Figlie della Chiesa Lectio Divina "Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini "

La Parola  Lectio XXII Domenica del Tempo Ordinario (Mc 7,1-8.14-15.21-23)
Il brano di Marco è tratto dal capitolo 7, che conclude la prima parte del suo Vangelo, dedicata al ministero di Gesù in Galilea. Riferisce un insegnamento di Gesù in tre puntate, a partire da una domanda di un gruppo di scribi e di farisei. Gesù risponde prima alla domanda
rifacendosi ai Profeti, poi estende lo sguardo alla folla presente e racconta una breve parabola. Quindi, rientrato in casa e interrogato dai discepoli sul senso della parabola la spiega loro. Abbiamo così tre brevi discorsi di Gesù, agli scribi, alla folla, ai discepoli. La liturgia di questa domenica ce li offre omettendo alcuni versetti, dall’8 al 13, del primo discorso agli scribi, dove Gesù esplicita il suo insegnamento sul culto veramente gradito a Dio con un esempio e poi dal 16 al 20 dove l’evangelista raccoglie la domanda di chiarimento da parte dei discepoli. Una pagina di vita, che ci fa osservare Gesù in una giornata normale della sua itineranza missionaria.

Dietro a questa normalità si cominciano però a intravvedere i motivi che porteranno Gesù alla morte. L’evangelista Marco, che sempre ha a cuore di aiutarci a scoprire la vera identità di Gesù, ce lo presenta qui in sintonia con gli annunci degli antichi profeti, che richiamavano il popolo all’osservanza interiore della legge, alla purezza delle intenzioni del cuore.

La distanza tra l’insegnamento di Gesù e le tradizioni dei Farisei si rende più manifesta. E questo, si vedrà più avanti, negli annunci della passione (8,31; 9,31; 10,33) e nella parabola dei vignaioli omicidi (12,1-12), porterà Gesù a subire la stessa sorte degli antichi profeti: egli, il Figlio amato, sarà condannato e ucciso.



v.1 In quel tempo, si riunirono attorno a Gesù i farisei e alcuni degli scribi, venuti da Gerusalemme.

Gesù si trova con i discepoli in Galilea, attorno a lui ci sono alcuni farisei del luogo e alcuni scribi giunti da Gerusalemme, probabilmente proprio per sottoporlo ad una ispezione e così coglierlo in fallo, come cercheranno di fare altre volte (cf 3,2; 12,13) per poterlo accusare e condannare.



v. 2 Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani impure, cioè non lavate

L’evangelista nota che anche i discepoli sono guardati e osservati per poter avere appigli contro Gesù, non è la prima volta (cf 2,18; 2,23): ciò è indicativo di una condivisione di vita e una partecipazione alla missione che fa intravvedere nel comportamento dei discepoli di Gesù, probabilmente ancora inconsapevoli, una via nuova. Scribi e farisei hanno qui trovato un capo di accusa. Se i discepoli di questo Maestro non osservano la tradizione rituale allora è il Maestro il vero colpevole. Marco spiega allora in cosa consista l’usanza giudaica a lettori che probabilmente non lo sanno, perché non sono giudei.



v. 3 - i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavati accuratamente le mani, attenendosi alla tradizione degli antichi

v. 4 e, tornando dal mercato, non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, di stoviglie, di oggetti di rame e di letti –,

L’evangelista sottolinea l’espressione “per tradizione”, o “secondo la tradizione degli anziani” ripetuta due volte, volendo così preparare i lettori a capire quello che dirà Gesù al v. 7: tutte queste usanze sono precetti di “uomini”, distinguendo così le molteplici prescrizioni rabbiniche dalla Legge di Mosè, dal comandamento di Dio.

Le regole giudaiche erano a questo proposito molte e minuziose, bisognava lavarsi fino al gomito, veniva precisata la quantità d’acqua, il tipo di recipiente e così via. Tutto questo viene espresso dall’avverbio “accuratamente”. I farisei sapevano benissimo che non tutto il popolo osservava queste norme, ma qui il “caso” diventa un pretesto elegante contro il “Rabbi” di Galilea.



v.5 quei farisei e scribi lo interrogarono: «Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?».

