Don Antonello Iapicca "Tutto è bagnato dalla misericordia"

Commento al Vangelo della XX Domenica del Tempo Ordinario, anno B -- 30 agosto 2015
Takamatsu, 28 Agosto 2015 (ZENIT.org)
«Invano essi mi rendono culto»: una parola durissima per chi, come alcuni farisei, aveva innalzato una barriera intorno alla Legge per impedire che fosse violata per inavvertenza. 613 comandamenti, infatti, avevano la funzione di attualizzare la legge per la vita concreta.
Solo l'obbedienza scrupolosa alla Legge e la
dipendenza assoluta dalla sua interpretazione precettistica definiva l'appartenenza al popolo di Dio: «un ignorante non può essere pio», amavano ripetere i Farisei. Le "dottrine che sono precetti di uomini" circoscrivevano il campo del puro e dell'impuro, costituendo il regolamento a cui attenersi scrupolosamente per essere atti al culto.

Ma le parole di Gesù svelano che quei farisei, "insegnandoli" lo rendevano vano. Perché? Perché ne facevano un assoluto, mettendoli addirittura al di sopra della Parola di Dio. Vestendo i panni dei pii e dei santi - fariseo, infatti, significa separato - si innalzavano al di sopra del Dio che avrebbero voluto servire.

E questa è l'attitudine inconfondibile del demonio, "abile" nel camuffarsi per far "eludere il comandamento di Dio". Non c'era dunque differenza tra i peccatori che lo violavano palesemente e i "puri" che lo "trascuravano" per "osservare la propria tradizione"; alla radice c'era lo stesso orgoglio di chi si fa Dio.

Accade anche a noi, e spesso, quando issiamo i nostri criteri come assoluti a prova di dubbio. E così cadiamo preda del giogo peggiore, quello del moralismo, che, schiacciandoci, trascina con noi chi ci è accanto.

Quante case sembrano caserme, quante relazioni trasformate in gabbie asfissianti. I discepoli di Gesù invece erano entrati nel cuore della Legge, perché l'avevano sperimentata compiuta da Lui nella propria vita. Ormai erano liberi da schemi e regole perché li muoveva il cuore rinnovato nell'amore che in tutto vede un'occasione per donarsi.

E così rendevano a Dio un culto autentico che abbracciava ogni istante nell'amore. Non c'era in loro la separazione tra religione e vita che invece spesso lacera noi. A messa celebriamo l'amore di Dio, mentre nella vita di ogni giorno celebriamo noi stessi. E siccome non siamo Dio, mormoriamo, giudichiamo, ci chiudiamo nell'orgoglio, altro che lode...

Ma coraggio, Dio ci ama così come siamo, e ci sta chiamando anche oggi per sperimentarlo come i discepoli. Neanche loro meritavano nulla, erano stati amati e accolti nell'intimità di Gesù, come un povero che all'improvviso si trova seduto accanto al Re, erede di tutti i suoi beni. E' questa l'esperienza che possiamo fare nella Chiesa, la reggia del Signore nella quale tutto di Lui è per noi.

In essa la debolezza è rivestita di misericordia, e per questo tutto di noi è trasfigurato nella santità di Dio. Non c'è nulla da disprezzare in noi e in chi ci è accanto, nessun istante della nostra storia, perché tutto è bagnato dalla misericordia. Tutto è puro per chi è stato purificato da Dio.

Allora, non aver paura di quello che ti sta accadendo, affrontalo con l'amore: hai litigato con tua moglie? Non ti preoccupare e non restare lì a cercare chi ha sbagliato, mettendo ogni parola e ogni gesto sotto la lente dei tuoi "precetti". Rinnegali per rifiutare quella parte di te che in essi cerca la vita.

Sei stato perdonato mille volte, senza condizioni, mentre la Legge, quella di Dio, ti condannava. Cristo ha preso su di sé il castigo che meritavi, per assolverti e donarti il suo Spirito. Abbandonati al suo amore allora, e vedrai compiersi in te tutta la Legge, per pura grazia. Nutriti di esso nella Chiesa, e attirerai chi ti è accanto nella letizia della tua vita trasformata in una liturgia di lode.

