FIGLIE DELLA CHIESA LECTIO DIVINA"Fanciulla, io ti dico: Àlzati! (Mc 5,21-43)"

La Parola
Lectio
Il brano del Vangelo di Marco che la Liturgia offre alla nostra contemplazione presenta il Signore Gesù tutto proteso a dare pienezza di vita per chi si accosta a Lui con fede e riconosce in Lui la forza di Dio.

La vittoria sulla morte, terribile incognita che incombe sull’uomo e blocca brutalmente il suo bisogno di immortalità, è anche al centro della prima lettura; il libro della Sapienza assicura che tutto ciò che Dio ha creato è finalizzato alla vita, alla gioia, alla completezza; la sua bontà si espande su tutte le cose e in particolare sull’uomo, che è incamminato all’incorruttibilità in quanto fatto a immagine di Dio.

Anche il brano del Salmo che siamo invitati a cantare celebra la piena liberazione che Dio opera per i suoi fedeli; Egli che risolleva dalla morte e dagli inferi dona la capacità di lodare Dio per sempre, trasformando le lacrime in gioia e il lamento in danza.

E perfino l’esortazione di Paolo nella seconda lettera ai Corinzi perché siano generosi nella colletta a favore dei fratelli bisognosi può essere vista come un dono di vita che le Comunità si offrono reciprocamente; con il sostegno materiale si promuove una crescita spirituale che si riversa sui donatori secondo i criteri della munificenza e gratuità di Dio, che vuole provvedere a tutti i suoi figli con la loro generosa collaborazione.



21Essendo passato di nuovo Gesù all'altra riva, gli si radunò attorno molta folla, ed egli stava lungo il mare.

Gesù con i suoi è appena tornato dalla regione dei Gadareni, nella zona della Decapoli, dove ha liberato un uomo da una legione di demoni. Sulla sponda occidentale del “suo” mare, il Lago di Tiberiade, dove Egli aveva già iniziato la sua missione di predicatore e guaritore, subito si raduna la folla desiderosa di stare con Lui e di ascoltarlo.



22Si recò da lui uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, vedutolo, gli si gettò ai piedi 23e lo pregava con insistenza: «La mia figlioletta è agli estremi; vieni a imporle le mani perché sia guarita e viva».

Tra la folla vediamo farsi avanti un uomo degno di particolare riguardo sia dal punto di vista sociale che religioso, in quanto responsabile della Sinagoga del luogo. Egli porta un nome colmo di speranza: secondo alcuni infatti Giairo significa “risplenda la divinità”, oppure “egli risusciterà”. In realtà, qui si presenta come un povero padre distrutto dal dolore, perché vede la sua creatura già preda della morte e si trova impotente a darle qualsiasi forma di aiuto. Per questo si prostra umilmente ai piedi di Gesù e lo supplica con insistenza. Certamente qualcuno gli ha riferito o lui stesso ha visto il gesto di quel rabbì che non ha paura di rendersi impuro toccando con le sue mani le ferite del corpo e dello spirito degli innumerevoli ammalati che gli sono stati presentati; per questo gli chiede che con di ridonare salute e vita alla figlioletta.



24Gesù andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno.

Il Signore mostra la sua sensibilità e condiscendenza mettendosi subito in cammino con Giairo, senza spazientirsi della grande folla che vuole accompagnarli e che si accalca intorno a loro… Un affollamento che può anche favorire l’anonimato, dove nella confusione è difficile individuare una persona…

E’ questo precisamente il pensiero della donna anonima che Marco fa intervenire in questo tratto di strada…



25Or una donna, che da dodici anni era affetta da emorragia 26e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza nessun vantaggio, anzi peggiorando, 27udito parlare di Gesù, venne tra la folla, alle sue spalle, e gli toccò il mantello. Diceva infatti: 28«Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò guarita».

La malattia che da ben 12 anni affligge questa donna non le causa soltanto sofferenza fisica: la pone in uno stato di costante impurità legale, che si riverbera anche su coloro che vengono in contatto con lei (cfr. Lv 15, 25-27); è socialmente emarginata e pesa su di lei la convinzione comune che tale malattia sia conseguenza di una colpa… Perdere sangue è perdere vita, e lei si sente sempre più prigioniera della spirale di morte che la circonda e dalla quale nessun medico né il suo denaro hanno potuto strapparla. Perciò, desiderosa di restare nell’assoluto anonimato, si fa audace; una fede immensa nella potenza di guarigione del rabbì di Nazareth la spinge a osare ciò che le sarebbe proibito e decide di farlo con la massima discrezione possibile: toccherà soltanto il lembo del mantello!



