D. Gianni Mazzali SDB "PORTARE FRUTTO IN GESU'"

3 maggio 2015 | 5a Domenica di Pasqua - Anno B  | Omelia
Riconosciamo, radicato nel profondo di ciascuno di noi, un movimento che ci spinge ad uscire da noi stessi, a donare, ad essere fecondi. Eppure constatiamo che tale anelito spesso è mortificato da una naturale tendenza all'egoismo, a preoccuparci soprattutto di noi e da una cultura narcisista appesantita da bisogni indotti ed esigenze ingombranti. La Parola di Dio ci offre oggi uno sguardo aperto e ci orienta ad una fecondità che nasce nel dono libero di noi stessi radicato sulla fede.

Vedere il Signore
La vita di Paolo è stata radicalmente cambiata, sconvolta dall'incontro con il Signore. A dire il vero è stato più uno scontro, una irruzione "violenta" di Gesù il Risorto nella vita, nel modo di essere e di agire di Paolo. Gettato a terra, lambendo la polvere della strada, Paolo vede Gesù, lo ascolta, non riesce più a vedere con gli occhi di prima. Per quanto misteriosa questa forzata esperienza di Gesù da parte di Paolo di Tarso rappresenta una svolta che gli fa intraprendere un cammino nuovo, che opera una rivoluzione interiore che lo trasforma.
Quante volte ci siamo detti, con maggiore o minore consapevolezza: "Vorrei incontrarlo Gesù, vederlo, toccarlo". E ci sembra che ciò non avvenga, che Dio sia lontano, indifferente alla nostra vita, non partecipe ai nostri dolori, alle nostre sconfitte, alle tragedie umane. Non ci rendiamo conto che, per incontrare Gesù, per vedere il Signore, dobbiamo distogliere lo sguardo da noi stessi, dobbiamo smettere di autocontemplarci. Paolo era un lottatore e nella lotta ha incontrato Gesù e ne è stato trasformato. Abbiamo bisogno di alzare il volto, di guardare in avanti, di scomodarci, di metterci in cammino magari per lottare con Dio per combattere con tante assurdità. Dobbiamo essere gettati a terra, disarcionati dal nostro orgoglio autosufficiente e lì, respirando l'odore acre della polvere, essere travolti dalla luce, da un incontro che cambia tutto dentro di noi. Nella lotta noi possiamo vedere Dio.

Un cuore che crede e che ama

Il vecchio Giovanni, forse dall'esilio in un'isoletta sperduta del Mediterraneo, scrive riflettendo sulla sua esperienza del Signore Gesù, sentendosi inondare il cuore dalla constatazione che l'esperienza di Dio è essenzialmente esperienza di amore. Ricorda certamente con nitidezza quel momento intensissimo in cui ha sentito, il suo volto reclinato sul petto del Signore, i battiti del cuore di Gesù! Comprende ora che Dio lo di conosce sentendosi amati e riversando sugli altri il dono perenne che riceviamo, sperimentando anche i limiti della nostra inadeguatezza perché "Dio è più grande del nostro cuore". Giovanni ci suggerisce di guardarci dall'avere una fede sterile, un rapporto con Dio che si arresta alle pratiche, alle formule, ai riti. La fede, l'accostarsi al cuore di Dio, non può che contagiarci nell'amore, in un amore concreto, quotidiano che raggiunge e cambia il nostro cuore e il cuore degli altri.
La verità profonda della nostra fede si manifesta e si testimonia nell'amore. Il cuore del credente non può essere che un cuore che ama: "Figlioli, non amiamo a parole, né con la lingua, ma con i fatti e nella verità". Si tratta di un amore profondo, che ci rivoluziona dall'interno, un amore che ci rende inquieti, preoccupati del costante assedio dell'egoismo, dell'individualismo, del ripiegamento su se stessi. E' un amore che ti consuma, che ti fa morire a te stesso e per questo è fecondo, ricco di frutti. E' il comandamento nuovo di Cristo, è la sintesi di tutta la Legge, è la religione vera.

Rimanere in Gesù

Un cuore che ama è un cuore che lotta e si rende conto della propria fragilità, della propria inadeguatezza. Nel suo discorso di addio Gesù percepisce la preoccupazione, il disorientamento, la paura dei suoi. Da soli, staccati da lui sperimenteranno la viltà, il tradimento, il vuoto. Li paragona ai tralci della vite che per portare frutto devono subire la potatura, la sofferenza, rimanendo saldamente ancorati al tronco della vite. Portano frutto proprio perché rinvigoriti dalla linfa della vite dopo la potatura, senza della quale si indeboliscono, vengono tagliati, seccano e saranno bruciati.
E' forte la tentazione di voler fare da soli, di rivendicare la nostra autonoma iniziativa, di rifiutare una disciplina che ci mutila, ci mortifica. E' la tentazione di Adamo, dell'uomo ribelle che rivendica, che antagonista si nasconde nella vergogna. "Rimanete in me ed io in voi": essere discepoli significa vivere con Gesù e in Gesù, in intimità profonda, essenziale, feconda. Un cuore che crede e che ama può essere tale solo se innestato nel cuore misericordioso del Figlio di Dio che nell'amore e nel totale dono di sé ci ha salvati.

"Non cercare di raggiungere Dio col tuo intelletto, non ci riuscirai mai; raggiungilo nell'amore: ciò è possibile" (C. de Foucauld)

D. Gianni Mazzali SDB

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