mons. Francesco Lambiasi “Volete andarvene anche voi?”

Il pane della domenica  
XXI Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) 
Vangelo: Gv 6,60-69 
Da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna
In questi ultimi tempi si vanno moltiplicando delle presunte “storie” di Gesù, che in realtà sono delle favole abilmente manipolate per
imbambolare milioni di persone e impinguare così le casse di editori e librai. Ci sono però pure delle vite di Gesù che risultano creazioni originali senza essere infedeli all’autentica storia del Nazareno, opere intelligenti, affascinanti, ricche di pathos e di umanità. Accanto a quelle ormai classiche di Papini, Mauriac, Daniel-Rops, Shusaku Endo e alle ultime di Jacomuzzi, Parazzoli, R. Doni, una delle più riuscite è senz’altro la Vita di Cristo di L. Santucci (1918-1999) rieditata più volte e intitolata con le parole di Gesù prese dal vangelo di oggi: Volete andarvene anche voi? Ecco come lo scrittore milanese ricostruisce il contesto di quell’interrogativo che fu, allo stesso tempo, una domanda amareggiata e un risoluto ultimatum senza appello da parte del Maestro: “Quando, la sera d’un giorno di più cocenti smacchi e di più numerose diserzioni, Cristo domandò ai suoi compagni: “Volete andarvene anche voi?”, Pietro rispose con una frase che secondo l’accento con cui fu pronunciata può suonare fervida di certezza o venata di sgomento: “Signore, dove andremo noi? Tu solo hai parole di vita eterna”. Quella domanda di Cristo (...) batte a una certa ora per ogni uomo: “Non vi basto? vi opprimo? vi deludo?”. E giova allora rispondere, in sincerità di parole e di passioni verso di lui e verso noi stessi”.
1. Le parole di Gesù sul “pane di vita” avevano seminato il vuoto attorno al Maestro di Nazaret. Le fiumane di folle che lo seguivano entusiaste, sembrano come prosciugate dalla delusione più amara. Ma ora, dopo la sconcertante promessa di dare addirittura la sua carne da mangiare, la mormorazione contro il rabbi galileo ha contagiato perfino “molti” discepoli, che non riescono a metabolizzare quel linguaggio duro e tanto inquietante del Maestro. “Molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andavano più con lui”, riferisce sbigottito l’evangelista Giovanni. Invece di andare dietro a Gesù, tanti dei primi suoi compagni fanno inversione di marcia e si defilano dal gruppo. E proprio all’interno della cerchia più vicina al Maestro si profila l’ombra sinistra del traditore, Giuda: “uno dei Dodici”, annota con enfasi desolata l’evangelista.
Il momento è alto e tesissimo: senza ricorrere ad espressioni-paraurti, Gesù pone l’interrogativo inatteso e scottante: “Forse volete andarvene anche voi?”. L’umanissima risposta di Simon Pietro, a nome degli altri Undici, è fulminante, quanto la domanda del Maestro: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna; noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio”.
Questa sequenza evangelica viene identificata dagli storici come l’“equivalente giovanneo” della confessione di Pietro a Cesarea di Filippo. Come qui, anche lì Gesù provoca i suoi a schierarsi, dopo aver registrato le opinioni della gente sul suo conto: “Ma voi, chi dite che io sia?”. E Pietro rispose: “Tu sei il Cristo” (Mc 8,30).
Anche la 1ª lettura ci riporta un momento decisivo e altamente drammatico della storia di Israele. Il Signore aveva eletto il popolo ebraico, lo aveva liberato dalla schiavitù, lo aveva sollevato come su ali di aquila, colmandolo di doni, con benevolenza tenerissima e squisita gratuità.
Ora che questo popolo sta per prendere possesso della terra promessa, il Signore esige una decisione: “Chi scegliete, YHWH o gli dèi stranieri?”. Gli dèi “al di là del fiume”, il Giordano, esigono di meno del Signore, molto di meno, sono molto più accomodanti; non vietano questo e quello; basta qualche agnellino in sacrificio per comprarne il favore bizzarro. La risposta quel giorno, nella storica assemblea di Sichem, fu: noi scegliamo di servire il Signore! E così il popolo poté entrare nella terra promessa.
2. Anche noi siamo stati scelti dal Signore quando ci ha chiamati alla vita e poi ci ha inseriti nella sua famiglia con il battesimo, ci ha ammessi alla sua stessa mensa nell’eucaristia. A nostra volta, abbiamo rinunciato a Satana, ci siamo impegnati a non cedere alla seduzione degli idoli, per scegliere di servire fedelmente il Signore. Ma sappiamo il seguito di questa... umano-divina commedia: mentre Lui rimane fedele, noi ripieghiamo facilmente verso il compromesso, cercando di servire tacitamente due padroni. E così la storia va avanti, oscillando continuamente tra i due poli, tra Dio e il nostro vitello d’oro, mescolando fifty-fifty fede e infedeltà, adorazione e superstizione, vangelo e oroscopo, devozione ai santi e adesione ai miti correnti. Il nostro rischio non è quello di diventare increduli, ma idolatri: non sono idoli seducenti l’avere, il potere, l’apparire? Certo, non siamo tentati di venerare la statua della dea Venere o del Dio Marte, ma di idolatrare i valori - o presunti tali - della Bellezza fisica, del Piacere a tutti i costi, del Successo senza scrupoli, del Denaro, del Benessere, dell’Immagine, della Moda...
Oggi viviamo in un tempo in cui non possiamo più essere cristiani per abitudine, per tradizione, per convenienza o per convenzione sociale. Mai come oggi ci viene continuamente riproposta la domanda di Gesù: “Volete andarvene anche voi?”. Almeno una volta all’anno la Chiesa ci convoca a rinnovare solennemente la nostra alleanza con Cristo Signore, la notte di Pasqua, e in ogni eucaristia domenicale.
Ma poi di volta in volta, in casa o sul posto di lavoro, a scuola o nel tempo libero, in banca o in ospedale, ci si presentano occasioni in cui non possiamo zoppicare da ambo i piedi, e siamo chiamati a scegliere: o con Cristo o contro Cristo; o per la vita o per l’aborto; o per la fedeltà coniugale o per il divorzio; dobbiamo optare tra l’inchiodare sulla croce il nostro io possessivo e vorace oppure crocifiggerci qualcun altro. La scelta è tanto più necessaria oggi, in un momento in cui, come cristiani, non possiamo assistere impotenti o rassegnati alla crisi culturale e sociale dei nostri giorni. Stiamo vivendo tempi in cui essere cristiani è tornato a costare, ma questo, se rende la nostra scelta più difficile e urgente, la fa risultare anche più preziosa e feconda.
Tra poco rinnoveremo la nostra professione di fede, ma prima cerchiamo di rimanere qualche istante in silenzio per fissare una domanda che faremo bene a riprendere poi con più calma: da quali segni nella mia vita gli altri capiscono che “ci credo”? Quindi, al termine della recita del Credo, restiamo ancora raccolti per un’altra brevissima sosta, per dire dal più profondo del cuore, con le parole di quell’uomo del vangelo: “Signore, io credo, ma tu aiutami nella mia incredulità” (Mc 9,24).
Commento di mons. Francesco Lambiasi

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