don Marco Simeone" Cosa ti fa discepolo di Cristo?"

Commento su Marco 9,38-43.45.47-48
XXVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (27/09/2015)
Vangelo: Mc 9,38-43.45.47-48 C
Commento a cura di don Marco Simeone
Questa domenica proseguiamo il cammino di domenica scorsa: le letture sono forti, specialmente la lettera di S. Giacomo, e bisogna lasciare che ci lavorino dentro, un po' come una
medicina che disinfetta e guarisce. Badate bene che non è la durezza che guarisce, in fondo di toni forti ce ne cibiamo ogni giorno (...è una vergogna...si dovrebbero vergognare...basta!...bla bla bla), ma le domande che il Vangelo ci pone alle quali non possiamo rispondere con risposte già fatte del catechismo di quando eravamo bambini.
Oggi la Parola di Dio ci chiede: tu a chi appartieni? Cosa ti fa discepolo di Cristo?
La risposta giusta ma riduttiva è certamente: il mio Battesimo! Arricchendola potremmo aggiungere anche tutti gli altri sacramenti, e quel po' di carità che abbiamo fatto fino ad ora, in fondo non siamo malaccio... questo è esattamente il pensiero dei discepoli. Allora è più facile capire lo sgomento dei discepoli, e la domanda che sotto sotto viene su da qualche recondito cassetto del cuore o della mente, cioè: allora perché ho fatto tutto quello che ho fatto finora se questo qui, l'ultimo arrivato, mi passa avanti?
Cerchiamo di capirci bene, questo esorcista abusivo, così abusivo proprio non è: caccia i demoni nel nome di Gesù il Cristo. Questa espressione non indica semplicemente una forma che può essere intercambiabile (nel mio nome, nel nome di un amico mio, di una qualche divinità, etc.), al contrario significa che con quella persona che si invoca nel nome c'è una profondissima unione, come dire che non sono io a parlare ma Gesù stesso. È Gesù che spiega che l'abusivismo non è nell'iscrizione del nome in un numero di ristretti, ma nell'adesione o non adesione di testa, cuore e vita con Lui. Paradossalmente rischiamo più noi l'essere abusivi che quello sconosciuto, perché noi siamo ufficialmente di Cristo, ma rischiamo che la nostra vita racconti che agiamo nel nome di qualcun altro, forse semplicemente il nostro o dei nostri desideri/bisogni. Per questo poi il vangelo prosegue con il discorso dei "tagli": di chi sei, di chi porti il nome, quale è la tua maglia? Di Cristo o di qualcos'altro?
Se ti dovessi accorgere che ti è "scivolato" addosso un nome diverso allora taglialo, non stare tanto a cincischiare perché è solo una sanguisuga che ti consuma la vita. I 3 pezzi da tagliare rappresentano rispettivamente: la mano è l'agire, il piede è il muoversi verso i fratelli, mentre l'occhio è il giudicare/valutare. Il nostro agire, andare incontro al fratello e il nostro saper rettamente giudicare la realtà, tutto questo deve essere nel nome di Gesù, come a dire che si dovrebbe poter sovrapporre il nostro modo e il suo, in modo che chi vede noi in realtà veda Lui (è per questo che poi il demonio se ne scappa via).
I ricchi che con tanta forza S. Giacomo bombarda, sono coloro (... e a bassa voce dico che potremmo essere pure noi!) che sono così pieni (ricchi) di sé, delle proprie idee, dei propri desideri scombinati, tanto da non lasciare spazio a Cristo.
È una facile scappatoia pensare che i ricchi nella Bibbia si scoprono con il modello 740, niente di più lontano dalla verità, sono invece quelli che sono vuoti e che riversano la fame di Dio su qualcosa di altro, allora c'è chi si butta sui soldi, chi sul piacere e chi sul potere; è la stessa malattia con 3 versioni. Essere povero indica essere "vuoto", affamato di Dio e capace di spazio per Lui, aver confinato desideri e compagnia cantante al 2° posto perché il primo è di Dio (... Io sono il Signore tuo Dio...).
La domanda che ci viene buttata lì come una roccia è: sei abusivo o "regolare"? O, con diverse parole: chi vede te, riesce a vedere Gesù? Regolare significa secondo la norma, conforme, e per noi significa conformi a Cristo!
Una postilla: la seconda domandina è: perché faccio quello che faccio? Questa è ancora più potente,... "terremotante". Se appartengo a Cristo, dovrei poter dire: per l'amore sconfinato al Padre che ama senza misura l'uomo. Gesù nell'ultima cena prende il pane che sta per spezzare (immagine vera della croce che poche ore dopo avrebbe vissuto) e ringrazia il Padre, che gli dà la possibilità di fare il dono di sé, totale, a favore di tutti noi.
Allora perché faccio quel che faccio: è Cristo che vive in me (Gal 2,20) o mi sto "comprando" il Suo amore o il paradiso?
Abusivo o regolare?

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