Fra Massimo dom"Come dunque può dire: Sono disceso dal Cielo?...”"

XIX DOMENICA – 9 AGOSTO 2015
1Re 19,4-8; Sal 33/34;  Ef 4,30-5,2; Gv 6,41-51
Guida, o Padre la tua Chiesa pellegrina nel mondo, sostienila con la forza del cibo che non perisce, perché, perseverando nella fede di Cristo, giungiamo a contemplare la luce del tuo volto.

“Ora basta, Signore!  Prendi la mia vita, perché io non sono migliore dei miei padri…”
“Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe?  Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: Sono disceso dal Cielo?...”

“I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti…”: ancora un riferimento all’Alleanza antica, significata dalla manna miracolosamente piovuta dal cielo;  un’alleanza non definitiva, che Cristo portava, porta a compimento nel suo corpo e nel suo sangue.
Se solo provassimo a metterci nei panni dei rappresentanti religiosi del popolo, credo che anche noi faremmo fatica ad accogliere la rivelazione di Gesù:  “Sono io il pane vivo disceso dal cielo! chi mangia di questo pane non morirà in eterno”.
Ma come!?! Abbiamo creduto e insegnato, per secoli e secoli, che Dio aveva stretto con Mosè (e con noi) un’alleanza eterna! in nome di questa alleanza siamo usciti dall’Egitto; abbiamo affrontato un viaggio di 40 anni nel deserto, guerre di conquista (non proprio sante) per prendere possesso della Terra promessa;  e poi l’istituzione del culto, la costruzione del Tempio, emblema di forza e gioiello che suscita invidia a re e regine;  persecuzioni, deportazioni, soprusi sopportati per amore di Dio…. E ora, questo signor nessuno, di professione falegname – con tutto rispetto per i falegnami! –, Gesù di Nazareth, ci vuole convincere che la nostra storia è valsa a nulla?  i sacrifici non servono – agnelli sgozzati, pani azzimi, erbe amare, digiuni… –; il Tempio sarà distrutto; la manna, la Legge, le alleanze… tutto inutile, una solenne finzione! Tutt’al più, una prova generale della vera, unica Alleanza, che, udite udite!! coincide proprio con Gesù di Nazareth, dice lui. Ma che combinazione!! e ha pure il coraggio – l’impudenza! – di ostentare se stesso come modello di umiltà e mitezza (cfr. Mt 11,29). Bisogna tuttavia riconoscergli che è un originale:  per fare alleanza con lui, è necessario mangiare la sua carne e bere il suo sangue…
Ma chi si crede d’essere questo qui?!  Certo, ha fatto il miracolo dei pani, sotto i nostri occhi… lo abbiamo visto e ci siamo sfamati…  Però, tanto per citare ancora una volta Mosè, ai tempi di Mosè – bei tempi! si tava meglio quando si stava peggio! etc. etc. – anche gli indovini del Faraone avevano fatto gli stessi prodigi con i loro bastoni magici…
Un miracolo, per quanto eclatante, non fa di un uomo un dio! …(non fa) di Gesù il Messia.
…Evvai con le mormorazioni!!
L’atteggiamento polemico dei farisei degenererà ben presto in ostilità;  al termine del discorso di Gesù, sarà scontro aperto.  Sappiamo come finisce la storia…  condanna a morte ed esecuzione sul Calvario.
Predicare sull’Eucaristia è difficile!  credere nell’Eucaristia è difficile!
Possiamo parlare del dono di Cristo:  la dinamica del dono, la morale della gratuità, il rinnegamento di sé…  la bontà del Padre, che non ha risparmiato suo Figlio, il suo unico Figlio, vittima di espiazione e autore della pace tra cielo e terra.  …E questo è un conto.
Ma, non appena cominciamo a percorrere le tappe della vita di Gesù, il discorso si complica, e qualcosa non torna:  alla luce dei fatti della Passione, emerge la scomoda verità, la paradossale verità che questo “DONO DEL CIELO” viene a noi attraverso un atto di forza cruento, tragico, immorale, assurdo, ove l’uomo, tutti gli uomini hanno dato e danno il peggio di sé:  gli artefici materiali della passione di Cristo hanno manifestato una violenza, una crudeltà che tutto esprime, tranne che gratitudine per il dono di Dio.
Siamo onesti! siamo sinceri!
Noi, questo dono del Cielo, il dono del corpo e del sangue del Signore Gesù, non lo volevamo, lo abbiamo rifiutato esplicitamente!! e, quel che è peggio, lo abbiamo rifiutato in nome di Dio, convinti di fare la volontà di Dio!  È in nome di Dio, del Dio di Israele, che il sinedrio decretò la condanna a morte di Gesù.  Proprio un bel modo di manifestare gratitudine (a Dio), non c’è che dire!
Ora, ciò che costituisce il vero problema, un nodo che non si riesce a sciogliere, è il fatto della relazione tra Passione di Cristo e dono del Padre.
In altre parole, l’unica via affinché si potesse manifestare la Grazia di Dio, la gratuità assoluta di Dio, era la Via Crucis, la via del tradimento, del rinnegamento, del rifiuto di Gesù da parte dell’uomo, dell’ammazzamento di un corpo (innocente) dato per noi.
Che poi, se ci pensiamo bene, è la dinamica ancestrale del sacrificio: violenza e grazia si fondono misteriosamente, fino a non potersi distinguere dove finisce una e comincia l’altra.
E però, questa chimica tra santità di Cristo e malvagità degli uomini mantiene, per così dire, ben distinte e separate le due verità:  il male dell’uomo rimane male, e non potrà mai ritenersi conditio sine qua non affinché si manifestasse la bontà e la santità di Dio!
Peccato dell’uomo e bontà di Dio: due grandezze tra loro incommensurabili, che la Passione (di Cristo) ha  tuttavia legato in una relazione, ripeto, inscindibile, come lo sono i pali di una croce.
Nella Prima Lettura abbiamo ascoltato la confessione del profeta Elia, il quale si era macchiato del sangue dei sacerdoti della regina Gezabele, e ora, fuggiva nel deserto, inseguito dalla guardia reale:  “Ora basta, Signore, prendi la mia vita, perché non sono migliore dei miei padri.”:  è vero, noi non siamo migliori dei nostri padri nella fede, i quali misero a morte il Signore.
Temo, credo che, se fossimo vissuti ai tempi di Gesù, anche noi avremmo alzato la voce, e forse anche le mani, contro di Lui.
Ma, anche a noi, come a Elia, Dio ordina: “Alzati e mangia!”, ogni domenica.
“Alzati e mangia! Senza la forza di questo pane, è troppo lungo per noi il cammino, insopportabile la fatica, insostenibile il dolore…”.
Con la forza di questo cibo, cammineremo anche noi fino alla fine (della vita), fino al monte di Dio.

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