dom Luigi Gioia "Lo Spirito di verità vi guiderà a tutta la verità"

Pentecoste (Anno B) - Messa del Giorno (24/05/2015)
Vangelo: Gv 15,26-27; 16,12-15 
La frase centrale di questa pagina del vangelo ci presenta un paradosso. Gesù vi afferma: Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Gesù ci dice che le sue parole pesano. Come può il Vangelo, cioè la "buona novella", la "gioiosa notizia" pesare? Come è possibile che pesino queste parole che ci
svelano l'amore di Dio per noi, il disegno di Dio su di noi; come possono pesarci queste queste parole che ci guariscono, ci consolano, ci incoraggiano, ci edificano? Possiamo decifrare questa apparente contraddizione in due modi. Da una parte, le parole di Gesù sono pesanti perché il nostro cuore è lento a credere, è mormoratore. Nel vangelo di Giovanni è detto che i Giudei si misero a mormorare contro Gesù, perché aveva detto: Io sono il pane disceso dal cielo. Si trattava di una parola difficile della quale non potevano portare il peso. Ma invece di lasciarsi interrogare da essa i discepoli rispondono con il mormorio, con la disapprovazione larvata, quella che non avendo il coraggio di manifestarsi apertamente abbassa la voce, bisbiglia per insinuare il dubbio, crea progressivamente nell'ombra un fronte di opposizione per assicurarsi di essere letale nel momento nel quale esce alla luce del giorno. In questo caso la parola pesa perché le resistiamo, perché ci opponiamo ad essa. E' come quando qualcuno ci lancia una palla: se siamo pronti ad accoglierla a all'impatto ne sposiamo il movimento, la presa è agevole e indolore; se invece non siamo pronti o le resistiamo, l'impatto è violento e la palla ci sfugge di mano. Quindi le parole di Gesù possono pesare perché incontrano una resistenza, una opposizione nel nostro cuore. Ma le parole di Gesù possono pesare anche in se stesse, indipendentemente dalla nostra ricezione. O, piuttosto, possono pesare fino a che restano lettera che uccide invece di Spirito che dà vita. Non basta capirle con l'intelligenza, non basta volerle accogliere con il cuore. Queste parole scritte o predicate, per quanto giuste, per quanto potenzialmente vivificanti, restano legge, restano lettera che può uccidere fino a che non sono illuminate dallo Spirito, fino a che la luce divina non ci introduce nel loro vero senso, questo senso che tutta la tradizione della Chiesa ha chiamato il senso spirituale della Parola. Occorre aggiungere che da questo punto di vista il problema spesso non è nei destinatari della Parola ma in coloro che sono incaricati di annunciarla. Vi è un modo di annunciare la Parola che ne neutralizza il potere vivificante e liberante, che la deforma presentandola come lettera che uccide. Per esempio, ci sono modi di dire alle persone che devono portare la croce, che la sofferenza è feconda che invece di confortare immiseriscono. Ci sono modi di presentare il progetto del Creatore sulla sessualità umana che invece di edificare giudicano, invece di liberare imprigionano, invece di avvicinare le persone al potere trasformante della risurrezione le lasciano prigioniere di una colpevolezza che opprime. Qual è allora il segreto che permette di passare dalla lettera che uccide allo Spirito che dà la vita? Dice ancora Gesù nel vangelo di oggi: Quando verrà lui, lo spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso. Tocchiamo qui uno dei segreti più importanti della vita cristiana, dell'annuncio autentico del Vangelo. Le parole di Gesù cessano di essere pesanti, le esigenze del Vangelo cessano di essere opprimenti solo quando si passa dalla lettera che uccide - come dice Paolo - allo Spirito che dà la vita. Le parole di Gesù ci danno vita solo quando è lo Spirito che le proferisce, poiché lui solo sa parlare ai nostri cuori nel modo giusto, lui solo ci fa ricevere queste parole non dal