Mons. Silvano Piovanelli"Il pane che sazia"

2 agosto -  XVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO. «Chi viene a me non avrà fame»
 SPIRITUALITÀ E TEOLOGIA
29/07/2015 di Silvano Piovanelli
Comincia oggi quello che nel  Vangelo di Giovanni  è chiamato il «discorso sul pane di vita». All’inizio noi siamo con la folla in una situazione di mancanza: «Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli». Le persone che
hanno mangiato il pane moltiplicato, hanno perduto Gesù e lo cercano.

Ma chi cercano?  Rincorrono il taumaturgo, cercano colui che ha saziato la loro fame, colui che ha risolto il loro problema immediato e materiale. Per questo  Gesù li rimprovera: «mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato… e vi siete saziati».  La gente non aveva colto la portata vera di quel segno (il pane moltiplicato nel deserto). Anzi. Presi dall’entusiasmo di avere un profeta  in grado di dare pane in abbondanza e con poco sforzo, avevano cercato di prenderlo per farlo re e lui si era ritirato e nascosto da loro sul monte (Gv 6,14-15). È facile per tutti - anche per me, anche per te - «perdere» Gesù, perché non ne accogliamo la Parola,  ed è facile  ricercarlo solo per il proprio interesse e il proprio vantaggio.

Gesù inizia con una vigorosa contrapposizione tra «il cibo che perisce» (il pane che nutre il nostro corpo) e «il cibo che dura per la vita eterna» (l’Eucaristia di cui il pane moltiplicato è segno sacramentale: Lui è il vero pane disceso dal cielo).

Esiste dunque una lettura superficiale, anche se valida, del gesto della moltiplicazione dei pani: è la lettura che riguarda «il presente», cioè il dono concreto, materiale e immediato che risponde ad una esigenza fisica.
Ma esiste anche - ed è di suo primaria - una lettura profonda e teologica: Cristo ha ricevuto nel battesimo il «sigillo» del Padre (1,33; 10,36) ed è divenuto, mediante l’offerta di se stesso, Salvatore di quanti si nutrono di Lui come Parola di verità e Pane di vita. Alla gente che chiede cosa bisogna fare per compiere le opere di Dio (quasi fossero le opere di pietà necessarie per guadagnarsi il paradiso), Gesù risponde al singolare: questa è «l’opera di Dio: credere in colui che egli ha mandato». Non si tratta di moltiplicare le opere, ma di fare una cosa sola: fidarsi e affidarsi a Colui che il Padre ha mandato. La fede è la dedizione perfetta al Dio che opera. «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito» (Gv 3,16). Dare il Figlio unigenito: ecco l’opera di Dio. La risposta dell’uomo è accettare il dono, cioè «credere in colui che egli ha mandato» e per il Figlio, col Figlio e nel Figlio rispondere al dono di Dio col dono di tutta la vita: come figli nel Figlio.

«Una fame e una sete che diventano sorgente zampillante»(cf Gv 4,14)! Gesù non viene a togliere agli uomini, semplicemente,  la fame dello stomaco, né a dire loro che i bisogni materiali non sono importanti e devono farne astrazione. Egli obbliga a scavare il desiderio e i bisogni. L’uomo non può vivere facendo astrazione dal mondo in cui respira e si nutre. Né  può vivere senza mettersi in relazione con gli altri e, finalmente,  con lo stesso Signore Dio. È questo che Gesù propone all’uomo di tutti i tempi. Anche all’uomo di oggi. Questo sazia veramente, disseta davvero. Questo fa vivere.

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