p. Fabrizio Cristarella Orestano"PER LA VITA E PER LA SALVEZZA "Monastero di Ruviano

XIII Domenica del Tempo Ordinario (B) – Lasciarsi toccare
  25 giugno 2015 | Anno 2014/15, Mc cap. 05, Omelie Anno B, Vangelo di Marco
 Monastero di Ruviano 
Sap 1, 13-15;2, 23-24; Sal 29; 2Cor 8, 7.9.13-15; Mc 5, 21-43
Continua la serie di “miracoli” con cui Marco conferma, con gli atti, le parole che Gesù ha pronunziato con autorità. Anche qui, come nel passo precedente della tempesta sedata che si
leggeva la scorsa domenica, c’è un passaggio dalla potenza di Gesù che vince ogni impurità alla necessità della fede.
Tutto ciò che è per la vita e per la salvezza è possibile a Dio, è possibile a Gesù!
Questa possibilità, però, non è dispiegata come potenza sovrumana che schiaccia le nostre impotenze, che le umilia umiliandoci. Dobbiamo invece dire che la potenza d’amore che salva, presente in Gesù, diventa accessibile all’uomo solo per una via: la via della fede!
E’ la fede che dà accesso e a Giairo e alla donna emorroissa a quella potenza di vita e di salvezza che è in Gesù.
Certo la fede è un rischio…e non solo perché è un fidarsi dell’invisibile e di ciò che non è misurabile con i nostri soliti metri, ma perché espone il credente a prendere una posizione, a fare una scelta di campo, ad essere guardato con sospetto da chi è pieno di “buon senso” e di “buona educazione”.
La donna malata di emorragie, infatti, ha dovuto sopportare su di sé gli sguardi di disprezzo e di derisione dei presenti; ha dovuto e voluto svelare se stessa di fronte alla domanda di Gesù su chi l’avesse toccato; e l’ha fatto dinanzi ad una folla ostile a lei che aveva avuto attenzione da quel Rabbi famoso… Tra tutta una folla che toccava e spintonava Gesù, in verità, però, solo lei lo aveva toccato con la fede: gli altri forse l’avevano toccato con l’entusiasmo, con la curiosità, con il desiderio d’avere dei benefici.
Di certo, di fatto, lei sola ha sperimentato la “dùnamis” di salvezza che usciva da Gesù, perché lei aveva una certezza scevra da ogni dubbio: «Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello sarò guarita».
Ha dovuto affrontare gli sguardi di giudizio dei benpensanti che, certamente, l’hanno condannata per il suo gesto “disobbediente” a tutte le leggi di purità contenute nella Scrittura: una donna come lei, con quelle emorragie, non solo era impura, ma faceva contrarre impurità a chiunque la toccava. La donna dunque ha fatto contrarre impurità a Gesù…ma è quello che Gesù voleva da quando ha scelto, nel suo primo giorno “pubblico”, di mettersi in quella fila di peccatori sulla riva del Giordano; fin da allora Gesù s’era messo dalla parte degli impuri diventando – come dice il Battista nel Quarto Evangelo – «l’agnello di Dio che porta su di sé il peccato del mondo» (cfr Gv 1, 29).
Tra gli sguardi ostili su questa donna si delinea però un altro sguardo; quello di Gesù che le annunzia con amore un evangelo: la chiama “figlia”, le rivela la potenza della sua fede, e le dona pace e salvezza.
Questa piccola donna ritorna alla vita, e alla vita dignitosa che ogni essere umano dovrebbe avere; torna nell’anonimato e nel silenzio, ma ormai la sua mano ha toccato il “fuoco” di Dio, non solo perché ha toccato il corpo di Gesù, ma perché si è lasciata toccare, “bruciare” dalla fede.
Marco ha incastonato il racconto della donna emorroissa all’interno di un racconto più ampio: quello della figlia di Giairo. Anche Giairo ha dovuto affrontare gli altri per mostrare e vivere la sua fede; anche Giairo ha dovuto esporsi al ridicolo, e all’idea che di lui si fanno gli altri: un povero padre “impazzito” di dolore tanto da sperare pateticamente l’impossibile.
I saggi amici di Giairo, infatti, gli dicono parole di “buon senso”, parole di “buona educazione”: «Non disturbare più il Maestro: tua figlia è morta!»
Il buon senso comune dice che “alla morte non c’è rimedio”…ecco tutto. Tuttavia, dove c’è Gesù, noi dovremmo saperlo: questa frase non ha più senso!
Il problema è che per tanti cristiani continua ad avere senso perché, in fondo, per loro Gesù è solo un “sapiente”, un “maestro”, un uomo buono e caritatevole, uno che insegna cose buone, un maestro di sana morale…basta!
Ma Gesù non è questo, o per lo meno non è affatto solo questo: Gesù è salvatore e non in virtù della sua potenza, ma in forza del suo amore che rischia, che prende per mano la morte. Se, infatti, nella scena precedente è stata la donna a far contrarre impurità a Gesù con il toccarlo nella sua condizione di impura, qui, nella casa di Giairo, è Gesù stesso che, prendendo per mano la bimba morta, contrae l’impurità che il tocco di un cadavere conferiva. In definitiva, è Gesù che prende su di sè la nostra impurità, anche la nostra suprema impurità che è la morte!
I “saggi” che sono presenti, se hanno benevola compassione per quel “padre impazzito di dolore”, deridono Gesù perché chiama “sonno” la morte. Siamo alle solite: “alla morte non c’è rimedio“!
In questa situazione Gesù chiede il silenzio, vuole il silenzio, e Marco ci conduce “in alto”, ci porta su un “osservatorio altissimo”: la Pasqua di Gesù. E’ da lì che bisogna guardare questa scena, perché essa è rivelativa di come la Pasqua di Gesù sia vittoria sulla morte per noi, per le nostre membra fredde di morte come le manine di quella bambina, per le nostre speranze spezzate nel fiore della vita (la ragazzina ha dodici anni!).
Per questo motivo Marco  usa i due verbi della Risurrezione: “eghéiro” (“alzarsi”) e “Anìstemi” (“mettersi in piedi”), e ci mostra che Gesù chiama con sé i tre discepoli che saranno testimoni sia della gloria della Trasfigurazione che della prostrazione mortale, della sfigurazione del Getsemani. Sono cioè i testimoni di luce e di tenebra: Pietro, Giovanni e Giacomo chiamati ad essere testimoni della sintesi tra i due momenti… si giunge alla vita attraversando l’oscura valle della morte.
Anche per questo straordinario “miracolo” di risurrezione la potenza di Gesù non si manifesta in modo “inumano”, ma passando per la fede di quel padre che accoglie in silenzio la parola che Lui gli dice: «Non temere. Continua solo ad avere fede!».
Parole di una semplicità disarmante, parole “illogiche” che dovremmo però sentirci risuonare nel profondo in ogni ora di buio, in ogni ora che pare senza sbocchi e senza vie d’uscita. Solo fede!
Ecco la possibilità, ecco la via di accesso alla potenza di amore di Gesù, ecco l’accesso alla sua potenza che salva: una potenza “debole” perché esposta a pagare il prezzo della condivisione assoluta, sia dell’impurità presa su di sé sia della morte, che per Lui sarà addirittura morte di croce!
E lì, sul Golgotha, morte e impurità saranno assieme, al massimo grado dell’orrore, ma – attraversate dalla forza di quell’amore fino all’estremo  – si trasformeranno in vita per il mondo.
Mettiamo fede in questa “potenza debole”?
Se lo facciamo, dobbiamo sapere che intanto il mondo ne riderà.
p. Fabrizio Cristarella Orestano

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