29E subito le si fermò il flusso di sangue, e sentì nel suo corpo che era stata guarita da quel male. 30Ma subito Gesù, avvertita la potenza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi mi ha toccato il mantello?».

La risposta alla grande fede della donna è immediata; in un istante si sente liberata da quell’infermità umiliante ed è pronta a sparire… Ma subito Gesù, consapevole del dono che ha fatto, pone la domanda che inquieta i suoi discepoli e sembra ai loro occhi un’assurda pretesa.



31I discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla che ti si stringe attorno e dici: Chi mi ha toccato?».

I seguaci di Gesù ci somigliano molto; la domanda con cui rispondono all’interrogazione del Maestro è più che giustificata logicamente: pressato dalla gente, immerso nella calca… come può pensare di non essere toccato?



32Egli intanto guardava intorno, per vedere colei che aveva fatto questo.

Gesù sa ciò che chiede, è sicuro che una persona ha strappato da lui un miracolo; si guarda intorno cercando quel volto; uno sguardo di ricerca amorevole e penetrante, che non può essere ignorato e che attende una risposta.



33E la donna impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità.

La donna che voleva “scomparire” è piena di paura e trema: ciò che ha fatto potrebbe essere un ulteriore aggravamento della sua situazione; come ha potuto osare di coinvolgere nella sua impurità un rabbì? Cosa le potrà accadere? Per questo si prostra ai suoi piedi mentre gli racconta la sua vicenda e la sua ansia di vita.



34Gesù rispose: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male».  La risposta di Gesù è un inno alla fede: alla donna anonima la salvezza è venuta da questa sua fiducia incrollabile e Gesù la chiama con il dolce nome di figlia, regalandole oltre alla guarigione fisica il dono della sua pace.



35Mentre ancora parlava, dalla casa del capo della sinagoga vennero a dirgli: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?».

Il lieto fine per la donna sembra foriero di un dramma irreversibile per Giairo. Forse istanti preziosi sono stati consumati… e intanto la vita è sfuggita dal corpo della sua piccola. Per coloro che gli portano la notizia, tutto è finito e non è proprio il caso di incomodare nessuno.



36Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, continua solo ad aver fede!». 37E non permise a nessuno di seguirlo fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo.  

L’invito di Gesù a Giairo a non perdere la fiducia ribadisce la centralità della fede nel rapporto con Lui; infatti davanti alla notizia letale appena ricevuta la disperazione poteva aver fatto già capolino nel cuore di quel padre, che si appoggia ora alla volontà del Maestro di proseguire verso la sua casa.


Anche il congedo della folla e la scelta dei tre apostoli che accompagneranno il Signore nella gloriosa trasfigurazione e nella misteriosa agonia nel Getsemani mostra la volontà di Gesù di agire: nella discrezione, però con testimoni qualificati.





38Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava.

Il primo approccio alla casa mostra subito che i riti del lutto sono già incominciati; secondo l’uso orientale che prevedeva lamenti, urla, nenie funebri si percepiva una grande partecipazione a una sofferenza che è tanto più profonda davanti a una ragazzina alla quale venia strappato il futuro.



39Entrato, disse loro: «Perché fate tanto strepito e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». 40Ed essi lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della fanciulla e quelli che erano con lui, ed entrò dove era la bambina.

Gesù afferma qui la verità che riguarda ogni uomo; certo, la morte ghermisce il corpo, tuttavia essa si può giustamente definire un sonno tranquillo, in attesa del risveglio alla vita eterna. Non si spaventa se la sua affermazione suscita derisione, anzi mettere a tacere quelle manifestazioni scomposte di dolore e allontana con severità tutti gli estranei.



41Presa la mano della bambina, le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico, alzati!». 42Subito la fanciulla si alzò e si mise a camminare; aveva dodici anni. Essi furono presi da grande stupore.

La parola di risurrezione che Gesù pronuncia, tenendo la mano dell’adolescente, è un’eco preziosa della sua lingua materna: è tempo di stare in piedi, di mettersi nella posizione della vigilanza e della lode, di intraprendere un nuovo percorso di vita; a dodici anni deve iniziare un cammino di responsabilità e libertà. E tutto questo desta stupore in tutti i presenti: lo stupore/timore che impregna tutti i racconti della Risurrezione.

 


43Gesù raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e ordinò di darle da mangiare.

