Sorella Cristina F. «Effatà», cioè: «Apriti!»

XXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO/B
Dal Vangelo secondo Marco (7,31-37)
In quel tempo, Gesù, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidòne, venne verso il mare di
Galilea in pieno territorio della Decàpoli.
Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. Lo prese in disparte, lontano dalla

folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il
cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!». E subito gli si aprirono gli orecchi, si
sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente.
E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano e, pieni di
stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!».
Commento
A chi mai è successo di non ascoltare o non sentirsi ascoltato, di stare con disagio di fronte al
silenzio altrui o farlo sperimentare agli altri? Riconoscere questo ci permette di stare maggiormente
in ascolto del vangelo di oggi come una buona notizia anche per noi. Liberando il sordomuto dal
silenzio che lo teneva “chiuso” al mondo circostante, Gesù si rivolge, infatti, anche a ciascuno di
noi, per mostrarci che è possibile essere a nostra volta liberati dalle forme di mutismo e sordità che
ci rendono “chiusi” a Dio e ai fratelli.
Qualcuno può essere “sordo” perché talmente preso dalla propria vita da non sentire le richieste di
aiuto provenienti dai fratelli che, forse più di lui, faticano o sono soli; altri possono esserlo per la
presunzione di sapere il bene per sé, tanto da non accorgersi dei tentativi d’aiuto che gli giungono.
L’essere “muti”, poi, spesso è conseguenza del non sentire, e diviene un modo con cui ci si pone
con indifferenza verso l’altro, non curandosi di lui, o escludendolo. Queste chiusure ci precludono
l’esperienza di amare ed essere amati, che Gesù invece ci indica come vera vita, per essere suoi
discepoli.
Cosa possiamo imparare dalla vicenda del sordomuto guarito?
Solo Gesù può liberarci. Perché ciò avvenga occorre che accettiamo di non poter imparare da noi
stessi ad ascoltare e parlare, ma lasciare che sia Gesù a compiere il miracolo, con piccoli gesti e con
la sua parola. Come se tornassimo bambini, ci è chiesto di riconoscere, con umiltà, di aver bisogno
di chi ci può insegnare a parlare e ascoltare: Dio, nostro Padre. Non stanchiamoci di dedicare
tempo, nelle nostre giornate, alla preghiera e all’ascolto della Parola di Dio: è da essa che possiamo
imparare a “parlare correttamente”, anzitutto con Lui, per invocare da lui la guarigione.
Essere portati e portare a Gesù. Gesù guarisce il sordomuto attraverso la mediazione di altri, che
si prendono cura di lui non in virtù delle loro capacità, ma per la fede in Gesù. In virtù di tale fede,
infatti, questi amici portano il sordomuto da Gesù pregandolo e incedendo per ottenere un gesto di
guarigione. Per chi tra noi riconosce di non poter fare altro che pregare, per portare qualcuno a Gesù
– e come è vero questo per chi è anziano, malato o anche solo lontano da una persona cara – questo
vangelo ricorda che ciò è già molto. Gesù, infatti, sembra non attendere altro, tanta è la sua
sollecitudine, come fosse giunto lì appunto per guarire quell’uomo.
Testimoniare Gesù accettando di essere guariti. “Ha fatto bene ogni cosa!”. Accogliere, con
umiltà, di essere guariti da Gesù a costo di essere toccati, anche dai fratelli, nel vivo delle nostre
fragilità, può diventare di per sé testimonianza che porta altri a riconoscere Gesù come il Dio che
salva e libera. Non attardiamoci, dunque! “Effatà! Apriti!” è la parola chiara e decisa che Gesù oggi
fa risuonare nel nostro cuore affinché crediamo e possiamo sperimentare la bellezza e la vita che
viene dall’uscire da noi stessi ed entrare in relazione con gli altri e con Lui.
Sorella Cristina F.
Discepole del Vangelo

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