Figlie della Chiesa Lectio Questo è il mio corpo. Questo è il mio sangue (Mc 14,12-16.22-26

Ultima Cena, R. Reynaldo
Santissimo Corpo e Sangue di Cristo
Prendiamo in considerazione la seconda sezione del racconto di Marco 14 dai versetti 12-25. Ci collochiamo nel Cenacolo in cui sono ben visibili 3 quadri: il primo 14,12-16, riguarda i preparativi della Pasqua.
Marco parla del “primo giorno degli azzimi quando s’immolava la pasqua”. Molto
probabilmente si tratta del pomeriggio del 14 di Nisan, il giorno della preparazione in cui gli agnelli venivano immolati nel tempio; il banchetto pasquale veniva celebrato la sera di quello stesso giorno, nel momento in cui cominciava la notte di plenilunio. Dopo il tramonto, quando secondo il calendario ebraico incominciava il giorno seguente cioè il 15 di Nisan, si celebra la cena pasquale, con cui ha inizio la festa degli Azzimi che si protrae per una settimana. Il racconto sembra ripetere quello dei preparativi dell’entrata in Gerusalemme (cf 11,1-7). Gesù incarica due discepoli dicendo loro: “Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d’acqua, seguitelo…” Ora un uomo che porta una brocca d’acqua è piuttosto raro, essendo questo lavoro riservato alle donne. Non si accenna all’agnello da immolare, perché l’agnello è Dio è Gesù stesso (cf Gv 1,29); l’agnello senza difetti e senza macchia (1Pt1,29).
La morte di Gesù realizza pienamente ciò che la prima pasqua significava: “Cristo nostra Pasqua è stato immolato”.(1Cor 5,7).
Mentre nel tempio si sacrificava l’agnello pasquale; Gesù è nella stanza del piano superiore. Questa stanza che cosa vuole indicare? Non à forse quella di cui il Signore stesso parla al c.11,17 “la mia casa sarà chiamata casa di preghiera”. La stanza superiore è simbolo della Chiesa che nasce, Chiesa radunata nel nome di Gesù; nell’acqua che porta l’uomo che introduce alla stanza superiore (vv13ss) i Padri hanno visto l’acqua del battesimo, in quest’acqua noi veniamo immersi per diventare nuove creature e grazie proprio a quest’acqua noi siamo abilitati a partecipare al banchetto eucaristico. La “stanza superiore” è simbolo della comunità che si raduna per mangiare il pane e il vino divenuti Corpo di Gesù, è il luogo della comunione e della preghiera (cf At 1,13ss), dove i discepoli riceveranno lo Spirito Santo (At 2). La “stanza superiore” si presta  a significative interpretazioni e c’è un’altra indicazione interessante che evidenzia un secondo quadro: “venuta la sera” (14,17). Questa espressione vale la pena sottolinearla perché è apparsa fin dalla prima tappa del vangelo, nella riunione dei malati “presso la porta” (1,32-33). Adesso indica l’ora in cui i dodici sono riuniti; è anche l’ora in cui viene svelata la loro divisione e la loro incredulità. Giuda ha preso parte alla cena eucaristica oppure ha lasciato la sala fin dall’inizio? Quest’interrogativo non può avere risposta… Su questa comunità di peccatori Gesù pronuncia parole di benedizioni. Sulla perplessità, l’incredulità dei discepoli: “Sono forse io a tradirti?” (cf 14,19b), il Signore pronunzia parole che trasformano la pasqua ebraica in celebrazione cristiana, terzo quadro vv22-25 “Mentre mangiavano prese il pane e, pronunziata la benedizione lo spezzò e lo diede loro, dicendo: “Prendete, questo è il mio corpo”. Poi prese il calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse: “questo è il mio sangue, il sangue dell’alleanza, versato per molti. In verità vi dico che io non berrò più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo nel regno di Dio”.
Queste parole rimandano ai gesti della moltiplicazione dei pani “preso del pane, avendo pronunziato la benedizione (euloghêsas), lo spezzò e lo diede loro (cf 6,41) “presa una coppa, dopo aver reso grazie (eucharistesas), la diede… (cf 8,6). Questi gesti fanno parte del rituale del banchetto pasquale ebraico; ma qui non si parla dell’agnello. Gesù non celebra più un ricordo del passato, con le sue parole egli dà un significato e un valore nuovo a questo gesto tradizionale. Porgendo ai discepoli il pane spezzato Gesù dice: “Questo è il mio corpo”, l’espressione “mio corpo” indica la persona nella sua integrità. Egli personalmente e realmente si dona come pane spezzato e con l’invito “prendete e mangiate”, i discepoli sono associati al suo destino. Il banchetto a cui i discepoli partecipano e in loro anche noi è la mensa attraverso cui noi condividiamo il dono della liberazione, liberazione data dal sangue  versato da quell’agnello che è Gesù stesso. Egli parla del sangue dell’alleanza, espressione che rimanda al rito compiuto da Mosè ai piedi del Sinai per concludere l’alleanza tra Dio e il suo popolo (cf Es 24,3-8).
La distinzione del “sangue sparso per molti” richiama la figura del servo giusto e solidale di Isaia. Come il servo sofferente, Gesù nella sua morte prende su di sé il destino di una moltitudine che si estende a tutti, vicini e lontani! La sua morte sarà l’offerta estrema attraverso la quale la comunità dei peccatori di ogni epoca può accedere la regno di Dio. La pasqua cristiana è la vittoria di Dio, della sua signoria sulla morte, su ogni tipo di morte. Gesù nel pane e nel vino ha consegnato se stesso, egli stesso si presenta nella condizione di debole e di povero, proprio come povero è il pane e il vino.
Là dove il debole ha bisogno di essere curato, sostenuto, nutrito, là il Signore si lascia mangiare come Pane divino, farmaco d’immortalità. Da Gesù che si è fatto povero e debole viene curata ogni nostra infermità. La cena eucaristica non è allora la commemorazione di un defunto, ma la reale partecipazione al dono dell’esistenza di Gesù - il suo Corpo e il suo Sangue- stanno alla base della comunione con Dio e tra gli uomini; garanzia e anticipazione di quella piena e definitiva che avremo nell’eternità.

