Mons. Antonio Riboldi "Dio ha scelto i poveri e noi …?"

XXIII Domenica del Tempo Ordinario
6 settembre 2015
Fino a qualche anno fa, si sentiva spesso dire: ‘Credevamo di essere ricchi, o meglio di stare bene’, poi è arrivata la crisi economica, che ha messo a dura prova la sicurezza materiale, - tranne per alcuni ‘privilegiati’, davvero ricchi – e ci ha fatto compiere un passo indietro nelle nostre certezze di benessere acquisito.
Dalle varie inchieste che si fanno a getto continuo sullo stato vero di salute della nazione viene fuori
che esistono sacche, e numerose, di miseria vera e propria, oltre al dramma dei profughi, che tanti fa discutere, dimenticando la tragedia personale di tutti questi nostri fratelli, al punto da manifestare apertamente un senso di fastidio, se non di ripulsa, come quando in una riunione di gente vestita bene si affaccia uno vestito con semplicità o peggio con povertà.

Ricordo sempre un fatto che mi capitò tanti anni fa, visitando gli emigrati della mia parrocchia di S. Ninfa in Venezuela. Ero sconcertato dalla realtà delle favelas, miseri rifugi, al cui confronto le baracche in cui avremmo poi dovuto vivere dopo il terremoto, erano delle regge. Bastava una pioggia torrenziale a spazzare via tutto, e ciò capitava spesso tra l’indifferenza generale. Una sera fui invitato ad un rinfresco tra i meravigliosi palazzi di Caracas. Vi erano alcuni venezuelani il cui benessere balzava prepotentemente agli occhi. Feci la domanda che da giorni mi frullava in mente: ‘Chi sono quelli che abitano le favelas? Sono poveri venezuelani o immigrati?’. Ebbi una risposta secca come una lama: ‘Quelli lì sono campesinos!’. Insomma, erano creature che avevano persino perso il diritto alla cittadinanza, ad un’identità: erano ‘quelli lì!’.

La stessa risposta, se badate bene, l’abbiamo ovunque, in un palazzo, in un paese, in una città, in una nazione dove ci sono dei poveri, persone considerate ‘diverse’ da noi. Sono ‘quelli lì’, che devono rimanere nell’ombra, ‘non dare fastidio’, anzi, spesso, essere allontanati, perché ‘mettono a repentaglio il nostro benessere …. la nostra sicurezza’!?

Quanti inchini, quante attenzioni, invece, abbiamo verso chi ha o fa mostra di avere! Pensiamo all’obbrobrio del funerale a Roma di un mafioso, che tanto scalpore – giustamente – ha fatto. Quanta folla ad … ossequiare! Davvero troppa gente ha davvero perso ogni senso di pudore, di dignità, di onestà.

Invece i poveri sono solo ‘quelli lì’, gli emarginati anche dal diritto ad una dignità di vita.

Ma la Chiesa, interprete del Cuore di Dio, li ha scelti come privilegiati e noi, se davvero siamo cristiani, non solo di nome, ma di fatto, dobbiamo seguire questo esempio.

Scrive l’apostolo Giacomo: “Fratelli miei, la vostra fede nel Signore nostro Gesù Cristo, Signore della gloria, sia immune da favoritismi personali. Supponiamo che, in una delle vostre riunioni,  entri qualcuno con un anello d’oro al dito, vestito lussuosamente, ed entri anche un povero con un vestito logoro. Se guardate colui che è vestito lussuosamente e gli dite: ‘Tu siediti qui, comodamente’ e al povero dite: ‘Tu mettiti là, in piedi’  oppure: ‘Siediti qui ai piedi del mio sgabello’, non fate forse discriminazioni e non siete giudici dai giudizi perversi? Ascoltate, fratelli miei carissimi: Dio non ha forse scelto i poveri agli occhi del mondo, che sono ricchi nella fede ed eredi del Regno, promesso a quelli che lo amano?”. (Gc. 2, 1-5)

È più che giusto che il nostro pensiero e la carità della Chiesa – come sta avvenendo in tante diocesi con prestiti agevolati, con l’apertura delle parrocchie e dei monasteri agli immigrati o in altri modi – si faccia vicino a chi davvero non sa come sostenere la famiglia, o perché disoccupato o per i pochi mezzi o perché costretto a fuggire da guerre e miseria.

È in questi momenti che, al posto dell’egoismo del benessere, dovrebbe, per noi cristiani, sorgere il dovere della generosità, ossia la capacità di farsi prossimo a chi non sa più come affrontare la vita quotidiana. È davvero il momento della carità o, se volete, della beatitudine della povertà, proclamata da Gesù.

‘Si stava bene – mi diceva mamma, esperta nella povertà – quando si stava materialmente male. Ora che abbiamo tutto, si sta davvero molto male spiritualmente e come cuore’. Quanta saggezza evangelica nelle sue parole.

Affermava Paolo VI, riferendosi alla povertà che Gesù aveva scelto come stile di vita:

“La povertà è da Cristo onorata: bisogna che la onoriamo anche noi … Oggi la povertà è oggetto di lodevolissimo interesse. Importante, perché impegna tutti; difficile, perché, più o meno, tutti, specialmente nel nostro mondo moderno, siamo assorbiti dalla vita economica. Né a questa vita economica si deve abdicare, sì bene la si deve ragionevolmente promuovere, perché legge della vita umana. Ma poveri in spirito, se vogliamo essere ricchi di carità, se vogliamo essere cristiani, e, alla fine, se vogliamo essere veri e civili, dobbiamo pur diventare. … Chi possiede, spesso è posseduto dalle sue ricchezze e dalle preoccupazioni che esse portano con sé. Difficile virtù, oggi, la povertà di spirito, perché la ricchezza da conquistare, da accrescere, da godere, ha invaso il cuore umano; ecco perché il cuore langue. (1959)

C’è veramente da farsi un esame di coscienza, tutti, alla luce di questa scomoda ma necessaria Parola di Dio. Un esame che ci dica se ‘quelli lì’ li trattiamo davvero con amore.

Dietro ogni povero c’è sempre Cristo e chi chiuderebbe la porta in faccia a Cristo che bussa?

Forse siamo ormai davvero diventati tutti ‘sordomuti’, sordi alla Parola e sordi di fronte alla richiesta di aiuto di tanti nostri fratelli, ma vogliamo chiedere a Gesù di ‘imporci le mani’, come è nel Vangelo di Marco, oggi. Crediamo in Lui che ‘… guardando verso il Cielo emise un sospiro e disse: ‘Effatà’, cioè ‘Apriti!’.” (Mc. 7, 31-37) e lasciamo che trasformi i nostri cuori spesso troppo ‘induriti’.



Antonio Riboldi - Vescovo

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