Carla Sprinzeles " "Voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato i pani e vi saziaste."

Commento su Es 16,2-4.12-15; Gv 6,24-35
XVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (02/08/2015)
Vangelo: Gv 6,24-35
Oggi vorrei proprio che ci facessimo sinceramente una domanda, perché vedo attorno a me che molte persone sono persuase che per loro, la condizione migliore è la sottomissione, la schiavitù, hanno paura di perdere le sicurezze che hanno ottenuto da questo stato. La schiavitù
non è una condizione ma una convinzione, non una situazione ma un atteggiamento, parlo anche di schiavitù subdole tra genitori e figli, tra figli e genitori magari già anziani, tra coniugi o tra amici. Ci si convince di essere indispensabili l'uno all'altro, magari ci si lamenta e si dice che quella croce ce l'ha data il Signore!
La vera schiavitù è quella dei cuori, delle convinzioni!
E' stato inutile per Mosè far uscire il popolo dall'Egitto, poiché la schiavitù era radicata nel cuore degli ebrei. Gli schiavi non sanno che farsene della libertà, più si allontanano dalla terra di oppressione più cresce il rimpianto per la schiavitù.
Rimpiangono le cipolle che mangiavano in Egitto e guardano con nausea i doni del Signore: la manna!
ESODO 16, 2-4. 12-15
Oggi leggiamo dal libro dell'Esodo il passo dove il popolo è itinerante nel deserto, in marcia verso la terra promessa.
Il deserto non è una patria, è una brughiera incolta dove le sorgenti sono rare, la vegetazione magra. La vita poi è sinonimo di lotta: lotta contro una natura capricciosa, per lo più avara, lotta contro le insidie degli animali, lotta contro Dio che chiede un'adesione al buio.
Il popolo mormora contro Mosè e Aronne: meglio la vita magra da schiavi, con le sue sicurezze, che una rosea ma meno sicura.
L'uomo non si fida di Dio e preferisce crogiuolarsi nelle sue certezze.
Il Signore manda le quaglie e la manna. Quest'ultima è un prodotto ancora oggi reperibile nella penisola del Sinai dovuto alla secrezione provocata dalla puntura di insetti sulle foglie del tamerisco. Al mattino tale secrezione cade a terra come grani biancastri. I beduini la apprezzano e la utilizzano come alimento ricco di zuccheri.
Mosè ne parla come il pane che il Signore ha dato in cibo e l'autore del libro della Sapienza lo interpreta come il simbolo della dolcezza di Dio.
Tale testo prepara la rivelazione del vero pane del cielo, di cui la manna era annuncio e figura.
Ma torniamo alla domanda da farci, ci interessa questo tipo di pane o siamo già sazi, se pure scontenti, delle nostre piccole soddisfazioni?
Non è una domanda banale perché si vede sempre più una società, magari piena di paure, di insoddisfazioni, di vuoto interiore, ma per niente affamata del pane, dei doni che il Signore vuole farci....vediamo di dirci la verità e essere sinceri con noi stessi!
GIOVANNI 6, 24-35
Continuiamo il testo del vangelo di Giovanni al capitolo 6, perché è fondamentale.
Domenica scorsa Gesù ha dato da mangiare pane e pesci a 5000 persone, saputo che Gesù si trovava a Cafarnao, la folla si era messa sulle sue tracce e lo aveva raggiunto. Ma l'accoglienza da parte di Gesù non era stata entusiasta: "Voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato i pani e vi saziaste."
Gesù rimprovera la folla: hanno mangiato il pane senza aver compreso che era frutto del suo amore e della generosità dei discepoli. Questo era il segno che gli uomini avrebbero dovuto vedere nei pani, e che li avrebbe dovuti spingere a farsi pane per gli altri. Ma la folla non cerca segni, vuole prodigi, vuole il pane per sé, per questo chiede a Gesù, quale Messia, di compiere di nuovo i portenti di Mosè nel deserto:
"i nostri padri mangiarono la manna nel deserto...".
Il Cristo non intende seguire le orme dei padri, ma del Padre. Lui non è legato alla terra, ma è rivolto a tutta l'umanità.
Gesù non si identifica col popolo e, anziché rifarsi ai "nostri padri", parla di "vostri padri".
"I vostri padri mangiarono la manna nel deserto e morirono".