Risulta misteriosa la raccomandazione di Gesù di non far conoscere i particolari dell’accaduto; siamo nel contesto del “segreto messianico” che si potrà sciogliere soltanto quando a sua volta Egli vivrà l’esperienza della risurrezione che qui anticipa per una piccola figlia del suo popolo.


La mano di Dio

Non ordina come debba essere guarito l’ammalato, ma implora soltanto che sia guarito. Ma siccome era un arcisinagogo, possedeva la conoscenza della Legge ed aveva letto che, mentre le altre cose erano state create dalla parola, l’uomo era stato forgiato dalla mano di Dio. (Pietro Crisologo, Sermoni 33,3)



Il grido dell’angustia

L’emorroissa aveva speso tutto ciò che possedeva nei medici: poiché la sua anima aveva sofferto la fame e la sete, la sua anima era morta dentro di lei. Ma poiché aveva perduto tutte le sue sostanze, questa è la Chiesa riunita nelle nazioni, poiché la sua anima era morta dentro di lei, invocò il Signore nel momento del bisogno. Il tocco della veste del Signore fu il grido di un credente. (Girolamo, Commento al Salmo 106,5)



La domanda di Gesù

La domanda la fa guardandosi attorno per vedere in faccia colei che l’aveva fatto. Forse il Signore non sapeva che l’aveva toccato? E perché allora la cerca? Il comportamento è di uno che lo sa, ma vuole mettere in evidenza un fatto … Se Gesù non avesse posto la domanda, se non avesse detto: che mi ha toccato? (Mc 5,30), nessuno si sarebbe reso conto di un prodigio avvenuto. Avrebbero infatti potuto dire: Non ha fatto nessun prodigio, ma si sta dando arie e parla per vanagloria. Per questo pone la domanda, affinché quella donna confessi l’accaduto e Dio venga glorificato. (Girolamo, Omelie sul Vangelo di Marco 3)



Convalidare la risurrezione

Poiché il mangiare è proprio di quelli che vivono questa vita presente, necessariamente il Signore per mezzo del mangiare e del bere provò la risurrezione della carne a quelli che non ne riconoscevano l’autenticità. E fece la stessa cosa nel caso di Lazzaro e della figlia di Giairo. Quando ebbe risuscitato quest’ultima, ordinò che le fosse dato da mangiare (cf. Mc 5,43). (Teodoreto di Cirro, Il mendicante 2)



Le tre tappe della fede

Questo brano, che ha come centro la fede, illustra anche i tre momenti attraverso cui essa cresce e si sviluppa nella sua pienezza.

A un primo livello c'è una fede incipiente, la quale sa che il contatto con Gesù porta la guarigione. Qui credere significa semplicemente la vista della propria pochezza e miseria e la fiducia nella potenza di Dio efficace in Gesù. Di questo è convinta l'emorroissa: tutto è possibile a Gesù. La fede è così una prima partecipazione all'onnipotenza divina. Ritenendo se stessa capace di nulla e Dio, Gesù, capace di tutto, essa lascia agire Dio, permettendogli di intervenire.

Il secondo livello di fede è suscitato dallo sguardo di Gesù, che cerca l'emorroissa e crea quella comunione che porta a un dialogo tra i due. Da questo dialogo, in cui Gesù prende l'iniziativa, sgorga la parola di salvezza e di pace: «La tua fede ti ha salvata; va' in pace! ». E' la parola di Gesù, in cui la fede non ha più come risultato la semplice guarigione, ma diventa salvezza per l'uomo. In questa sua parola, la fede ci mette in rapporto personale con Gesù Cristo che ama e libera, e ci porta quindi a riconoscere la presenza del regno. Così non solo veniamo guariti dalla nostra miseria, ma viene dischiuso il limite stesso nel quale siamo bloccati.

Questa fede è un incontro personale con Gesù, un dialogo che ci rapporta a lui e crea un reciproco legame che ci dà accesso al mistero della sua persona.

E’ la fede come fiducia personale, che ha senso ed evidenza immediata solo all’interno di questo rapporto.

Il terzo livello di fede, quello più elevato, è quanto Gesù esige da Giairo.

Qui si tratta di una fede che ha un risvolto oggettivo inaudito, nel quale si manifesta la pienezza della gloria di Dio. Questa fede è un affidarsi totale all'amore fedele di Dio, che non permetterà al suo eletto di conoscere la corruzione del sepolcro (cf. Sal 16, l0).