Dopo la spiegazione delle usanze degli antichi, ecco dunque la domanda degli scribi. Con la doppia accusa, il fatto che non rispettano la tradizione e il fatto che prendono cibo con mani impure. L’accento è posto sulle mani impure. La traduzione esatta sarebbe con mani comuni, cioè mani che vengono dal lavoro e che ora invece si accingono a compiere un gesto sacro, com’era il pranzo per gli ebrei. Il verbo/aggettivo usato più volte nel brano indica sia comune, che comunicare, e per estensione contaminare. L’impurità delle mani come ogni tipo di impurità rende impossibile la partecipazione al culto. Infatti le mani impure rendono impuri gli alimenti che toccano e quindi l’uomo che li mangia. Si tratta quindi di una questione non igienica ma religiosa.



v.6 Ed egli rispose loro: «Bene ha profetato Isaia di voi, ipocriti, come sta scritto:

"Questo popolo mi onora con le labbra,

ma il suo cuore è lontano da me.

v.7 Invano mi rendono culto,

insegnando dottrine che sono precetti di uomini".

v.8 Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini».

Nella sua risposta Gesù si richiama alla Parola dei Profeti. E va direttamente al cuore del problema, parlando del vero culto. Gli scribi si preoccupano di avere le mani pure, lavandole fino al gomito, per poter dar lode a Dio. Gesù dice loro che il vero culto è quello del cuore puro. Smaschera la loro ipocrisia, che nasconde dietro l’osservanza di parole e precetti esteriori un cuore lontano da Dio.

Il testo scelto per la liturgia della domenica non comprende i versetti seguenti 8-13 in cui Gesù, con un esempio concreto rincara la dose ripetendo per tre volte e sempre più forte  in che modo scribi e farisei si sono allontanati dalla retta via. Dice prima “trascurando il comandamento di Dio voi osservate tradizioni di uomini” poi “siete veramente abili nell’eludere il comandamento di Dio per osservare la vostra tradizione”, e la terza dice addirittura “annullando così la Parola di Dio con la tradizione che avete tramandato voi”.



v.14 Chiamata di nuovo la folla, diceva loro: «Ascoltatemi tutti e comprendete bene!

v.15 Non c'è nulla fuori dell'uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall'uomo a renderlo impuro».



È la parte centrale della pagina evangelica. Gesù ora si rivolge alla folla. Gesù ha smascherato la meschinità dell’insegnamento e del comportamento degli scribi e ora offre il suo insegnamento esprimendo un principio fondamentale di tutta la morale: ciò che contamina l’uomo non sono le cose, i cibi, ciò che si può toccare o ingerire, ma ciò che proviene dal cuore.

A questo punto però l’Evangelista ci offre un dettaglio interessante, lo si ritroverà altre volte nel Vangelo, e cioè il fatto che i discepoli, entrati in casa, chiedono a Gesù di spiegare loro ciò che ha detto alla folla. La liturgia omette questi versetti, infatti non interrompono il messaggio del testo, e tuttavia sono importanti per noi. Per due motivi: ci aiutano a comprendere come di fatto si comportava Gesù, che aveva a cuore soprattutto la formazione dei suoi discepoli, ai quali avrebbe poi affidato il compito di portare il suo lieto messaggio fino ai confini della terra, e in secondo luogo ci incoraggiano a chiedere noi stessi a Gesù spiegazione delle sue parole ogni qualvolta non le comprendiamo.

E infatti Gesù spiega ai discepoli perché gli alimenti non contaminano l’uomo: quello che alla folla è stato detto sotto forma di piccola parabola ora viene esplicitato. Poi però indica ciò che invece contamina l’uomo.



v. 21 E diceva [ai suoi discepoli]: «Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi,

v. 22 adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza.

v. 23 Tutte queste cose cattive vengono fuori dall'interno e rendono impuro l'uomo».

È la radice del male, di ogni male. Il male colto cioè nella sua origine: il “proposito” che esce da un cuore inquinato. È il vertice del brano evangelico che la liturgia odierna ci offre per renderci attenti a non confondere il secondario con il fondamentale o lasciarsi distrarre dall’essenziale, pensando con le nostre piccole pratiche religiose o osservanze esteriori di essere “a posto” con Dio. Ciò che Dio ci chiede è la sincerità del cuore (Sal 51,8). E insieme ciò che Gesù ci offre è “la verità che ci fa liberi” (Gv 8,32). Riconoscere dove sta veramente il male significa poterlo contrastare e lottare contro di esso in modo efficace. Viene spontaneo allora pregare con il salmista: “Crea in me o Dio un cuore puro” (Sal 51,12) o chiedere che si attui per noi la parola del profeta: “Darò loro un cuore nuovo e uno spirito nuovo metterò in loro; toglierò dal loro petto il cuore di pietra e darò loro un cuore di carne, perché seguano i miei decreti e osservino le mie leggi e li mettano in pratica; saranno il mio popolo e io sarò il loro Dio” (Ez 11,19-20).