Gesù ha infilato il coltello nella piaga, denunciando il fallimento dell'esodo dall'Egitto: nessuno di quelli che erano usciti con Mosè dalla terra di schiavitù è entrato nella terra promessa, neanche Mosè, morto sul monte Nebo.
Secondo la scrittura, il motivo del fallimento dell'esodo fu il non aver ascoltato la voce di Dio:
"Infatti i figli di Israele avevano camminato per quarant'anni nel deserto, finché tutta la nazione, cioè tutti gli uomini di guerra che erano usciti dall'Egitto, furono distrutti, perché non avevano ascoltato la voce del Signore".
L'avvertimento che Gesù lancia ai suoi ascoltatori è chiaro: se non accolgono la parola rischiano, come la generazione del deserto, di morire senza essere entrati nella terra della libertà.
Gesù prende le distanze anche dalla manna. Questo era stato un episodio isolato, che riguardava il passato, ed era unicamente per il popolo di Israele, mentre il Cristo si presenta come una nuova e definitiva realtà che riguarda l'umanità intera:
"Io sono il pane, quello vivente, quello disceso dal cielo. Se qualcuno mangia di questo pane, vivrà in eterno, e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo".
Il dono di Dio all'umanità, il vero pane del cielo che comunica una vita capace di superare la morte, passa attraverso la carne di Gesù, la sua umanità, e l'evangelista sottolinea ciò adoperando il termine greco sarx, che indica l'uomo nella sua debolezza.
Non esistono manifestazioni divine che non si esprimano attraverso la "carne" perché è solo nell'umanità dell'uomo che Dio si rende visibile, come Gesù rivelerà a Filippo:
"Chi ha visto me, ha visto il Padre!"
La potenza di Dio si manifesta nella debolezza dell'uomo, ma un Dio che si manifesti nella debolezza della carne è l'opposto dell'onnipotente divinità della religione, il Dio lontano e inaccessibile verso il quale l'uomo deve innalzarsi liberandosi dalla condizione umana!
Mentre il Signore si fa carne per incontrare l'uomo, l'uomo vuole distaccarsi dalla carne per avvicinarsi al Signore. Così sono destinati a non incontrarsi mai, anzi più l'uomo si spiritualizza, più si allontana da un Dio che si è fatto carne e si è reso profondamente umano.
Qello che per i Giudei è uno scandalo intollerabile, che l'Altissimo Dio si potesse manifestare nella "carne", che potesse essere visto e toccato, con Gesù diventa realtà quotidiana per i credenti.
L'uomo deve cercare il Cristo, non il passato: deve aprirsi a una novità, non a una riedizione.
I giudei, ma anche noi oggi, non sono aperti alla novità, chiedono: quali sono le opere, ossia le pratiche, i precetti da osservare, che cosa dobbiamo fare per impegnarci nelle opere di Dio?
Questa domanda suppone che la salvezza sia una conquista dell'uomo.
Per Gesù la salvezza è dono e "l'opera" dell'uomo è una sola, cioè l'accoglienza del dono, la fede. Per cercare Dio non basta compiere le opere della legge, né osservare pratiche: occorre credere.
Credere però a un Dio incarnato. E' più facile per noi credere a un Dio onnipotente, a un Dio che soddisfi i nostri bisogni, anziché assumerci la fatica di cercare metodi nuovi nati dalla fede.
Preferiamo dipendere da qualcuno anziché diventare autonomi.
Ma come può essere un uomo il "pane della vita"?
Cristo è costantemente collegato al Padre e attraverso di lui, l'Amore increato sazia ogni fame, ogni sete interiore e fa spuntare la creatività.
Tutta la vita ci sforziamo di avere di più, apparire di più, essere amati di più, e ci troviamo vinti dallo stress e più affamati che mai, più vuoti di prima, perché restiamo come esiliati da noi stessi, fuori dalla nostra interiorità.
Credere è anche credere in noi, nel profondo del nostro cuore, c'è un'altra vita che può esaudire ogni desiderio, renderci liberi da falsi bisogni, che ci creiamo finché viviamo nell'esteriorità.
Amici, Gesù è venuto a dare all'umanità sfinita da relazioni di dipendenza o di concorrenza, il vero pane. Lui è il vero pane perché solo lui ci ama realmente e ci guida al Padre, che si manifesta nel profondo del cuore di ciascuno.
Smettiamo di accettare la schiavitù, la dipendenza, la concorrenza e affidiamoci al suo grande Amore.

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