Abbazia Santa Maria di Pulsano LECTIO DIVINA«II DISCORSO EUCARISTICO»

DOMENICA «II DEL DISCORSO EUCARISTICO»
XIX del Tempo per l’Anno B
Giovanni 6,41-51 (leggere 6,36-51); 1 Re 19,4-8; Salmo 33; Efesini 4,30-5,2
Antifona d’Ingresso Sal 73,20a.l9b.22a.23a
Sii fedele, Signore, alla tua alleanza,
non dimenticare mai la vita dei tuoi poveri.
Sorgi, Signore, difendi la tua causa,
non dimenticare le suppliche di coloro che ti invocano.

Nell’antifona d’ingresso, tratta dal Sal 73,20a.l9b.22a.23a SC un lamento nazionale composto forse dopo la distruzione di Gerusalemme (587 a.C.) dove il popolo, una volta ‘gregge del Signore’, ora sconfitto, disperso e senza guida, non sente più attraverso i profeti la Parola di Dio, ma sperimenta solo il silenzio di Dio come conseguenza della propria idolatria. Nell’angoscia il popolo rivolge al Signore la supplica affinché tenga presente sempre la sua alleanza fedele, per la quale Egli si è impegnato in eterno a favore del popolo suo (105,45; Lv 26,44-43), come promise una volta per sempre ad Abramo (Gen 17,7.8; vedi anche 12,1-3), e confermò per bocca dei suoi santi Profeti (Gen 33,21) (v. 20a). Per questo si chiede ancora che non abbandoni mai le anime dei poveri ‘suoi’, stretti a Lui dal vincolo dell’alleanza fedele (v. 19b; 9,17; 67,11). L’Orante si fa perfino più ardito nelle immagini. È come se il Signore dormisse, e perciò gli chiede di alzarsi, per pronunciare finalmente il verdetto nel tremendo giudizio instaurato dai nemici contro i suoi fedeli. L’Orante ricorda al Signore che in fondo questo processo contro i suoi fedeli in realtà è intentato contro di Lui, l’Alleato principale che forma una stretta comunità di vita con essi (v. 22a). Così non deve lasciar cadere nel vuoto e nella dimenticanza successiva la voce di quanti sinceramente e con ansia Lo cercano, e cercano solo Lui (v. 23a).
Noi oggi abbiamo la stessa angoscia, anche se l’attribuiamo ‘stoltamente’ alle vicissitudini della nostra povera vita e per questo nella liturgia la Chiesa ci invita a pregare il Signore e ad ascoltare… il suo silenzio che ci istruisce e ci consola.

Canto all’Evangelo   Gv 6,51
Alleluia, alleluia.
Io sono il pane vivo, disceso dal cielo, dice il Signore,
se uno mangia di questo pane vivrà in eterno.
Alleluia.