 L`esteriorità inquina l`uomo

            E si radunarono presso di lui i farisei e alcuni scribi venuti da Gerusalemme. I quali avendo visto alcuni dei discepoli di lui che mangiavano il pane con mani impure, cioè non lavate, li rimproverarono (Mc 7,1-2).

            Quanto è giusta quella lode che rivolge al Padre il Signore dicendo: "Hai nascosto queste cose ai sapienti e ai saggi e le hai rivelate ai piccoli!" (Mt 11,25). Gli uomini della terra di Gennesaret, che erano considerati uomini ignoranti, non soltanto personalmente accorrono dal Signore, ma portano con sé i loro infermi, anzi li trasportano sulle lettighe, affinché possa capitare loro almeno di toccare la frangia del suo vestito ed essere salvati: per questo ottengono subito la meritata ricompensa della salvezza che avevano desiderata. Al contrario, i farisei e gli scribi, che dovevano essere maestri del popolo, accorrono dal Signore non per ascoltare la sua parola, non per ottenere la guarigione, ma soltanto per sollevare questioni e contrasti. Rimproverano i discepoli di non aver lavate le mani del corpo, benché non riuscissero a trovare nelle loro opere, compiute con le mani o con le altre membra del corpo, alcuna impurità; avrebbero fatto meglio a incolpare sé stessi, che pur avendo le mani ben lavate con l`acqua, recavano la coscienza insozzata dall`invidia.

            I farisei infatti e tutti i giudei, attaccati alla tradizione degli antichi, non mangiano se non si sono accuratamente lavate le mani, e non prendono cibo, di ritorno dal mercato, se non si sono prima purificati (cf. Mc 7,3-4).

            E una superstiziosa tradizione quella di lavarsi ripetutamente, dopo essersi già lavati, per mangiare il pane, e non prendere cibo di ritorno dal mercato senza essersi prima purificati. Ma è necessario l`insegnamento della verità, secondo il quale coloro che desiderano aver parte al pane della vita che discende dal cielo, debbono purificare le loro opere con il frequente lavacro delle elemosine, delle lacrime e degli altri frutti della giustizia, per poter partecipare ai misteri celesti in purezza di cuore e di corpo. E` necessario che le impurità di cui ciascuno si macchia nell`occuparsi degli affari terreni, siano purificate dalla successiva presenza dei buoni pensieri e delle buone azioni, se egli desidera godere dell`intimo ristoro di quel pane. Ma i farisei che accoglievano carnalmente le parole spirituali dei profeti - i quali ordinavano la purificazione del cuore e delle opere dicendo: "Lavatevi, siate puri, e purificatevi voi che portate i vasi del Signore" (Is 1,16) - osservavano tali precetti soltanto purificando il corpo (cf. Is 52,11). Ma invano i farisei, invano i giudei tutti si lavano le mani e si purificano tornando dal mercato, se rifiutano di lavarsi alla fonte del Salvatore. Invano osservano la purificazione dei vasi coloro che trascurano di lavare la sporcizia dei loro cuori e dei loro corpi, quando è fuor di dubbio che Mosè e i profeti - i quali ordinarono sia di lavare con l`acqua i vasi del popolo di Dio, sia di purificarli col fuoco, sia di santificarli con l`olio - non stabilirono tali prescrizioni per un motivo generico o per ottenere la purificazione di questi oggetti materiali, ma piuttosto per comandarci la purificazione e la santificazione degli spiriti e delle opere e la salvezza delle anime. (Beda il Venerabile, Evang. Marc., 2, 7, 1-4)



Le cose che macchiano l`uomo

            Dio, infatti, non richiede dall`uomo se mentre sta per mangiare si lava le mani, ma se ha il cuore puro e la coscienza monda dalle impurità dei peccati.

            In effetti, cosa giova lavare le mani ed avere la coscienza macchiata ?

