MACHETTA Domenico SDB"Mangiare", per non morire"

9 agosto 2015 | 19a Domenica Tempo Ordinario B | Appunti per la Lectio
1ª LETTURA: 1 Re 19,4-8
Per il profeta Elia è arrivato il momento della paura, del disgusto, della delusione: è l'esperienza del "deserto". Elia, un "fissato" del Dio unico. Personaggio misterioso. Viene dal mistero e ritorna nel mistero. "Simile al fuoco, la sua parola bruciava come fiaccola" (Sir 48). Un fulmine: guizza improvviso e scompare; quando
meno te l'aspetti te lo trovi lì... Duro con i prepotenti, mite e dolce con i poveri e gli umili. È tra i personaggi più richiamati dal Nuovo Testamento, con Abramo, Mosè e Davide. Definisce se stesso come uno che sta alla presenza di Dio: "Per la vita del Signore Dio d'Israele, alla cui presenza io sto!".
Ebbene, proprio lui, questo "tornado" di Dio, dovrà passare attraverso un'esperienza tremenda di fragilità e di impotenza. Elia, impaurito, si dà alla fuga. Un Elia irriconoscibile, distrutto e disfatto, desideroso di morire. Sperimenta la sua debolezza. È il "Getsemani" del profeta. Ma, mentre Gesù, "in preda all'angoscia, pregava più intensamente" (Lc 22,44), Elia dorme! Ed ecco, proprio il momento della paura, della nausea, del sonno-fuga, del crollo, diventa per Dio un'occasione di ricupero, di guarigione.
"Alzati e mangia", dice l'angelo del Signore. "Con la forza datagli da quel cibo, camminò quaranta giorni e quaranta notti". Con un cibo preparato dal Signore, Elia cammina quaranta giorni e quaranta notti. "Quaranta" è il numero del deserto, del tempo della prova. Per questo cammino è necessario un cibo dall'alto. È necessario essere nutriti dal Signore. Il riferimento all'Eucaristia è naturale. Per capire la necessità di questo "unico pane" occorre un'operazione chirurgica da parte di Dio: l'operazione-distacco. Occorre cadere a terra, essere detronizzati, diventare dei "deposseduti", come Elia nel deserto.

VANGELO: Gv 6,41-51

Quando Gesù si presenta come "il pane disceso dal cielo" (Gv 6,41), troverà dei muri tra gli ascoltatori. Scandalizza la kenosis, il Dio incarnato: "Costui non è il figlio di Giuseppe?". È sempre lì lo scandalo. Gesù non attenua lo scandalo, anzi lo spingerà fino in fondo: parlerà di innalzamento, di croce. Si scandalizzino pure, fino in fondo. Seguire Gesù significa piantare una croce: non vivere più per se stessi. Questo pane supera le attese dell'uomo, lo costringe a uscire dalle proprie vedute meschine, a fidarsi.
Gesù è rifiutato, ma rifiutare Gesù significa rifiutare il Padre: "Nessuno viene a me se non lo attira il Padre". Questa gente non si fida, non ascolta Dio. È gente che "mormora". C'è il verbo dell'Esodo. È la generazione dal cuore duro, quella di Massa e Meriba e di sempre. Chi non accetta Gesù, mormora. Nel deserto Dio interveniva per il popolo, lo nutriva, lo dissetava; ma tra un intervento e l'altro, il popolo mormorava, contestava, non si fidava.
"Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia".
"Io sono il pane vivo... il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo". Non si tratta di insegnamenti, ma di vita donata: la mia carne. È il pane "spezzato" per noi, il cibo di vita eterna per chi sa dare la vita, per chi sa " perdere" la vita. Con la forza di "quel cibo", Elia camminò quaranta giorni e quaranta notti fino al monte di Dio. Guarito dalla sua depressione, riprende vita. Gesù ci chiede di "mangiare", per non morire. È questione, dunque, di vita o di morte.

MACHETTA Domenico SDB

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