FRA.MASSIMO DOM “Quanto ne volevano”

XVII DOMENICA – 26 LUGLIO 2015
2Re 4,42-44; Sal 144/145;  Ef 4,1-6; Gv 6,1-15
O Padre, che nella Pasqua domenicale ci chiami a condividere il pane vivo disceso dal Cielo, aiutaci a spezzare nella carità di Cristo anche il pane terreno, perché sia saziata ogni fame del corpo e dello spirito.
“Comportatevi in maniera degna della vocazione che
avete ricevuto, con umiltà, dolcezza, magnanimità.”  “Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?”
“Ma Gesù, sapendo che venivano a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, lui da solo.”.

Il miracolo compiuto da Gesù insinua nella gente la convinzione che un re, capace di sfamare intere folle con uno schiocco di dita e voilà, era un’occasione da non perdere per niente al mondo.
Ma Gesù rifiuta di essere strumentalizzato dagli uomini…
La verità è che noi non riusciamo proprio ad acquisire la mentalità del dono.
La mentalità del dono, la mentalità di Gesù, è quella cosa, per la quale si fa del bene, si riceve del bene, senza pretendere alcunché in cambio del dono fatto, e senza sentirsi obbligati a rendere alcunché in cambio del dono ricevuto…
Chi ha organizzato il matrimonio suo, o altrui, sa che il valore dei legami affettivi – parentela, amicizia… – sono spesso misurati in base al valore (monetario) del regalo di nozze;  che tristezza!
Ma torniamo al senso di gratuità:  abbiamo certo sentito, o anche pensato e pronunciato, espressioni del tipo: “Neanche un po’ di riconoscenza! manco un grazie…!”.  Intendiamoci:  un conto è l’educazione a ringraziare, che non è solo sintomo di buona creanza, ma è un modo, anche cristiano, di esprimere che abbiamo accolto il dono.  Un conto è, invece, pretendere il ‘grazie’;  analogamente, il discorso deve essere fatto per il perdono (cristiano), che è in assoluto il dono più grande:  Gesù ci insegna che il perdono si deve dare, sempre; tuttavia non si può pretendere, ma solo invocare!
Venendo ora direttamente alle letture, apprendiamo con una certa sorpresa che anche l’AT contiene casi di moltiplicazione del pane, analoghi a quello compiuto da Gesù:  non solo il profeta Eliseo propiziò con la sua fede il miracolo che la prima lettura ci ha raccontato.  Elia il grande al quale Eliseo succedette nel ministero profetico, ebbe a che fare con un analogo evento prodigioso (cfr. 1Re 17,9-16):  chiese ospitalità ad una povera vedova di Zarepta di Sidone, una donna pagana, al tempo della grande carestia:  costei lo ospitò in casa sua per diversi giorni, e gli mise a disposizione le sue sostanze, ormai quasi esaurite… L’Onnipotente non fece mancare, né la farina nella giara, né l’olio nell’orcio, affinché potessero mangiare lei, il suo unico figlio ed Elia profeta.
Questo episodio fu raccontato da Gesù in occasione di un suo intervento nella sinagoga del suo paese (cfr. Lc 4,25ss.), suscitando le ire degli ascoltatori…
Il capitolo sesto di Giovanni tiene il posto del breve racconto dell’istituzione dell’Eucaristia, che gli altri evangelisti inseriscono nel contesto dell’ultima cena.  Il lungo capitolo sesto è interamente dedicato al discorso sul pane di vita che Gesù pronuncia a margine del miracolo della moltiplicazione dei pani, e ci aiuta a riflettere sulla misericordia divina, la quale non conosce alcuna discriminazione, non fa differenza tra chi e degno di ricevere il pane e chi non lo è…
Sono convinto che, quando Gesù sfamò quella folla esagerata, non precisò:  “Attenzione, questo pane è riservato a coloro che sono in grazia di Dio”….   Ce n’era per tutti, e ne avanzò pure!
Dio non ha il braccino corto, come noi… lo ripeto: la Sua generosità non fa alcuna distinzione di persona, come facciamo noi…
Io sono certo che questo particolare del Vangelo odierno ancora ci scandalizza e sempre ci scandalizzerà: il fatto che, tra quella gente, ci fossero persone che non meritavano un simile dono di Dio. Eppure, neanche gli apostoli, mandati dal Signore a distribuire pani e pesci, neanche loro fecero alcun distinguo. Anzi, tutto lascia presagire che i Dodici abbiano avuto l’ordine da Gesù, affinché tutti ne potessero mangiare;  letteralmente, “quanto ne volevano”,.
Il Vangelo pone dunque la questione del (pericoloso) rapporto di forza tra la fede e la morale, che agita i nostri ambienti su talune questioni che tutti conosciamo: quando un certo Magistero raccomanda di accogliere doverosamente, secondo carità e misericordia il (singolo) caso personale, ma poi stigmatizza, o addirittura condanna situazioni di convivenza e appartenenze di genere, si verifica, appunto, un cortocircuito tra i contenuti della fede – la carità e la misericordia – e la riprovazione morale della società cattolica. Questo cortocircuito è difficile da spiegare, soprattutto a coloro che, loro malgrado, sono parte in causa... A meno che una delle due affermazioni, la prima, non si riduca a una pura teoria.  Ma se è così, se il primato della carità e della misericordia resta puramente teorico, mentre ciò che, in fin dei conti, davvero conta – perdonate il bisticcio – è la morale, allora la fede rischia di abdicare alla morale, così come accadeva ai tempi di Gesù, quando la morale farisaica – espressione divenuta non a caso proverbiale – trionfava sulla purezza ed essenzialità delle Dieci Parole, la Legge di Mosè.
“Ma Gesù, sapendo che venivano a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, lui da solo.”: quando il Dio della fede entra in conflitto con il dio della morale, il primo abbandona il campo e, semplicemente, si ritira…  Qualcosa del genere intese esprimere il filosofo tedesco Martin Heidegger, quando, citando Hölderlin, scriveva che i poeti sono gli odierni sacerdoti, che celebrano le tracce di un Dio costretto alla fuga dalla società occidentale, tecnologica e benpensante...
Certo che questa finale di vicenda lascia un po’, parecchio, con l’amaro in bocca, non trovate?
In verità il discorso non finisce qui: il sesto capitolo di Giovanni è appena cominciato e continuerà per altre 4 domeniche.  Non perdetevi le prossime puntate!


DAL SITO
PAROLE DI CARNE

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