Si fratelli, quanto ci ama il Signore. "Ci chiama di nuovo" questa Domenica perché ha qualcosa di importante e decisivo da dirci. Per questo quasi ci implora di "ascoltarlo e intendere bene". Quello che ci annuncia, infatti, rovescia completamente schemi e criteri con cui guardiamo e interpretiamo la storia, la grande che va in televisione e finisce sui libri, e quella più piccola, nella quale scorriamo noi e si stampa nei ricordi, nella nostalgia e, spesso, nel dolore per le ingiustizie subite.

Questa Domenica è un'occasione per cominciare a vederla con occhi nuovi, perché con la Verità fatta carne in Lui, Gesù viene a liberarci dalle paure e dalle angosce, dai rimpianti e dai rancori. Ma forse siamo come i discepoli, "così privi di intelletto" da "non capire" che rivoluzione vuol fare nella nostra vita. Capisco che non è facile, abbiamo in testa altre idee circa le rivoluzioni. Mitra e fucili, oppure avvocati e giudici, comunque rivoluzioni dove si sparano proiettili o parole per eliminare ingiustizie e ingiusti dalla propria vita.

Per decenni siamo stati immersi full-time in un ambiente che ci ha insegnato il contrario esatto di quello che ci annuncia oggi Gesù: “non c'è nulla che esce dall'uomo che possa contaminarlo; sono invece le cose fuori che, entrando in lui, lo contaminano”.

Ma ciò è stato possibile solo perché il nostro cuore era già avvelenato dal peccato. Risultato? La paura di Adamo. Come lui, infatti, ci sentiamo nudi, cioè indifesi di fronte al male perché crediamo che sia quello esterno a noi che ci contamina.

Per questo lottiamo strenuamente per cambiare le strutture sociali e politiche, per addomesticare gli eventi e correggere chi ci è accanto. Senza però riuscirci; appena qualcosa sembra cambiare ecco una nuova ingiustizia, e di nuovo la paura e il dolore.

Perché il male “non entra nel cuore ma nel ventre”; sfiora e graffia la pancia, che è il simbolo dei sentimenti epidermici, della carne ballerina e incostante che il mondo assolutizza. Fa soffrire, certo, ma non intacca il “cuore”, il luogo inviolabile dove scegliamo liberamente a chi dare ascolto per obbedirgli.

Se oggi ci troviamo in un deserto d’angoscia, paura e risentimento significa che abbiamo ascoltato il demonio. Ma Gesù vi entra con noi, come quando con i discepoli “entrò in una casa lontana dalla folla”. Proprio nella nostra realtà, infatti, ci è donata “una casa”, la Chiesa dove anche noi possiamo “interrogare Gesù” su quello che non capiamo.

E Lui ci risponde attraverso la predicazione del Vangelo. Annunciandoci il perdono di Dio rivelato in Cristo crocifisso e risorto, essa ha il potere di stanare la menzogna illuminando le nostre responsabilità con l’amore. Coraggio allora, ascoltiamo la predicazione per “capire” e accettare che è dal nostro cuore che “escono le intenzioni cattive: fornicazioni, furti, omicidi, adultèri, cupidigie, malvagità, inganno, impudicizia, invidia, calunnia, superbia, stoltezza”.

E accostiamoci ai sacramenti, attraverso i quali possiamo consegnare a Cristo questo pus malvagio che “viene fuori dal di dentro e ci contamina”; e accogliere lo Spirito Santo che crea in noi un cuore puro, capace di vedere “mondo”, ovvero puro, “ogni alimento”. Che significa non aver paura di nulla e di nessuno, perché chi è stato purificato sa discernere in ogni persona e in ciascun evento le occasioni per distendersi sulla Croce e trasformare nell'amore le ingiustizie in porte aperte sulla speranza.

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