Appendice
Il pane e il vino sono il Corpo e il Sangue di Cristo che come Parola vera divengono il nostro nutrimento e la nostra bevanda di carità e di fede; il Pane è la Parola di giustizia, della quale si nutrono le anime, mentre la Bevanda è la Parola della conoscenza di Cristo secondo il mistero della sua nascita e della sua passione (Origene)

Mediante questi elementi creati, i fedeli offrono a Dio in tutto il mondo le primizie delle sue creature, e Dio condivide con i fedeli la vita eterna (Ireneo di Lione)

Nel dare le sue istruzioni ai discepoli perché offrissero a Dio le primizie della sua stessa creazione – non perché egli ne avesse bisogno ma perché essi recassero frutti di gratitudine – Gesù prese tra le cose create un po' di pane e un po' di vino, rese grazie e disse: Questo è il mio corpo. Anche per lo stesso calice che è parte della sua creazione e che appartiene a lui, egli confessò che era il suo sangue e in tal modo insegnò come doveva essere l'offerta della nuova alleanza. La Chiesa ha ricevuto il comando dagli apostoli e la offre in tutto il mondo a Dio che fornisce gli alimenti, come primizia dei suoi doni (Ireneo, Adv. Haer. 4, 17, 5).

L'Unigenito Figlio di Dio, volendoci partecipi della sua divinità, assunse la nostra natura e si fece uomo per far di noi, da uomini, déi. Tutto quello che assunse, lo valorizzò per la nostra salvezza.
Offrì infatti a Dio Padre il suo corpo come vittima sull'altare della croce per la nostra riconciliazione. Sparse il suo sangue facendolo valere come prezzo e come lavacro, perché, redenti dalla umiliante schiavitù, fossimo purificati da tutti i peccati. Perché rimanesse in noi, infine, un costante ricordo di così grande beneficio, lasciò ai suoi fedeli il suo corpo in cibo e il suo sangue come bevanda, sotto le specie del pane e del vino.
O inapprezzabile e meraviglioso convito, che dà ai commensali salvezza e gioia senza fine! Che cosa mai vi può essere di più prezioso? Non ci vengono imbandite le carni dei vitelli e dei capri, come nella legge antica, ma ci viene dato in cibo Cristo, vero Dio. Che cosa di più sublime di questo sacramento? Nessun sacramento in realtà è più salutare di questo: per sua virtù vengono cancellati i peccati, crescono le buone disposizioni, e la mente viene arricchita di tutti i carismi spirituali. Nella Chiesa l'Eucaristia viene offerta per i vivi e per i morti, perché giovi a tutti, essendo stata istituita per la salvezza di tutti.
 Nessuno infine può esprimere la soavità di questo sacramento. Per mezzo di esso si gusta la dolcezza spirituale nella sua stessa fonte e si fa memoria di quella altissima carità, che Cristo ha dimostrato nella sua passione. Egli istituì l'Eucaristia nell'ultima cena, quando, celebrata la Pasqua con i suoi discepoli, stava per passare dal mondo al Padre. L'Eucaristia è il memoriale della passione, il compimento delle figure dell'Antica Alleanza, la più grande di tutte le meraviglie operate dal Cristo, il mirabile documento del suo amore immenso per gli uomini. (Dalle «Opere» di san Tommaso d'Aquino, dottore della Chiesa, Opusc. 57, nella festa del Corpo del Signore, lect. 1-4)

