Padre Paolo Berti ‹Effatà›, cioè: ‹Apriti!›”

Omelia XXIII Domenica del tempo ordinario
Lo smarrito di cuore è quello che ha visto travolte le sue sicurezze, le sue previsioni dissolte, e non sa cosa fare. Egli vede tutto ormai "fuori controllo". Pensa che Dio lo abbia abbandonato e lasciato in balia degli eventi, senza più curarsi di lui. Ma Dio è fedele e interviene a dare coraggio allo sfiduciato, allo stanco. Egli ha tutto sotto controllo; la storia non
gli sfugge dalle mani ed ha un disegno che non tradirà. Un disegno che sarà di vendetta per gli empi e di ricompensa per quelli che, pur nelle difficoltà, rimangono fedeli, fiduciosi, in attesa. Il disegno è Cristo. Ma allora, quale vendetta? Quale ricompensa?
La vendetta di Dio sarà nel continuare a dare amore, così come si legge nello stesso profeta Isaia (29,14): "Perciò, eccomi, continuerò a operare meraviglie e prodigi con questo popolo; perirà la sapienza dei suoi sapienti e si eclisserà l'intelligenza dei suoi intelligenti". La ricompensa sarà l'intimità con Dio: nella fede sulla terra, nella gloria nel cielo. La vendetta sta dunque nel dare amore. Una vendetta tutta difficile da capire, ma che la Scrittura ci fa intendere. Il faraone si indurì davanti a Dio perché rifiutò la sua Parola; si indurì perché interpretà la pazienza di Dio nei suoi riguardi come debolezza di Dio.
Anche le parole del santo Simeone ci dicono che il rifiuto dell'amore porta alla completa rovina, non perché l'amore voglia la rovina, ma perché il suo rifiuto segna il trionfo dell'odio e quindi della morte (Lc. 2,34): "Egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori".
Di fronte a Cristo gli uomini non possono non prendere posizione; si avrà apertura del cuore o tragico indurimento. I paragoni coi quali il profeta presenta la desolazione d'Israele, dopo le conquiste assire e babilonesi, sono forti. Parla di terra bruciata, segno degli incendi di guerra: la terra veniva "cotta". Noi possiamo dire ancora peggio: terre contaminate dalle radiazioni nucleari, dai veleni, dall'uranio impoverito, sconvolte dalle bombe. Il profeta parla di terra riarsa, segno di come anche le stagioni si erano ribellate agli uomini, visto che essi si erano ribellati a Dio.
Noi possiamo dire l'uguale, con il particolare che abbiamo aggiunto ai fenomeni meteorici l'effetto serra. Parla di ciechi, di zoppi, di sordi, di muti: un'umanità ferita, dolente.
Di fronte a tutto ciò il cuore veramente si smarrisce. Di fronte all'uomo cieco, sordo, deforme, brutto fisicamente, nasce una domanda: "Perché l'uomo, così?". La risposta è una sola: "Così per il peccato".
L'uomo era bellissimo quando uscì dalle mani di Dio, poi i peccati, spinti a capolavori di abiezione, hanno intaccato, lungo la millenaria e millenaria e millenaria successione della trasmissione della vita, il patrimonio genetico dell'uomo. La bruttezza, presente tanto spesso, è il segno di dissesti genetici causati da perversi connubi con il male. Ma ecco, il profeta parla di un tempo nuovo, stupendo. La terra bruciata diventerà una palude, in cui la terra viene saturata di acqua; il terreno riarso diventerà ricco di sorgenti; gli zoppi cammineranno, i ciechi vedranno, i muti parleranno e i sordi udranno. Questo avrebbe fatto il Messia e lo ha fatto.
Gli uomini della Decapoli - terra pagana, ma non priva di credenti in Dio - rimasero sbalorditi dai miracoli di Cristo e riconobbero in lui il Messia: "Ha fatto bene ogni cosa".
Ma non rimaniamo solo a considerare il miracolo, quando c'è qualcosa di più, c'è infatti quel sospiro di Gesù. Lasciamoci colpire da quel sospiro. Sospiro che scaturisce dall'amore, dalla pietà verso quell'uomo che porta il segno dei connubi di generazioni e generazioni con Satana. Lui è la Parola del Padre, e quell'uomo sordomuto non la può udire né può fare udire la sua. L'orizzonte culturale di quell'uomo non poteva che essere misero, capiva solo con gesti e non c'era ancora un sistematico linguaggio gestuale per lui. Gesù gli vuole parlare, lo chiama in disparte. Gli parla nella maniera più efficace per quell'uomo. Con le dita gli tocca gli orecchi; con un po' della sua saliva gli tocca la lingua. Al sospiro, Gesù accompagna una parola: "Effatà".
