p. Fabrizio Cristarella Orestano " PER STARE CON LUI"

XVI Domenica del Tempo Ordinario – Attorno a Gesù  MONASTERO DI RUVIANO
  16 luglio 2015 | Anno 2014/15, Mc cap. 06, Omelie Anno B, Vangelo di Marco
Ger 23, 1-6; Sal 22; Ef 2, 13-18; Mc 6, 30-34
I Dodici inviati tornano…
Ecco così che, se domenica scorsa avevamo contemplato l’inizio della corsa dell’Evangelo per le strade del mondo, oggi contempliamo
l’inizio di una vera vita comunitaria, capace di mettere assieme gioie, fatiche, stupori, dolori, fallimenti, preoccupazioni, stanchezze; una vita comunitaria che ha al centro Gesù («Si riunirono attorno a Gesù»), e che solo lì trova conforto, riposa, forza.
Una vita ecclesiale, apostolica, colma di attività al servizio del Regno, se non trova il suo centro reale (e dunque non ideale o intenzionale!) in Gesù, diventa altro: smarrisce la forza libera dell’Evangelo, si perde nei rivoli delle contese e delle rivalità, o nelle pastoie delle recriminazioni e dei lamenti o nelle autoesaltazioni.
Attorno a Gesù!
E Lui è lì per accogliere e difendere, per offrire riparo e riposo, è lì per dichiarare con dolce fermezza la necessità di un “altrove” solitario per un riposo con Lui!
E’ vero che nel racconto di Marco di oggi questo non accade fino in fondo, in quanto le folle ancora premono e sono spaesate ed abbandonate, ma ciò non destituisce di importanza la dichiarazione della necessità di questo tempo con Lui, del tempo del riposo, del tempo dell’”altrove”!
Le folle premono, e generano in Gesù quel moto che è all’origine di tutto l’Evangelo: la commozione-compassione! Ed è all’origine dell’Evangelo perché è la causa dell’Incarnazione… la causa della Croce.
Unisco i due termini (commozione e compassione) per designare meglio cosa sia questo moto che avviene in Gesù: è un dolore profondo, un dolore viscerale, “irragionevole”; è come il dolore materno,  profondo perché proveniente dalle “viscere” in cui il figlio si è formato. Questo è suggerito dal verbo greco “splanchnίzomai” che deriva dalla parola “splánchna” (“viscere”) che significa appunto “sentire dolore nelle viscere”.
Cuore dell’Evangelo è allora questa commozione profonda, una commozione che rivela l’amore ed è ragione di ogni moto di donazione da parte di Dio. Andare “in disparte con Lui“ per riposare significa dunque, per il credente, andare alla fonte di questo amore, che quando si incontra con la miseria – povertà e smarrimento dell’uomo – si concretizza in commozione, in “dolore nelle viscere”.
Lo stare con Lui abilita i discepoli a questo sentire con Cristo; stare con Lui significa imparare a sentire quella sua commozione-compassione; è imparare a far scaturire dall’amore la concretezza della compassione che, alla fine, si deve tradurre necessariamente in desiderio di portare gli stessi pesi, gli stessi dolori.
La commozione di Gesù si tradusse infatti nella sua piena condivisione della nostra umanità, della nostra morte e del nostro dolore; chi prova quella stessa commozione profonda non può rimanere fuori dal dolore dell’amato, al contrario, lo vuole abitare e portare! Così fece Gesù, e così è necessario che faccia la sua Chiesa!
Questo, però, sarà possibile solo se i suoi discepoli avranno sempre il “coraggio” di dare spazio al silenzio colmo di Lui, alla solitudine abitata da Lui, al riposo in Lui. Guai a chi ritiene non necessario quel salire sulla barca dell’“anachòresis” (cioè del “prendere le distanze” dal quotidiano) e del riposo in Lui.
Il rischio è, come sempre, quello di smarrire l’identità del discepolato di Cristo e di vestire i panni di una delle tante (e, per carità, anche benemerite!) associazioni filantropiche!
Bisogna farsi convinti che è il vero rapporto con Cristo che rende i nostri rapporti intra-umani veri e profondi, e scevri da ogni egoismo.
La commozione-compassione di Gesù sorge dal vedere che quelle folle sono sole, nessuno se ne fa carico, nessuno le guida…
Dove vanno? Che speranze hanno in cuore? Hanno ancora speranze? Di cosa si “nutrono”?Gesù le guarda con amore, e si fa loro pastore; si fa per loro nuovo Mosè che deve e può guidare ad una vera terra di libertà, ad una terra promessa di pace e di riconciliazione. Darà loro il pane, come Mosè diede il pane della manna, e poi, nel suo Esodo (cfr Lc 9, 31) aprirà per quelle folle e “per moltitudini” (cfr Mt 26, 28), una via di salvezza, una via di autentica umanità. Nuovo Davide, come ha scritto Geremia nell’oracolo che abbiamo ascoltato come prima lettura, li pascerà nella giustizia facendo misericordia e regnando dalla Croce.
Salire sulla barca di questo Messia è sì riposare con Lui, è sì presa di distanza dal quotidiano ma per tornare agli uomini con lo stesso amore costoso del Messia Gesù: un amore che si fa con-passione e quindi dono.
Salire su quella barca è condividere con Lui le sue due “passioni”: quella per il Padre, da ricercare incessantemente nel silenzio, e quella per l’uomo da servire umanizzandolo ed indicandogli vie di vita, portandone i pesi e le ferite, senza darsi sconti.
Le due “passioni” devono sempre stare assieme e mai, né l’una né l’altra, in modo implicito!
Le vere “passioni” non tollerano l’implicito!
p. Fabrizio Cristarella Orestano

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