostre lingue le grandi opere di Dio" (At 2,7-8.11).
Non ci interessa qui intrattenerci sul misterioso fenomeno delle "lingue". Al di là di quello che poté essere il fatto in sé e per sé, è chiaro che l'autore del libro degli Atti vuol dirci che la "forza" dello Spirito ha potere di "unificazione" delle menti e dei cuori degli uomini, di illuminazione e di convincimento interiore: egli ha bisogno soltanto di testimoni e di mediatori talmente intrisi di lui, "battezzati" nel suo fuoco trasformante e purificante, da saperne comunicare immediatamente il calore e la fiamma. Proprio per questo la Chiesa necessita di sempre nuove Pentecosti: Pentecosti dello Spirito, certo, ma soprattutto di cristiani che, come gli apostoli, si lascino bruciare dal fuoco dello Spirito!
Perciò abbiamo tutti bisogno di gridare con l'accorata acclamazione al Vangelo: "Vieni, Santo Spirito, riempi i cuori dei tuoi fedeli e accendi in essi il fuoco del tuo amore".

"Quando verrà il Consolatore, mi renderà testimonianza"
Il brano del Vangelo, ripreso da san Giovanni, è una cucitura di due passi relativi alla "missione" dello Spirito Santo nella vita e nella storia della Chiesa: peccato però che, distaccati dai loro contesti più immediati, perdano un po' della loro densità teologica. È risaputo, infatti, che Giovanni, fra tutti gli scrittori del Nuovo Testamento, ha la teologia più ricca e più profonda sullo Spirito Santo.
Il primo passo è ripreso da un contesto, in cui Gesù preannuncia per i suoi discepoli avversità e persecuzioni: lo Spirito Santo li aiuterà a rendere fedelmente la loro "testimonianza" a Cristo.
"Quando verrà il Consolatore, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito di verità che procede dal Padre, egli mi renderà testimonianza; e anche voi mi renderete testimonianza perché siete stati con me fin dal principio" (15,26-27).
Il sostantivo "consolatore" traduce il greco paràkletos (= Paraclito), un termine che ricorre solo nei discorsi di addio di san Giovanni per indicare lo Spirito Santo. La stessa espressione è applicata due volte anche a Gesù.
"Lessicalmente la parola non presenta alcuna difficoltà, ha senso passivo e significa "colui che è chiamato (a portare aiuto)", da cui però deriva il significato attivo di "assistente", cioè di uno che sta a fianco di un altro come suo avvocato o testimone o consigliere. Oggettivamente la traduzione "consolatore" ne restringerebbe il significato; il suo significato più preciso si ricava di volta in volta dal contesto in cui la parola si trova".
Qui è evidente che lo Spirito darà "assistenza", ma anche "consolazione" agli apostoli che si troveranno in difficoltà davanti al mondo, che non è disposto ad accettare la "testimonianza" da loro resa al Cristo morto e risorto. Fortificando gli apostoli nella loro "testimonianza", lo Spirito darà lui stesso, in maniera invisibile ma altrettanto efficace, "testimonianza" a Gesù (v. 26).

"Lo Spirito di verità vi guiderà alla verità tutta intera"
Il secondo passo mette in maggior evidenza la funzione dello Spirito Santo nella penetrazione della "verità" relativa a Cristo. Perciò, in ultima analisi, "è bene che io me ne vada" (Gv 16,7), dice Gesù ai suoi discepoli per consolarli.
"Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non vi parlerà da sé, ma dirà tutto quello che ha udito e vi annunzierà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve lo annunzierà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo vi ho detto che prenderà del mio e ve lo annunzierà" (Gv 16,12-15).
Pur essendo lo "Spirito di verità", lo Spirito non annunzierà una "sua" verità, ma quella che avrà "udita" da Cristo (v. 13). Proprio per questo non ci potrà essere contrasto fra lui e Cristo: "Per questo ho detto che prenderà del mio e ve lo annunzierà" (v. 15).
Lo Spirito dunque è in funzione di Cristo e del suo mistero. Determinanti perciò rimangono sempre l'incarnazione, morte e risurrezione del Signore, che lo Spirito ci aiuterà a meglio penetrare e a meglio vivere. È per questo che tutti i cristiani debbono riscoprire la presenza dello Spirito nella loro vita di ogni giorno, proprio per essere sempre più "cristiani": la pneumatologia è ordinata alla cristologia.

"Se vi lasciate guidare dallo Spirito, non siete più sotto la legge"
Il brano della lettera ai Galati è particolarmente significativo al riguardo, perché fa vedere come concretamente lo Spirito può e deve afferrare la vita del cristiano, in modo da diventare non solo "principio" animatore, ma addirittura "legge" interiore del suo operare: "Ma se vi lasciate guidare dallo Spirito, non siete più sotto la legge... Contro queste cose non c'è legge" (Gal 6,18.23).
Lo Spirito si interiorizza talmente all'uomo, da spingerlo ad agire secondo i suoi dettami e le sue esigenze. La "legge" prescrive, certo, cose buone, ma rimane sempre un codice "esterno" all'uomo; lo Spirito, invece, diventa luce "interiore", che fa vedere ciò che dobbiamo fare e si trasforma in impulso e "forza" vitale.
È solo affidandosi allo Spirito che il cristiano può sottrarsi all'altra "forza", che fatalmente tenterà di impadronirsi di lui, diventando anch'essa "legge", tendente però a schiavizzarlo: la "carne", che deve qui intendersi non come equivalente di "corpo" quasi che questo fosse intrinsecamente cattivo, ma come espressione di qualsiasi concupiscenza perversa che alberga nel cuore dell'uomo e che può andare dalla "fornicazione" allo "spirito" di dominio, di divisione, ecc. È in questa lotta e tensione continua fra due principi antitetici che il cristiano realizza la sua non facile liberazione e il suo lento passaggio da servo del peccato ad autentico figlio di Dio.
"Camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare i desideri della carne; la carne infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vicenda sicché voi non fate quello che vorreste.
Ma se vi lasciate guidare dallo Spirito, non siete più sotto la legge. Del resto, le opere della carne sono ben note: fornicazione, impurità, libertinaggio, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordie... Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé; contro queste cose non c'è legge... Se pertanto viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito" (Gal 5,16-25).
Il problema, dunque, è di arrivare a "vivere" dello Spirito, per poter anche "camminare" secondo lo Spirito. Il realismo paolino esige molto di più che una generica, e pur sempre apprezzabile, "fedeltà" allo Spirito: esige una immersione in lui e una "nutrificazione" costante di lui, in modo da diventare il principio vitale della nostra santità, come l'anima della nostra stessa anima.

           CIPRIANI SETTIMO

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