PADRE PAOLO BERTI “...chi non è contro di noi è per noi”

XXVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) 
Il brano del vangelo di Marco di questa XXVI domenica ha una concatenazione rigorosa, al di là di ogni prima apparenza.
Tutto parte dall'episodio dei discepoli che hanno impedito ad un esorcista giudeo di esorcizzare nel nome di Gesù, motivando l'intervento con il fatto che "non ci seguiva", cioè non seguiva te e noi. Gesù non accetta il principio di valutazione del "perché non ci seguiva", che i discepoli presentano, sotto sotto, nel senso che quell'esorcista giudeo
non era del loro gruppo, e non che non era interessato a Gesù. Quell'uomo, infatti, viene dichiarato autentico da Gesù. Gli esorcisti giudei usavano pronunciare negli esorcismi nomi famosi della storia di Israele, come Salomone, ma questo esorcista non solo nomina Gesù, ma agisce "nel nome di Gesù", e quindi lo riconosce come suo capo, come Messia, appunto; anche se non è da pensare che avesse chiaro che Gesù fosse il Figlio di Dio.
Il discorso dell'esclusione di chi non è dei nostri lo ritroviamo, più pesante, nella prima lettura. Due iscritti nell'elenco degli eletti non sono nel gruppo radunato davanti alla tenda del convegno: mancano fisicamente; ma lo Spirito del Signore scende anche su di loro. Ed ecco che per il fatto che non erano presenti vengono ritenuti degli abusivi. Il fenomeno è quello di un gruppo che, avendo ricevuto un dono, lo vuole gestire per affermare se stesso. Così lo Spirito non può agire senza il gruppo: lo Spirito diventa monopolio del gruppo. E' precisamente la mentalità di casta. La mentalità di casta che vuole che lo Spirito possa agire solo e unicamente, a gruppo missionario sopraggiunto. Le parole di Gesù, (Gv 6,65) "nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre", non presentano un'azione di Dio che si attui di colpo, ma un'azione che si attua in un cammino; certo, ci sono casi (san Paolo) in cui il cammino si realizza in pochi istanti. Ma, appunto, il cammino dell'esorcista giudeo non era breve, e poteva essere bloccato proprio dal gruppo verso il quale Dio lo stava orientando e verso il quale nutriva stima. E certamente è lui uno di quei "piccoli" di cui parla Gesù: quel piccolo conquistato da Gesù diventa l'oggetto di una lezione per i discepoli. Le parole di Gesù ai discepoli sono fortissime: chi scandalizza, cioè blocca, "uno di questi piccoli che credono in me", deve preferire di essere buttato in mare con una macina al collo che proseguire nel suo intento. Parole che ci invitano ad essere attenti all'azione di Dio, nei singoli e nei popoli, che prepara, anche con percorsi lunghi, la pienezza dell'incontro con il Cristo. Da una parte la Chiesa, veicolo della pienezza di Cristo e della inabitazione dello Spirito Santo nel cuore dell'uomo, dall'altra l'azione del Padre per mezzo dello Spirito che non ha confini e che conduce all'incontro con Cristo.
Vedere solo male, al di fuori del proprio gruppo, è la caratteristica prima di ogni spirito settario.
A questo punto per sfuggire lo spirito settario si potrebbe diventare degli "aperturisti", che trascurano il discernimento di ciò che è buono da ciò che non lo è. Gli "aperturisti", non gli aperti.
Gesù introduce proprio il tema del discernimento.
Come riconoscere chi effettivamente è in un autentico cammino di avvicinamento da chi non lo è? Innanzi tutto Gesù afferma che di fronte a lui nessuno può assumere una posizione di neutralità. O ci si orienta favorevolmente verso di lui fino all'adesione nella fede, o ci si pone in uno stato di ostilità: "Chi non è contro di noi, è per noi". Il che equivale a queste altre parole di Gesù: (Lc 11,23): "Chi non è con me è contro di me". Dunque tutto oscilla tra il sì e il no; non c'è legittimità nell'ipotizzare una validità del "ni".
Il discernimento è sicuramente difficile, perché deve andare oltre i gesti: deve percepire il cuore. Ed è sul piano dei gesti piccoli, che la falsità di solito trascura, che Gesù orienta i discepoli, per il discernimento. Un bicchiere d'acqua non è niente di eclatante, eppure è rivelatore. E' rivelatore del cuore, tanto che un'azione così piccola è premiata da Dio, che guarda, appunto, al cuore. E' la carità percepita il criterio di verità se uno è "per noi".
Resta il punto su come liberarsi dal rischio di scandalizzare "uno di questi piccoli che credono in me". Su come non bloccare con una durezza, una cattiva testimonianza, chi si sta avvicinando a Cristo e alla Chiesa. Il punto si impone visto l'esito terribile della condanna. Si impone a noi, visto che tanti e tanti più che dei lontani devono dirsi degli "allontanati". E qui un esame di coscienza si impone e con l'esame la riparazione del male fatto.
