Ermete TESSORE SDB"ABBIAMO IL CORAGGIO DI 'PASSARE ALL'ALTRA RIVA'?"

21 giugno 2015 | 12a Domenica - T. Ordinario B | Omelia
La figura del mare (yam in ebraico e thalassa in greco) è abbinata a quella di Gesù nella liturgia della Parola di questa domenica. Nella Bibbia la parola "mare" ha un valore altamente simbolico.
Nell'Antico Testamento il termine sta ad indicare qualsiasi massa di acqua, dolce o salata che sia.

Negli antichi testi ugaritici di Ras Shamra, Mare è il nemico di Ba'al Haddu, il Dio della tempesta che per mezzo del vento, dei lampi e dei tuoni tenta di contenerne le forze distruttrici. Di questo scontro si possono cogliere le vestigia anche nel racconto biblico dove Dio è spesso dipinto con i tratti del dio della tempesta che combatte il mostro marino Leviatan (Cfr Is 27,1; Gb 3,8; Sal 74,13-14…).

Il mare, con i suoi marosi e la sua quiete, con le sue tempeste ed i suoi tempi di bonaccia, sta ad indicare la nostra esistenza. Essa, a volte , scivola via nella tranquillità e nella gioia, ma spesso conosce anche il tumulto e la sofferenza. La nostra vita ci trasmette la sensazione di essere su una fragile barchetta che deve affrontare l'imprevisto e l'immensità del mare.

Il desiderio e la curiosità del vivere sono intensi, ma la paura e l'angoscia riescono a tarlare il primo e a depotenziare la seconda. Senza interessi, senza entusiasmi è facile rassegnarsi a guazzare nel mare della sopravvivenza in balia di paure e scaramanzie sorgente di inquietudini profonde.
Chi crede non può essere fagocitato dalle sabbie mobili della non esistenza piena.

Nessuna paura, nessuna prova, nessuna malattia, nessun abbandono è più forte della nostra capacità di sopportazione e reazione. Ce lo conferma il pazientissimo Giobbe nella prima lettura: "Fin qui giungerai e non oltre e qui s'infrangerà l'orgoglio delle tue onde". Nell'orizzonte della fede non esiste mare che possa farla naufragare. Questo viene ribadito nel brano evangelico di Marco.

L'invito di Gesù. "passiamo all'altra riva" suona a disturbo per i pantofolai della vita spirituale, per i religiosi soporiferi incollati alle poltrone del vaniloquio, per i pretoriani della tradizione mummificata.

Passare all'altra riva comporta la fatica del muoversi, il rischio della traversata, il pericolo delle correnti avverse, l'ardire di gestire l'imprevisto, il coraggio di scoprire nuovi orizzonti e nuove relazioni. In questo contesto l'esperienza della tempesta esistenziale è da mettere in conto.

E' la misteriosa capacità di purificazione del dubbio, della tentazione, della solitudine, della malattia, dell'incomprensione e della umana debolezza che può fare sorgere dentro di noi degli autentici tsunami esistenziali che solo ancore inossidabili ed inamovibili possono contenere e placare.

L'ancora per eccellenza. o meglio, il motore che ci spinge nel mare aperto del vivere umano è Gesù.

Così ci insegna Paolo nella seconda lettura. Ma non il Gesù molliccio e caramelloso di una certa tradizione devozionale, ma quello forte e virile che si è spinto tanto in profondità nell'oceano della vita umana da toccare l'abisso della testimonianza estrema di morire per amore e solo per amore.

Solo l'amore riesce a disattivare la paura ed ad innestare il coraggio, solo con Cristo nocchiero si può passare indenni attraverso i marosi dell'odio e del risentimento, solo l'incrollabile fede nella resurrezione può far sparire lo spettro della morte.

Il buon Alessandro Manzoni lasciò scritto che la vita non è destinata ad essere un gioco per pochi ed un pesante fardello per molti, ma, per tutti, un dovere di cui dovremo rendere conto.

In questo ideale " redde rationem" non ci sarà posto per la facile giustificazione al fatto di non avere vissuto in pienezza.

Il non aver avuto il coraggio di "passare all'altra riva" difficilmente troverà giustificazione nella logica del Regno dei cieli i cui abitanti sono persone risorte nell'amore e non zombie consumati dalla rassegnazione.

Ermete TESSORE SDB

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