E' il Creatore che tocca la sua creatura resa deforme dal male e la ricompone. Gesù risana i poveri, gli umili, gli emarginati, non li scarta per rivolgersi ai ricchi, ai facoltosi, ai sani. Proprio guardando alla carità di Cristo verso gli ultimi, i derelitti, parla san Giacomo nel brano della sua lettera. Egli presenta come grave cedimento l'essere attratti dal ricco che ostenta la sua ricchezza, e questo addirittura nell'ambito di una celebrazione Eucaristica. Giacomo - va detto - non invita a non dare onore alle autorità, niente affatto. Giacomo presenta invece un gonfio, un esibizionista ricco, che vuol farsi vedere nelle assemblee. Presenta l'assurdità di assecondare questo gonfio fino a negare una sedia ad un povero. E' questo un agire sulla base di una valutazione delle persone che l'apostolo dice "perversa". E' introdurre nell'assemblea dei tempi nuovi, il vecchio; è contraddire le ragioni di quell'assemblea centrata su Cristo e procedente da Cristo. E' introdurre nell'assemblea di Cristo la terra bruciata, riarsa. E' rendere mute le lingue. E' rimanere sordi alla Parola.
Il Battesimo aveva aperto gli occhi a "vedere", le orecchie a "udire", le labbra a "testimoniare e pregare"; ed ecco invece cristiani zoppi, muti, sordi e ciechi. Ecco, cuori riarsi dal fuoco distruttore delle passioni; ecco cuori aridi senza l'acqua di vita, che è lo Spirito Santo.
Giacomo invita a leggere gli altri secondo Cristo e non secondo la carne.
E' facile, certo, essere attratti dall'uomo intelligente: piace la sua conversazione culturalmente vivace e arricchente; è facile essere attratti dalla bellezza: essa si impone; facile essere attratti dall'uomo influente, potente. E' però disastroso non vedere nel povero, nel “diversamente abile”, un uomo amato da Dio, redento da Cristo e che risorgerà glorioso. Disastroso quando si ossequia l'intelligenza, la bellezza, la ricchezza, il potere, e si tratta male colui che non ha queste cose, perché vuol dire che siamo attratti da ciò che appare, da ciò che ci può essere utile. Disastroso non avere moto d'amore di fronte ai bisognosi. Disastroso perché l'amore verso il bisognoso rende ricchi, ricchi di Dio.
Quel sordomuto che tanto faceva pietà, Gesù lo trattò con ogni amore. Lo prese in disparte, cioè gli diede un momento tutto per lui; gli suscitò la fede con un linguaggio adatto alla sua condizione di sordomuto. Quel sospiro di Gesù è grande rivelazione d'amore, ma è anche azione, è alito di vita: “Guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: ‹Effatà›, cioè: ‹Apriti!›”.
Qui il punto forte, centrale, di questa XXIII Domenica del tempo ordinario, poiché anche oggi, in tanta terra bruciata, riarsa, Gesù non cessa di dire all'uomo “Effatà”; e il cuore dello sfiduciato, dello stanco, si riprende aprendosi a Dio. La terra bruciata dagli odi può in ogni momento diventare fertile. Delle sorgenti incessantemente donano acqua viva. Chi si disseta ad esse diventa capace di diffondere freschezza di vita per piegarsi sui poveri, sui derelitti, e anche sui potenti e sui ricchi, che se disonesti non siedono in alto, ma sono nel buio in basso. Chi si disseta alle sette sorgenti, che sono i Sacramenti della Chiesa, si piega misericordioso su tutti, così introduce nella storia la pace. La terra, lo crediamo, pian piano conoscerà aree di pace sempre più numerose; piccole prima, ma poi sempre più grandi. E le oasi diventeranno un'unica oasi: sarà il tempo della civiltà della verità e dell'amore. Certo ci saranno ancora peccati, rimarranno nel buio di deserti neri la memoria di dottrine perverse, ma non per colpa delle sette sorgenti, che sono capaci di dare acqua viva a tutta la terra. Amen. Ave Maria. Vieni, Signore Gesù.

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