La rivelazione autentica del Signore, di essere il Pane Vivente disceso dal cielo e di donare la partecipazione alla Vita eterna a chi se ne nutre è un testo nodale del «discorso eucaristico» e orienta la proclamazione dell’Evangelo di oggi.
«lo sono il pane vivo disceso dal cielo». Questa frase enigmatica suscita il mormorio scandalizzato della folla, e ancora oggi non manca di provocare un moto di protesta da parte dello scettico che si nasconde in ciascuno di noi: «Io non sono migliore dei miei padri» (1Re 19,4).
Tra Gesù e i suoi ascoltatori si è creato un tragico malinteso. Prima di indicare se stesso come il pane della vita, Gesù ha voluto condividere il pane degli uomini. Trent’anni di intensa preparazione, in cui ha partecipato ai pasti quotidiani, ai pranzi di festa e ai pranzi di lutto. Trent’anni per cercare di far sentire agli uomini la loro fame essenziale e di far intuire loro il cibo che egli avrebbe offerto. Trent’anni per arrivare a questo punto: «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Come può dire: Sono disceso dal cielo?». Il nocciolo dell’incredulità di questa gente, e forse anche della nostra, consiste nel vedere in Gesù soltanto colui che ha condiviso il pane degli uomini, non accogliendolo come colui che ci vuol donare, col pane, anche la propria vita.
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». Noi siamo sempre tentati di ridurre l’esperienza religiosa all’iniziativa dell’uomo che, a un certo punto, decide di occuparsi di Dio. Nella fede di Gesù, invece, è il Padre che ci attira al Figlio, che ci viene incontro attraverso il Figlio, parola e pane discesi dal cielo, e ci offre di condividere la sua vita, prima di qualsiasi iniziativa da parte nostra. Per mezzo del Figlio, che ha mangiato per trent’anni il pane degli uomini, Dio stesso ci insegna la differenza tra il nostro pane, che non può sottrarci alla morte, e il suo, che ci dona la vita eterna. Sapremo lasciarci attirare e istruire da Dio, che attraverso l’incarnazione del suo figlio e il dono dell’eucaristia, pane del nostro pellegrinaggio terreno, vuole condurci all’immortalità?
Prosegue dunque il ‘discorso eucaristico’ (Gv 6,22-59). Come si è detto per la Domenica precedente, esso si compone in realtà di un discorso sulla Parola divina discesa dal cielo sotto forma di Pane (vv. 22-40, o forse 22-46) e un discorso sul Pane e sulla Carne del Signore (vv. 41-58, o forse 47-58).
Tutto il ‘discorso’’ nei due blocchi o ‘discorsi’ è così è sforbiciato al punto che:
1. la pericope della Domenica XVIII (6,24-35) omette del primo discorso proprio i versetti in cui il Pane viene dal ‘cielo’, è infatti dono del Padre (vv. 36-40). Una conseguenza è che questi versetti non si leggono più nelle Domeniche, con grave perdita per il popolo di Dio. Si leggono è vero nel Lezionario feriale, ma (dura e dolorosa costatazione) nelle nostre parrocchie è un tempo del tutto secondario e spesso “privato”.
2. la pericope di oggi (6,41-51) è invece un segmento tagliato male dal blocco formato dai vv. 41-58, che è il vero discorso eucaristico, per rimandarlo alla Domenica seguente (con il doppione alla solennità del Corpo e Sangue di Cristo).
Quanto detto riguardo al taglio dei due discorsi è motivato dal fatto che i vv. 41-46 fanno da cerniera tra il primo e il secondo discorso. Infatti dopo il primo argomentare di Gesù, che termina al v. 40, si ha una reazione problematica degli Ebrei presenti, ma a quelle parole ascoltate e non a quanto segue, che si presenterà ancora più sorprendente (cf v. 52: «Allora i Giudei si misero a discutere aspramente (in gr. máchomai e in lat. Litigabant) fra loro: ‘Come può costui darci la sua carne da mangiare?»).

