GIOVANNINI Attilio sdb"Autorivelazione di Gesù... come Pane vivo"

16 agosto 2015 | 20a Domenica - Tempo Ordinario B | Appunti per la Lectio
Il discorso del pane di vita. il grande discorso dell'autorivelazione di Gesù. Sono io - dice Gesù - il vostro pane di vita, perché io sono disceso dal cielo.
Disceso dal cielo. Difficile da capire per i galilei. Ma Gesù mostra che non è un pretesa così folle, la sua. Le Scritture in fondo lo preannunciano, lo configurano, lo richiedono.
Ma c'è di più. Egli è disceso dal cielo (2° rivelazione) per dare la sua vita, per offrire sé stesso affinché il mondo viva.

Altrettanto difficile da capire per i galilei. Come fa un uomo a salvare il mondo morendo ammazzato? E noi dovremmo affidarci a un povero pazzo? È scandaloso.
Infatti è proprio lo scandalo della croce. Ma anche qui Gesù dimostra che non è poi così assurdo. Intanto non è proprio un uomo a fare questo, ma il "Figlio dell'uomo", cioè colui che è disceso dal cielo e vi ritornerà. Ecco, questa figura celeste della tradizione apocalittica discende dal cielo per donarsi senza riserve, affinché la sua vita sia trasfusa in quella degli uomini. Occorre dunque aprirsi al suo dono. Come dice Gesù, occorre

mangiare la sua carne e bere il suo sangue
Mangiare la sua carne, poiché equivale a "mangiare il pane di vita", vuol dire ugualmente credere, quindi accogliere il suo sacrificio come salvezza, come grazia. Mangiare e bere inoltre suggeriscono l'idea di introiettare, di acquisire. E per questa via Gesù arriva all'ultima rivelazione: la mutua inabitazione.

Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui.
Ancora difficile da capire, e questa volta non solo per i Galilei. Ma anche qui Gesù può rifarsi alle Scritture, che già parlano ampiamente della mutua appartenenza di Dio e del suo popolo, per es. Ger 31:

Io sarò il loro Dio ed essi il mio popolo.
È già un'indicazione di intimità. Gesù la sviluppa, argomentando:

Come il Padre, che è il vivente, ha inviato me ed io vivo per lui, così chi mangia me vivrà per me.
Il che è comprensibile se si pensa che l'inviato è disceso esattamente per ristabilire un rapporto di comunione tra Dio e l'uomo. Allora, come Dio è nel suo inviato, così l'inviato si deve donare al credente, perché in lui possa trovare Dio.
Non diciamo forse che col battesimo diveniamo figli di Dio? Figlio è colui che ha in sé la vita ricevuta dal padre. Ma è attraverso il Figlio che noi riceviamo questa vita e diveniamo figli. Dunque è esatto dire che aderendo al Figlio siamo ripieni della vita che lui porta. Viviamo l'uno nell'altro, siamo due in uno.
Eccoci arrivati al culmine della rivelazione. Ora sappiamo davvero chi è Gesù. E sappiamo chi siamo noi. Noi, i figli di Dio. Noi la trasparenza di Gesù. (Christianus alter Christus). Noi il tempio dello Spirito. Se davvero ci nutriamo di lui, accogliendo il suo donarsi, lasciandoci salvare da lui. Se davvero ci conformiamo a lui, Figlio obbediente. Se consegniamo la nostra al Padre per i fratelli.
La "comunione" che facciamo alla messa intende davvero unire il nostro destino al suo? O è solo un rito banale?

GIOVANNINI Attilio sdb

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