don Paolo Ricciardi"Io sono la luce del mondo, chi segue me avrà la luce della vita."

Commento su Marco 10,46-52
XXX Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (25/10/2015)
Io sono la luce del mondo, chi segue me avrà la luce della vita.
Siamo giunti ormai all'ultima tappa prima di salire a Gerusalemme. Gerico è l'ultima cittadina in cui passare, prima di iniziare l'ascesa al monte di Sion. Gerico è, secondo
l'archeologia, la città più antica del mondo e, secondo la geografia, la più bassa (240 metri sotto il livello del mare).
Gesù attraversa questa città "abbassandosi" alle radici della nostra vita, nel profondo dell'umanità, nel luogo della terra più lontano dal sole. Non è un caso che proprio qui incontri un uomo lontano dalla luce.
Eppure Gesù sembra passare senza volersi fermare. Sta quasi uscendo dalla città, quando l'attenzione dell'evangelista e del lettore, in un racconto molto vivace e colorito, si fissano su un uomo seduto, divenuto cieco, di nome Bartimeo. È mendicante, chiede la carità ai passanti. Sta sul ciglio della strada e la strada è la vita.
Sulla strada la gente passa, insegue i suoi progetti, cammina spedita verso i propri appuntamenti. Ogni giorno anche noi corriamo senza potere o volere fermarci.
Anche i discepoli che accompagnavano Gesù su quella strada si muovevano sognando il prossimo trionfo a Gerusalemme. Al cieco, invece, non è concessa la strada. Un uomo relegato ai margini della vita è giusto che si trovi ai margini della strada. È una condizione, questa, in cui è facile riconoscere tante persone, anche popoli interi. La prima lettura accennava al popolo ebraico deportato a Babilonia: ecco un popolo ai margini della strada, emarginato, senza storia. E di tanti popoli che oggi sono sulla faccia della terra non si potrebbe dire forse la stessa cosa?
Anche noi siamo spesso uomini che procedono dritti, senza accorgerci di chi è ai margini e che grida. Finché non capiamo che anche noi, se viviamo senza Cristo, siamo mendicanti di luce.
Allora proviamo a pensare di essere noi quel cieco, a dare voce alle tante grida che esprimono i desideri della nostra anima. Sì, perché il grido del cieco irrompe in questa domenica come un grido del cuore di ciascuno di noi: "Gesù, Figlio di Davide, abbi pietà di noi!".
Che cosa grida il cieco, cosa grido io? Grido la mia disperazione e anche la mia speranza.
Grido il desiderio di uscire dalla prova, dalla difficoltà, dal buio. Grido perché non voglio cedere alla rassegnazione, ma voglio lottare, continuare a credere che ci sia qualcuno che ascolti.
Ma questo grido del cuore fa paura, forse anche a noi stessi... sarebbe meglio tacere, rassegnarsi, "non disturbare Dio", pensare che tanto le cose non cambieranno mai.
E come non vogliamo ascoltare il grido dei poveri, così altre persone e altre situazioni sembrano voler soffocare il nostro grido.
È più facile chiudere gli occhi, non vedere i poveri, non vedere i problemi, far tacere tutto e tutti.
Ma è tremendo. Perché lo abbiamo sperimentato tutti, almeno una volta nella vita: gridare e non essere ascoltati, o addirittura, costretti a tacere. E allora occorre gridare più forte.
"Chiamatelo!" Gesù avrebbe potuto, come in altre occasioni, andare verso Bartimeo, toccargli gli occhi, guarirlo. E invece dice: "Chiamatelo!"... che vuol dire: "Avvicinatevi a quel grido che vi fa paura perché io l'ho ascoltato, non sono indifferente. Lasciatevi ferire da quel grido".
Lo si chiama. E tutti sono inviati a dire a ogni Bartimeo di questo mondo: "Coraggio! Alzati, ti chiama!"
È un invito rivolto a me, oggi, in questa domenica. Queste tre parole - coraggio, alzati, chiama - sono una forza sorprendente di novità, di rinnovato amore, di pace.
Provate a immaginare i tempi in cui il vangelo di Marco era il vangelo dei catecumeni, cioè degli adulti che si preparavano al Battesimo. Con molta probabilità nell'attesa della veglia pasquale ci si preparava ascoltando la lettura continua di tutto il libro - ci vogliono più o meno tre ore -, perché Marco è il vangelo che introduce alla fede, che ci invita a riconoscere Gesù come il Cristo, il Figlio di Dio. Immaginiamo allora i catecumeni in ascolto, cui viene letto il brano del cieco di Gerico... Siamo ormai alle soglie dell'ingresso di Gesù a Gerusalemme, quindi del racconto della Passione e Resurrezione.
Immaginiamo l'emozione di queste persone che di lì a poco verranno battezzate: la memoria di un cammino fatto, un incontro, tante esperienze... con gioia e qualche timore. Ma ecco le tre parole che sono come un grido di Dio nella notte di Pasqua che sta iniziando: "Coraggio, alzati, ti chiama".
Tra poco verranno chiamati per nome, tra poco si alzeranno e come il cieco getterà via il suo mantello così tra poco i catecumeni dovranno spogliarsi per entrare nudi nel fonte battesimale e riuscirne rivestiti della veste del battesimo.
Coraggio, alzati, ti chiama! E lui si alza, getta il mantello. È ancora cieco, ma il miracolo è già qui.
"Che vuoi che io faccia per te?". "Signore, voglio la luce, voglio la fede, voglio il battesimo"...
"E subito... prese a seguirlo per la strada" - a differenza del giovane ricco di due domeniche fa' che se ne va scuro in volto, quindi cieco...E dove porterà quella strada? Porterà Bartimeo a Gerusalemme e poi - chissà - fino sotto la croce. Possiamo immaginare che sia stato lui ad aprire il corteo delle palme e a intonare il saluto: "Figlio di Davide".
Quelle parole le conosceva bene, le aveva già usate alle porte di Gerico. Gli bastava ora aggiungere un "Osanna!". E poi sotto la croce. Che cosa avrà pensato nel vedere che quel Gesù a cui aveva detto "Abbi pietà di me!", rivolgeva ora la stessa preghiera a qualcuno, lassù, da cui sperava un aiuto in quel momento di totale abbandono?
È sotto la croce che la fede affronta la prova decisiva, per tutti, quando, nonostante tutto, si rimane uniti a Cristo, che morendo vince la morte e ci apre definitivamente gli occhi alla Luce senza tramonto.
Questa è la fede che, dopo aver aperto gli occhi per vedere il senso delle cose, ora apre gli occhi per vedere la vita dopo la morte, la pace dopo la desolazione, il volto luminoso del Padre dopo la notte della croce.
Chissà se è soltanto una coincidenza che la strada che Gesù percorre salendo da Gerico e Gerusalemme incontro alla morte, sia la stessa della parabola del comandamento supremo dell'amore.
La strada percorsa in discesa "da Gerusalemme a Gerico" da un uomo che "incappò nei briganti" e da un Samaritano che "lo vide e ne ebbe compassione".
Preghiamo allora il Signore che nelle nostre albe così ricche di tenebra sia dato anche a noi di incontrare qualcuno che ci ripeta quella dolce e forte parola che ha rimesso in piedi la vita del mendicante cieco: "Coraggio! Alzati, ti chiama!".

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