Luca Desserafino sdb "Accogliete con docilità la Parola"

30 agosto 2015 | 22a Domenica - Tempo Ordinario B | Omelia
"Religione pura e senza macchia davanti a Dio Padre è questa: visitare gli orfani e le vedove nelle sofferenze e non lasciarsi contaminare da questo mondo".
Queste parole, tratte dalla lettera dell'apostolo
Giacomo, di cui oggi inizia la lettura continua, vengono incontro a noi proprio mentre sta terminando, per molti, il periodo delle vacanze e si riprendono le attività ordinarie. Le parole del'apostolo si inseriscono nella dimensione normale della vita: non sono esortazioni per la festa o per momenti straordinari ma riguardano i giorni feriali di ogni settimana. Ecco perché sono un dono per questo tempo; potremmo dire che sono le parole buone che il Signore ci rivolge all'inizio di questo nuovo tempo perché possiamo "conservarci puri da questo mondo" e comprendere quale sia il vero culto gradito a Dio.

Il Vangelo ci dice che Gesù è ancora in Galilea, in un'area lontana dalla capitale e dal centro della religione. Aveva iniziato qui la sua missione pubblica, annunciando ai poveri e ai deboli l'avvicinarsi del regno di Dio. Da Gerusalemme arrivarono alcuni scribi e farisei per discutere con lui. La sua fama di predicatore era evidentemente giunta sino alla capitale e costoro venivano forse non per accusarlo ma semplicemente per discutere con lui. In effetti, Gesù era ancora all'inizio della sua predicazione e ancora troppo lontano da Gerusalemme per richiedere un urgente intervento di opposizione alla novità del suo annuncio.

Molti dei farisei, ci è noto, erano osservanti non solo della Legge, la Torah, ma anche delle aggiunte che lungo gli anni e i secoli i saggi d'Israele avevano raccolto: queste ultime sono quelle che l'evangelista chiama "le tradizioni degli antichi". Con tali prescrizioni rituali si voleva circondare di rispetto, concreto e minuzioso, il mistero di Dio e c'è da dire che non dobbiamo affatto da disprezzare queste attitudini. La mancanza di rispetto per il rito, infatti, è indice di una mancanza del senso di Dio.
Ma se tali prescrizioni rituali non vengono vissute all'interno di un rapporto reale e autentico con il mistero che si celebra diventano ritualiste, ossia gesti vuoti di senso e sopratutto privi di cuore, esteriori e freddi.

I farisei vedendo i discepoli di Gesù che non osservano le pratiche di purificazione prima di mangiare, si sentono in pieno diritto di chiedere al maestro: "Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani immonde?". Ovviamente, il loro rimprovero è diretto non alla trasgressione di una norma igienica, ma ad una prescrizione rituale.

Gesù, riprendendo le parole del profeta Isaia stigmatizza la grettezza di un atteggiamento puramente esteriore: "Questo popolo - risponde - mi onora con le labbra, ma il loro cuore è lontano da me. Invano essi mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini". In Gesù è il lamento di Dio per un culto puramente esteriore, tale culto Egli non sa che farsene.

E Gesù continua: "Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini". Non si tratta, qui, di condannare e sminuire le pratiche rituali, né di favorire una religione intimista e individualista nè tantomeno si vuole attenuare l'osservanza della Legge.

Gesù conosce bene quanto Mosé ordinò al poppolo d'Israele e non esorta affatto a disobbedire alla Legge. Quel che condanna è la lontananza del cuore degli uomini da Dio; ciò che Gesù pone in quesione è il rapporto personale tra l'uomo e Dio. Gesù, collegandosi alla critica sulle mancate abluzioni, chiarisce cosa è davvero impuro, ossia non adatto a Dio. C'è una prima affermazione molto chiara: nessuna delle realtà create è inadatta a Dio; quindi, nulla è impuro. L'impurità, infatti, non è nella realtà creata da Dio ma nel cuore dell'uomo; Gesù chiarisce che il male non nasce per caso, come se fosse il frutto di un cieco destino. Ognuno può diventare coltivatore, spesso solerte, nel terreno del proprio cuore di piccole o grandi quantità di erbe amare che avvelenano la nostra vita e quella degli altri.
Siamo noi responsabili dell'amarezza di questo mondo; chi più, chi meno; nessuno può dirsene fuori. È perciò dal cuore che dobbiamo partire per estirpare il male in questo mondo. Troppo spesso si trascura il cuore pensando che quel che conta è cambiare le strutture o cambiare le leggi. Ma il punto centrale della lotta contro il male è il cuore.

È nel cuore che si combattono le battaglie per cambiare davvero il mondo, per essere tutti migliori. E' nel cuore che vanno piantate le erbe buone della solidarietà, dell'amicizia, della pazienza, dell'umiltà, della pietà, della misericordia, del perdono. La via per questa piantagione buona è segnata dal Vangelo. Noi abbiamo il compito e il dovere di accogliere quella parola e farla crescere perché non solo non sia soffocata dalle nostre pesantezze, ma possa portare frutti.

A volte le molte osservanze esteriori che poniamo nel nostro rapporto con Dio ci fanno dimenticare ciò che più conta: la rettitudine, la giustizia e l'amore. Si cura più l'esteriorità, l'apparenza e ci si dimentica di curare di più l'interiorità, affinchè porti equilibrio a tutto il nostro esere figli del Dio dell'amore. Nel linguaggio biblico il cuore è il luogo delle decisioni profonde e stabili, dove avviene la scelta fra il bene e il male, fra Dio o noi stessi.

A fronte di questo, se il primo dovere dell'uomo è di tenere in ordine il cuore, lo è maggiormente per chi si mette al seguito di questo Maestro che indica ad ogni suo discepolo il giusto modo di vivere il proprio personale rapporto con Dio-Padre e con il mondo intero.

ioso del Padre che da sempre ci ama attirandoci a sè con quei beni promettenti, su cui ognuno è chiamato a decidersi, che già fin da ora sono seminati nel campo della nostra vita.

Luca Desserafino sdb

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