Esaminiamo il brano

v. 41 - « mormoravano»: Giovanni annota il brutto verbo gongýzō ‘mormoravano’ (tornerà ancora al v. 62), che rimanda alle mormorazioni contro Mose e contro il Signore durante l’esodo nel deserto (vedi Profezia della Domenica precedente). Il motivo è che non possono capire come quest’uomo che vedono, anche se compie prodigi insoliti, possa affermare di se stesso di essere ‘il Pane disceso dal cielo’, una specie di manna in veste umana.
v. 42 - «Costui non è Gesù»: Egli, in fondo, chi è, uno dei tanti Ioshua, ‘Gesù’ (nome sempre molto comune in ogni epoca d’Israele, sotto le varianti Giosuè, Isaia, che in greco è tradotto proprio Iēsoûs, Osea, Eliseo, Giosia), del quale si conosce la nascita da un padre (come credono; Mt 13,55; Lc 3,23) e da una madre ben noti (7,27-28), e adesso si mette a dire che è «disceso dal cielo»
v.43 - «Non mormorate»: l’imperativo presente negativo, ricorda l’invito più volte rivolto nel passato a Israele. Gesù adesso prepara gli ascoltatori al resto della rivelazione, e anzitutto lì esorta a non mormorare in gruppetti. E riprende come raccordo quanto aveva detto sotto altra forma nei vv. 37-40 (purtroppo posti fuori lettura liturgica), che la sua discesa dal cielo è l’opera del Padre.
v. 44 - «lo attira il Padre»: Gesù precisa il Mistero insondabile del Padre suo. Il Padre ha inviato il Figlio, e insieme determina in modo imperscrutabile i discepoli del Figlio, in quanto li attira Lui (v. 65; 12,32, e 4,23; Ger 31,3; Os 11,4) e li dirige verso il Figlio (v. 44a; e v. 66). E così si comprende la rivelazione solo del Padre a Giovanni Battista sul Figlio di Dio come l’Agnello di Dio, il Servo sofferente, sul quale lo Spirito Santo discende e fa dimora (Gv 1,29-34). E si comprende la rivelazione del “Cristo, il Figlio del Dio Vivente” (Mt 16,16), di cui non la ‘carne e il sangue’, ossia un uomo concreto, in questo caso neppure Cristo stesso, bensì solo il Padre gratifica Pietro (Mt 16,17).
«io lo resusciterò»: Questo Figlio quanti il Padre attira e dirige a Lui, li accoglie e promette il dono supremo, che li resusciterà nel giorno ultimo. Questo aveva già assicurato poco prima per due volte, e sempre come esplicita volontà del Padre, a proposito dell’ accoglienza nella fede di Lui quale Pane della Parola disceso dal cielo (vv. 40 e 41, purtroppo espunti). A Marta poi espliciterà di essere Egli stesso la Resurrezione e la Vita, e chi vive e crede in Lui non morirà in eterno (Gv 11,25-26).
v. 45 - «Sta scritto nei profeti»: Appare uno scarto dalla linea discorsiva l’affermazione che segue. Gesù cita ‘i Profeti’: “Allora saranno tutti istruiti da Dio” (v. 45a), che rinvia in via diretta a Is 54,13, ma in via obliqua all’origine, Ger 31,34 (testo citato poi da Ebr 8,10-11; 1 Gv 2,27). Il segno ultimo della realtà dell’”alleanza nuova”, ossia ‘ultima’ (Ger 31,31-34), per Geremia (il cui ministero dura circa per gli anni 612-586 a. C) è che allora nessuno istruirà un altro su Dio e sulla sua realtà, bensì il Signore stesso sarà l’unico divino Maestro (Ger 31,31). Isaia (il ‘Secondo Isaia’, verso gli anni 550 a. C.) annuncia la Gerusalemme nuova dopo l’esilio (Is 54,1-17), e i suoi costruttori saranno istruiti dal Signore stesso (Is 53,14). Il tratto è ripreso più volte da Paolo, nel rispetto della fede dei suoi fedeli (1 Tess 4,9, i discepoli sono theodídaktoi; 1 Cor 2,11-13, mediante lo Spirito Santo), e poi da Giovanni stesso (1 Gv 2,20.27, mediante lo Spirito Santo).
«Chiunque ha udito il Padre»: Gesù ora spiega che viene a Lui solo chi ascolta il Padre (v. 37).
Si ha qui quella specie di circolo trinitario rivelatorio che è il N. T.:
1) secondo Rom 1,3-4 (testo arcaico della Comunità aramaica, la Chiesa Madre di Gerusalemme, forse intorno all’anno 35), il Padre presenta al mondo ad opera dello Spirito Santo il Figlio suo come Dio eterno a partire dalla sua Resurrezione;
2) secondo la riflessione ulteriore del N. T., si delinea che:
(a)  lo Spirito Santo, donato dal Padre sempre a partire dall’Umanità risorta del Figlio (At 2,32-33), rivela il Figlio Dio,
(b) il Figlio di Dio, a partire dalla sua Umanità, rivela il Padre Invisibile; e
(c) donando lo Spirito Santo riporta tutti al Padre.
v. 46 - «Non che alcuno abbia visto il Padre»: Gesù seguita a spiegare. Il Padre che si fa Maestro unico, tuttavia, resta per definizione l’Invisibile (Gv 1,18; Col 1,15) ad ogni sostanza creata. Lo contempla in eterno solo Colui che sussiste dal Padre e nel Padre (10,30), che con Lui è la ‘Realtà unica’ (10,38), e che vive per Lui (v. 46; 7,25,29; 10,15; Mt 11,27; Lc 10,22).
v. 47 - «Amen, amen»: Per questo Gesù con la solennità singolare dell’’amen amen’ ribadisce che chi ha fede in Lui possiede già la Vita eterna (v. 47; già al v. 40, e in 3,15-16).
v. 48 - «Io sono»: Adesso comincia la parte ‘eucaristica propria’. Prima la rivelazione solenne, come già sul Sinai (Es 3,6) nell’episodio del roveto incombusto.
«il pane della vita»: Fa da raccordo con il discorso sulla Parola che deve essere accettata nella fede l’espressione chiave ‘il Pane della Vita’, usata quindi nei due aspetti della Parole e dell’eucarestia, nel significato di Pane che è la Vita, e che dona la Vita (v. 48, e vv. 35 e 51),
v. 49 - «I vostri Padri...»: Gesù comincia con la memoria dei padri antichi nel deserto, che mangiarono la manna, certo dono dal cielo, bensì solo per la vita biologica, e quindi morirono (v. 49; vv. 31.59; Es 16,15; Num 11,7.9; 1 Cor 10,l-5;e vedi I Lettura, Evangelo e Salmo della Domenica precedente).
v. 50 - «questo è il pane...»: Invece qui si presenta il Pane che proviene dal Padre (il ‘cielo’; vv. 32-33), che è tale da procurare la vita immortale a chi ne mangia.
v. 51 - «Io sono il pane vivo»: Viene ora improvvisa, come un’esplosione nuova, l’affermazione inaudita che è Egli stesso il Pane Vivente che discende dal Padre (cf vv. 3.13).
«è la mia carne»: in greco sárx è con l’articolo che la sottolinea tale per eccellenza. Questa ulteriore e sconvolgente affermazione è anche il ricordo della formula eucaristica aramaica, dove è possibile «carne» e non «corpo»; quella usata forse nella comunità giovannea.
Si ha una conferma dell’uso di «carne» in senso sacramentale in Ignazio Antiocheno.
In questa formula risuona, assieme al tema sacramentale, anche quello della incarnazione (Gv 1,14) e addirittura quello della Passione nella preposizione «per» (hypér) che ha carattere sacrificale ed è molto arcaica.
«per la vita del mondo»: si noti ancora una volta l’universalismo della salvezza annunciata: ‘per la vita del mondo’.