            Quindi i discepoli del Signore poiché erano puri di cuore e preferivano una coscienza monda ed immacolata, non davano importanza a lavarsi le mani, che con tutto il corpo, insieme, nel battesimo avevano lavato, mentre il Signore diceva a Pietro: "Chi una volta è lavato, non ba bisogno di lavarsi di nuovo, ma è tutto puro, come siete voi" (Gv 13,10). Invece, che quel lavacro dei Giudei fosse necessario al popolo, il Signore da tempo lo aveva mostrato per mezzo del profeta, dicendo: "Lavatevi, siate puri, togliete l`iniquità dai vostri cuori" (Is 1,16). Con questo lavacro, quindi, fu prescritto non che si lavassero le mani, ma che togliessero le iniquità dai loro cuori. Per questo, se gli scribi e i farisei, avessero voluto capire o accettare questa celeste purificazione non si lamenterebbero mai delle mani impure.

            Per mostrare ancora più ampiamente inutile il rimprovero degli scribi e dei farisei sulle mani non lavate, il Signore, chiamata a sé la folla disse: "Non ciò che entra nella bocca macchia l`uomo, ma ciò che esce lo rende impuro" (Mt 15,11) dimostrando che non dal cibo che entra per la bocca, ma piuttosto dai cattivi pensieri dell`anima, che provengono dal cuore, l`uomo si rende immondo. I cibi, infatti, che prendiamo da ingerire, sono stati creati da Dio per l`uso della vita umana e benedetti, e perciò non possono macchiare l`uomo.

            Ma i cattivi e contrari pensieri che provengono dal cuore, come lo stesso Signore ha interpretato, cioè, "gli omicidi, gli adulteri, le impurità, i furti, le false testimonianze, le bestemmie" (Mt 15,19) e tutte le altre azioni malvagie, che provengono dal demonio, che ne è l`autore, queste sono le cose che veramente macchiano l`uomo. (Cromazio di Aquileia, In Matth., Tract., 53, 1 s.)



Legge e purità

Tracciata, nelle linee generali, sul Sinai; ulteriormente sviluppata nel corso dei secoli secondo il mutare delle circostanze storico-sociali, ormai la legge formava tutta la vita del popolo. Definiva i rapporti tra uomo e uomo, tra autorità e popolo, tra gruppo e gruppo, tra un membro della famiglia e l’altro, tra famiglia e famiglia, tra stranieri e indigeni. (…) Ordinava il rapporto con Dio: il servizio  del tempio, i giorni, le feste, i tempi sacri. Vasto sviluppo trovava soprattutto il culto della purezza: un’idea, un valore, un sentimento che è difficile esprimere, e che non intendono sostanzialmente purezza morale, ma religiosa, cultuale. Puro è l’uomo che tiene debitamente il suo posto negli ordinamenti simbolici, i quali comprendono pure, anzi in primo luogo la vita fisica e la mettono in relazione con l’altare, con il sacrificio, con le azioni di culto. Questi ordinamenti mettono la mano sull’uomo e ne fanno acquisto di Dio. Tutto era regolato da ampie prescrizioni, condotte a volte fino ai più minuti particolari, che riflettevano un profondo mondo ideale, ricco di saggezza e di conoscenza dell’animo individuale, familiare, sociale. (…) Si delineava frattanto, a tutela della legge, uno speciale stato sociale: i legisperiti. Essi ne  indagavano il senso, la esponevano, l’applicavano, circondavano ogni singola legge di tante chiose e costumanze che, con l’andare del tempo, una rete avviluppava con le sue maglie fittissime tutta quanta la vita. (Romano Guardini, Il Signore, parte terza, capitolo 3).



La solitudine di Gesù

Il cammino di Gesù si direbbe attraversato continuamente da tronchi d’albero; quasi stessero in agguato, in ogni angolo trabocchetti e lacci. Qui una tradizione, là un veto; più in là una disputa; dappertutto, limitazioni, piccinerie, malintesi. Da ogni parte si fa strada la sfiducia, avvelena l’invidia, serpe la gelosia. Proteste e critiche al risposta alle sue parole. I suoi miracoli sono negati, deturpati i loro moventi e tacciati di delinquenza perché avvengono in giorno di sabato, in cui non è  lecito operare prodigi: in conclusione è Satana che opera! Cercano di abbindolarlo con astuzia; tendenziosi problemi si architettano contro di lui per coglierlo in contraddizione con la dottrina corrente. Terribile deve essere stata la solitudine di Gesù; la solitudine del Figlio di Dio messo in catene per opera degli uomini. (Romano Guardini, Il Signore, parte terza, capitolo 4).

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