Processione
Chi è costei che avanza profumando il deserto del mondo d'una nube d'incenso, di mirra e di ogni sorta di profumi? La chiesa attornia la lettiga dorata in cui appare lo Sposo nella sua gloria. Accanto a lui sono raccolti i forti d'Israele, sacerdoti e leviti del Signore, potenti presso Dio. Figlie di Sion, uscitegli incontro; contemplate il vero Salomone sotto lo splendore del diadema di cui l'ha incoronato la madre nel giorno delle sue nozze e del gaudio del suo cuore (Ct 3,5-11). Questo diadema è la carne che il Verbo ha ricevuta dalla Vergine purissima, quando ha preso in isposa l'umanità (san Gregorio, Sul Cantico dei Cantici). Per quel corpo perfettissimo, per quella carne sacrosanta continua tutti i giorni, sul santo altare, l'ineffabile mistero delle nozze dell'uomo e della Sapienza eterna. Non è dunque giusto che una volta all'anno la santa Chiesa dia libero corso ai suoi trasporti verso lo Sposo nascosto sotto i veli del Sacramento? Per questo il Sacerdote ha oggi consacrato due Ostie, e dopo averne consumato una, ha posto l'altra nell'ostensorio che, recato rispettosamente in mano, attraverserà ora sotto il baldacchino, al canto degli inni, le file della moltitudine prostrata. (dom Prosper Guerangèr)

"Il nostro Salvatore nell'ultima Cena, la notte in cui fu tradito, istituì il sacrificio eucaristico del suo corpo e del suo sangue onde perpetuare nei secoli, fino al suo ritorno, il sacrificio della Croce, e per affidare così alla sua diletta Sposa la Chiesa, il memoriale della sua morte e della sua risurrezione: sacramento di pietà, segno di unità, vincolo di carità, convito pasquale, nel quale si riceve Cristo, l'anima viene ricolma di grazia e ci è dato il pegno della gloria futura" (Sacrosantum Concilium, 47).

E come Eucaristia, cioè … tutto!
Stupore: è la parola preferita da Giovanni Paolo di fronte all’eucaristia; nella sua ultima enciclica la usa almeno quattro volte. Ed è questo l’atteggiamento che egli desiderava ridestare in tutta la Chiesa «di fronte al dono incommensurabile dell’eucaristia». Lo stupore nasce se mettiamo in rapporto la nostra situazione con questo dono sproporzionato ed eccedente.
Di fronte al pane del cielo ci ritroviamo affamati di vita ed assetati di felicità. Oggi il pane si butta, molti sono in sovrappeso, ma si registra una terribile carestia di felicità: siamo una società obesa e depressa.
Oltre che affamati, l’eucaristia ci trova ammalati. Viviamo in una situazione paradossale: siamo riusciti a sconfiggere tanti virus, ma c’è una malattia che miete sempre più vittime: quel vivere morbosamente centrati su di sé, quel pretenzioso volersi al centro del mondo, quel ripiegarsi narcisistico sul proprio io. Tutto questo ha un nome: l’ego-patia.
Ma, come se non bastasse, siamo anche gli uni armati contro gli altri, in lotta continua per la sopravvivenza, in una conflittualità esasperata, sempre in corsa affannosa per arrivare prima degli altri. Nonostante i conclamati proclami di uguaglianza e di democrazia, la nostra società è molto più piramidale di quella feudale: quanta gente è affetta dal mal sottile del rampantismo; quanti giovani sognano di essere i vip del domani; quante ragazze annegano nell’anoressia perché non si ritrovano indosso le misure fatidiche delle fotomodelle di turno.
Ecco: quando ci sediamo alla cena del Signore, siamo dei poveri affamati di felicità, ammalati di egoismo, intossicati dalla violenza. Al nostro bisogno di amare e di essere amati, Dio si offre tutto intero. Nell’eucaristia c’è tutto: tutto Dio con il suo piano di salvezza; tutta la vita di Cristo, con la sua continua, irrefrenabile voglia di sedere a mensa con i peccatori; tutto il suo amore – l’amore della croce e l’energia della risurrezione – che diventa principio di unità del mondo: superamento di ogni egoismo, abbattimento di ogni barriera.
Fare eucaristia è fare Pasqua con il Signore crocifisso e risorto. «Fare la comunione» non è una pia, consolante o esaltante devozione. È rinunciare alle false sicurezze dell’avere, ai miraggi luccicanti dell’apparire, alle voglie malsane di affermarsi sopra gli altri, contro gli altri, per scegliere invece la strada crocifiggente e beatificante del dare la vita, perché «c’è più gioia nel dare che nel ricevere» (At 20,35).
«Fare comunione» significa partecipare al mistero di un pane spezzato, perché anche noi possiamo «farci in pezzi» per il bene degli altri; è uscire dal ripiegamento compiaciuto e soddisfatto, è abbattere i muri dell’indifferenza e della contrapposizione, è bruciare le scorie tossiche dei continui confronti e delle tante amarezze, per fare uno in quel Cristo Gesù che si è lasciato ammazzare «per riunire insieme – dice l’evangelista Giovanni (11,52), ma sarebbe più esatto tradurre: “per riportare all’unità” – i figli di Dio che erano dispersi».
L’eucaristia è davvero tutto per noi: è il nostro tesoro più caro, il bene più grande della Chiesa, il più bel libro di teologia, il centro di tutta la vita cristiana.
Aveva ragione Giovanni Paolo II: il pensiero dell’eucaristia ci porta sentimenti di stupore, uno stupore «grande, grato, adorante».
Gesù aveva detto: «Chi mangia di me, vivrà per me». Vivere per lui, come ha fatto lui, vuol dire amare veramente. Cioè vivere.
(F.Lambiasi, ABC della fede, pag 223-26)

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