Le preghiere eucologiche di questa Domenica seguono il filo di una continua supplica al Signore Dio e Padre nostro affinché meritiamo di entrare nell’eredità promessa:

Sulle Offerte
Accogli con bontà, Signore, questi doni
che tu stesso hai posto nelle mani della tua Chiesa,
e con la tua potenza trasformali per noi in sacramento di salvezza.
Per Cristo nostro Signore.

Dopo l’antifona d’ingresso ancora una supplica affinché il Signore accetti l’Offerta che Egli stesso per Divina Misericordia donò affinché gli sia riofferta e faccia che il Mistero segni la salvezza.

Antifona alla Comunione Sal 147,12.14
Gerusalemme, loda il Signore,
egli ti sazia con fiore di frumento.

La Sposa del Signore qui oggi radunata come comunità orante è esortata a lodare il Signore per tutti i suoi divini prodigi che sono tutti come sintetizzati e sigillati da quello finale e più grande, «egli ti sazia con fiore di frumento», il divino Pane della Vita dopo il Pane della Parola.

Dopo la Comunione
La partecipazione a questi sacramenti
salvi il tuo popolo, Signore,
e lo confermi nella luce della tua verità.
Per Cristo nostro Signore.

La preghiera ancora con supplica chiede al Signore che la partecipazione al Mistero porti la salvezza e confermi nella luce della sua Verità.

La II Colletta invoca Dio, chiamandolo Padre e con epiclesi chiede che la Sua Chiesa, sostenuta dalla forza del cibo che non perisce, perseveri nella fede di Cristo per giungere alla contemplazione del Suo volto:

Guida, o Padre, la tua Chiesa pellegrina nel mondo,
sostienila con la forza del cibo che non perisce,
perché perseverando nella fede di Cristo
giunga a contemplare la luce del tuo volto.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...




lunedì 3 agosto 2015
Abbazia Santa Maria di Pulsano

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