Gesù presenta come ogni uomo, specie colui che ha ricevuto la parola di Dio, abbia la capacità di sapere, di avvertire, ciò che scandalizza la sua anima. L'azione iniqua è recepita come scandalo dall'anima; scandalo (blocco) perché le tarpa le ali nella sua tensione verso Dio.
Mano, piede, occhio. La mano, cioè il prendere, il fare, il colpire; il piede, cioè l'andare a qualcuno, a qualcosa; l'occhio, cioè il bramare. Occorre tagliare, cavare. Nessun tentennamento, nessuna mezza misura. Il coltello metaforico è l'umiltà. Con il coltello dell'umiltà si taglia il difetto, l'azione iniqua. Umiltà, perché l'umiltà apre all'obbedienza, all'osservanza della Parola.
E' il superbo che scandalizza, che mette a morte il giusto, il debole che non può opporre resistenza. Quanti muoiono moralmente, pur non volendo morire, perché attanagliati da una cultura di morte, che trova pochi disposti a patire per denunciarla. Quanti muoiono, pur non volendo morire, perché incontrano in alcuni padiglioni del tempio di Dio che è la Chiesa, la durezza, l'allontanamento. Ma il Signore non condannerà quei piccoli, ma quelli che non avendo fatto violenza a se stessi hanno fatto violenza agli altri.
Ma uno potrà dire che, pur distante da Dio, non ha fatto mai violenza a nessuno; non è mai stato contro la Chiesa. Eppure la violenza l'ha fatta con le sue studiate negazioni della verità, con il suo essere fuoco, ma fuoco di ghiaccio, cioè calore umano che nasconde il gelo del calcolo egoistico.
Sembrerebbe restare fuori dalla condanna di Giacomo chi si apparta, chi è moderato, chi segue il disimpegno epicureo; ma anche lui cade nella condanna perché non ha vinto in realtà la sua carne; ha agito solo per "la carne", poiché mai ha preso in mano il coltello dell'umiltà; mai è stato risoluto nel bene. Egli si è nutrito di pensieri falsamente consolatori per dirsi che era a posto, e così ha ingannato se stesso.
Un uomo che si vince, è un uomo capace di discernere, è capace quindi di riconoscere con gioia il bene. Il suo animo è aperto, ma tuttavia vigilante, attento a non incamerare ciò che è inautentico.
Ma concludiamo con il bell'episodio dell'incontro tra il Card. Federigo e l'Innominato. Il cappellano annunciò al Cardinale che l'Innominato voleva parlargli e che dato che si trattava di un bandito era conveniente non aver a che fare con lui. Ma il Cardinale rispose: "Non è una fortuna per un vescovo che a un tal uomo sia nata la volontà di venire a trovarlo?". Il Card. Federigo non badò ad altro che al fatto che l'Innominato lo cercasse per parlargli. Non badò alle possibili irriverenze.
E voglio aggiungere l'esempio di san Francesco di Sales, quando questi visitato da un contadino dovette udire per lungo tempo aggressività e querele, e lo fece senza dimostrare impazienza, per non scandalizzare "uno di questi piccoli che credono in me". Caso diverso da quello presentato dal Vangelo? No! Tra i piccoli che credono vanno collocati anche gli scomodi che credono in noi, e per questo si aspettano l'ascolto, anche delle loro aggressività e querele, e una parola di bontà dopo l'ascolto. Piccoli che credono e che spesso, per un'inconscia esigenza di verità, ci mettono alla prova sicuri e titubanti nello stesso tempo che noi li possiamo e dobbiamo sopportare, comprendere. Non possiamo negare loro quella conferma della loro fede che passa attraverso il nostro comportamento, non possiamo scandalizzarli.
E si scandalizzano i piccoli che credono, con la ricerca della ricchezza e degli onori.
Le parole di san Giacomo le dobbiamo leggere non soltanto nel senso che il cristiano che ha l'arsura delle ricchezze misconosce, nei fatti, Dio, ma anche che compie un gravissimo scandalo verso i piccoli: "Il salario dei lavoratori che hanno mietuto sulle vostre terre, e che voi non avete pagato, grida, e le proteste dei mietitori sono giunte alle orecchie del Signore onnipotente". E, infatti, i piccoli scandalizzati diventano facile preda del mondo e muoiono pur non volendo morire. Le ideologie che hanno aggredito micidiali il mondo cristiano non hanno forse travolto tanti e tanti piccoli, che si sono trovati scandalizzati senza - per di più - che alcuno li aiutasse con pazienza e amore a superare lo stato di scandalo? Ma anche il cristiano povero che ha la stessa arsura delle ricchezze al pari del ricco scandalizza i piccoli con la sua acredine, il suo rifiuto di amare. Amen. Ave Maria. Vieni, Signore Gesù.

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