Arrivati alla fede in Gesù che può fare ogni cosa e al dialogo con lui che ci dischiude un mondo nuovo, la nostra fede può credere e riconoscere a Gesù la capacità di vincere la morte - il dato più «oggettivo» dell'uomo - e di manifestare in essa la potenza del Dio dei vivi. Chi si affida totalmente a Dio, ha la fiduciosa sicurezza di poggiare su un solido fondamento, che non può venir meno a quanto promette in Gesù. Solo così, per la promessa che ci si rivela in Gesù, nasce la fede nella risurrezione e nella vita.

«Credi tu questo?», dice Gesù a Marta (Gv 11,26). La comunione, nella quale Dio ci ha accolto in Gesù, non si interrompe con la morte, ma ci rende certi che sussisteremo per sempre presso di lui.

Questa è la fede che dà la vita eterna, che non conosce più la morte, se non come l'ultimo nemico che è stato annientato (1 Cor 15,26). (T. Beck – U. Benedetti – G. Brambillasca – F. Clerici – S. Fausti, Una Comunità legge il Vangelo di Marco, EDB, p. 187)



Cari fratelli e sorelle,

nell’odierna domenica, l’evangelista Marco ci presenta il racconto di due guarigioni miracolose che Gesù compie in favore di due donne: la figlia di uno dei capi della Sinagoga, di nome Giàiro, ed una donna che soffriva di emorragia (cfr Mc 5,21-43). Sono due episodi in cui sono presenti due livelli di lettura; quello puramente fisico: Gesù si china sulla sofferenza umana e guarisce il corpo; e quello spirituale: Gesù è venuto a guarire il cuore dell’uomo, a donare la salvezza e chiede la fede in Lui. Nel primo episodio, infatti, alla notizia che la figlioletta di Giàiro è morta, Gesù dice al capo della Sinagoga: «Non temere, soltanto abbi fede!» (v. 36), lo prende con sé dove stava la bambina ed esclama: «Fanciulla, io ti dico: àlzati!» (v. 41). Ed essa si alzò e si mise a camminare. San Girolamo commenta queste parole, sottolineando la potenza salvifica di Gesù: «Fanciulla, alzati per me: non per merito tuo, ma per la mia grazia. Alzati dunque per me: il fatto di essere guarita non è dipeso dalle tue virtù» (Omelie sul Vangelo di Marco, 3). Il secondo episodio, quello della donna affetta da emorragie, mette nuovamente in evidenza come Gesù sia venuto a liberare l’essere umano nella sua totalità. Infatti, il miracolo si svolge in due fasi: prima avviene la guarigione fisica, ma questa è strettamente legata alla guarigione più profonda, quella che dona la grazia di Dio a chi si apre a Lui con fede. Gesù dice alla donna: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male!» (Mc 5,34).

Questi due racconti di guarigione sono per noi un invito a superare una visione puramente orizzontale e materialista della vita. A Dio noi chiediamo tante guarigioni da problemi, da necessità concrete, ed è giusto, ma quello che dobbiamo chiedere con insistenza è una fede sempre più salda, perché il Signore rinnovi la nostra vita, e una ferma fiducia nel suo amore, nella sua provvidenza che non ci abbandona.

Gesù che si fa attento alla sofferenza umana ci fa pensare anche a tutti coloro che aiutano gli ammalati a portare la loro croce, in particolare i medici, gli operatori sanitari e quanti assicurano l’assistenza religiosa nelle case di cura. Essi sono «riserve di amore», che recano serenità e speranza ai sofferenti. Nell’Enciclica Deus caritas est osservavo che, in questo prezioso servizio, occorre innanzitutto la competenza professionale - essa è una prima fondamentale necessità - ma da sola non basta. Si tratta, infatti, di esseri umani, che hanno bisogno di umanità e dell'attenzione del cuore. «Perciò, oltre alla preparazione professionale, a tali operatori è necessaria anche, e soprattutto, la “formazione del cuore”: occorre condurli a quell'incontro con Dio in Cristo che susciti in loro l'amore e apra il loro animo all'altro» (n. 31).

Chiediamo alla Vergine Maria di accompagnare il nostro cammino di fede e il nostro impegno di amore concreto specialmente verso chi è nel bisogno, mentre invochiamo la sua materna intercessione per i nostri fratelli che vivono una sofferenza nel corpo e nello spirito. (Papa Benedetto XVI, Angelus del 1 luglio 2012)

DAL SITO :

FIGLIE DELLA CHIESA

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