di fuori, ma dal di dentro. Solo lo Spirito ha il potere di introdurre nella verità. Lui solo ha il potere di farci percepire la verità, non come qualcosa che opprime, ma come qualcosa che libera, non come qualcosa che ci limita, ma come qualcosa che ci fa respirare, che ci fa vivere. Che cosa ha di particolare dunque lo Spirito per poter operare questo miracolo? Che cosa gli permette di far rifiorire i rami secchi, di ridare vita dove c'è morte, di farci amare questa volontà di Dio di cui siamo tentati di avere paura? Il Vangelo ci svela uno dei segreti di questa misteriosa efficacia dello Spirito. Ci dice: Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché - e questo è il dettaglio fondamentale -non parlerà da se stesso. Quindi lo Spirito della verità ci guida a tutta la verità perché non parla da se stesso. Questo "non parlare da se stesso" dello Spirito, è la spiegazione. Siamo in presenza del grande mistero della vita di Dio, della vita della Trinità, dove il Figlio fa e dice solo quello che vede fare al Padre. Il Figlio per primo non parla da se stesso. E lo Spirito Santo a sua volta dice solo quello che si riferisce a Gesù, è totalmente relativo a Gesù. Né il Padre, né il Figlio, né lo Spirito, nella vita trinitaria, si attribuiscono gelosamente qualcosa, ma donano tutto, tutto se stessi, l'uno all'altro. Ricevono tutto l'uno dall'altro come un dono. Lo Spirito Santo non parla da se stesso dunque ma parla a partire da Cristo, parla per Cristo; non vuole condurre l'uomo a se stesso, ma a Cristo perché Cristo a sua volta lo conduce al Padre. Questa frase ci svela dunque il segreto fondamentale della fecondità della vita di Dio, di questa fecondità che ci raggiunge e ci trasforma. Il segreto della fecondità della vita di Dio è in questa generosità senza limiti, in questa dipendenza reciproca, in questo dono, in questa gratuità. Per essere servitori non di una lettera che pesa, che soffoca, che uccide, ma di uno Spirito che vivifica, trasforma, cambia i cuori - per essere servitori di uno Spirito che fa amare la volontà del Padre, dobbiamo imitare lo Spirito. Dobbiamo - come dice Paolo nella lettera ai Galati - camminare secondo lo Spirito, parlare nello Spirito. Paolo, nella seconda lettera ai Corinzi, ha una frase che fa eco a questa pagina del Vangelo: Non che da noi stessi siamo capaci di pensare qualcosa come proveniente da noi, ma la nostra capacità viene da Dio, il quale anche ci ha resi capaci di essere ministri di una nuova alleanza, non nella lettera, ma nello Spirito, perché la lettera uccide e lo Spirito invece dà la vita. C'è un parallelo interessante tra quello che dice Paolo di chi predica e quello che dice Gesù dello Spirito. Paolo dice: Non che da noi stessi siamo capaci di pensare qualcosa come proveniente da noi, e Gesù afferma: Lo Spirito non parlerà da se stesso. Per essere ministri dello Spirito, dobbiamo riconoscere che la nostra capacità proviene da Dio, dobbiamo voler condurre le persone non a noi stessi, ma a Dio, dobbiamo non volere che le persone seguano noi, ma che seguano Dio, che amino lui e che aderiscano a lui. C'è qualcosa in questa gratuità, in questa libertà, in questa generosità, in questa umiltà che è il solo vero segreto della fecondità dell'annuncio del Vangelo e che lo rende autenticamente strumento dell'azione di Dio. Le parole di Gesù, le parole del Vangelo cessando di pesarci quando ci apriamo a questa gratuità dello Spirito; cessano di pesarci quando accogliamo questa fonte di acqua viva che sgorga nel nostro cuore ed entriamo in questa stessa dinamica. Allora finalmente camminiamo secondo lo Spirito, non riferendo più nulla a noi stessi ma tutto al Padre, non parlando più da noi stessi, ma facendoci eco delle parole di Gesù, entrando così piano piano nella sua verità.

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