DON Paolo Scquizzato, "Siamo ciechi, perché ci vediamo benissimo."

OMELIA 30a Domenica Tempo Ordinario. Anno B
«E giunsero a Gerico. Mentre partiva da Gerico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timeo, Bartimeo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. 47Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: “Figlio
di Davide, Gesù, abbi pietà di me!”. 48Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: “Figlio di Davide, abbi pietà di me!”. 49Gesù si fermò e disse: “Chiamatelo!”. Chiamarono il cieco, dicendogli: “Coraggio! Àlzati, ti chiama!”. 50Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. 51Allora Gesù gli disse: “Che cosa vuoi che io faccia per te?”. E il cieco gli rispose: “Rabbunì, che io veda di nuovo!”. 52E Gesù gli disse: “Va’, la tua fede ti ha salvato”. E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada». (Mc 10, 46-52)


Siamo ciechi, perché ci vediamo benissimo.
Infatti crediamo che quello che si vede, sia tutto ciò che c’è da vedere, mentre è solo la realtà, apparenza, ciò che appare appunto. Il fatto è che siamo ciechi a ciò che conta veramente, ossia al reale, al significato profondo della realtà, l’essenza.  L’essenziale sta sotto la buccia, le apparenze. La verità di una persona non è mai ciò che appare, ma piuttosto il suo cuore nascosto. Per questo Dio ha uno sguardo diverso sulla realtà: «io non guardo ciò che guarda l’uomo. L’uomo guarda l’apparenza, il Signore guarda il cuore» (2Sam 16, 7).
Se ci fermiamo sempre sulla superficie delle cose, dei rapporti con le persone, della storia che ci accade, al massimo saremo realisti, ma mai veri.
Occorre saper vedere ciò che in realtà è invisibile agli occhi, saper scorgere ciò che fluisce al di sotto della realtà. Ma per far questo occorre possedere una vista ‘altra’, avere una sorta di terzo occhio, così caro ad alcune tradizioni religiose orientali. Per il Taoismo, esistono ottantuno livelli di vista diversi sulla realtà! E paradossalmente, i veri saggi, gli illuminati e i lungimiranti nell’antichità erano sempre dei ciechi, dei non vedenti. Occorre chiudere gli occhi a questo mondo per poterci scorgere l’essenziale. Aveva ragione Saint-Exupéry: «L’essenziale è invisibile agli occhi». D’altra parte Paolo quando incontra Cristo sulla via di Damasco, si alza e non vede più nulla. Ha spalancato finalmente gli occhi su un mondo altro (cfr. At 9, 8).
Ecco che Gesù, nel Vangelo di oggi, compie questo gesto splendido: porta il cieco Bartimeo a vedere veramente. Questo è un miracolo di illuminazione.

Nel Vangelo di domenica scorsa, Gesù pose a due dei suoi discepoli la medesima domanda che oggi rivolge a questo cieco: «Cosa volete io faccia per voi?». I due discepoli risposero che il loro unico desiderio era di vedere la gloria attuarsi nella propria vita. Ma per Gesù questa è la vera cecità. Pensare che la realtà sia un banale coacervo di potere, avere, successo, è essere completamente ciechi. E pensare di poter fare qualcosa per cambiare questa realtà è essere folli. La realtà è quella che è, e c’è poco o nulla da cambiare, perché modificare la realtà significa il più delle volte fare rivoluzioni e quindi perpetrare violenza.
La questione non è cambiare la realtà, ma guardarla con occhi diversi per poterla poi vivere con un atteggiamento diverso. Questo modo di affrontare la realtà si chiama fede.
Vivere la vita con fede vuol dire sapere che il male di cui si è spettatori non è l’ultima parola ma solo la penultima; che non occorre opporsi al malvagio, ma piuttosto rispondergli facendo il bene (cfr. Mt 5, 39); che alla tenebra – il male – non va fatta violenza per disintegrarla, ma è sufficiente avvolgerla col bene, con la luce e quella si dissolverà. Vivere con fede significa guardare il mondo come sotto il segno della croce, ossia amato da Dio e quindi già salvato, destinato a un porto di bene.
In fondo la fede è vedere il mondo con gli occhi di Dio: «Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona» (Gn 1, 31). La questione non è rivoluzionare il mondo che ci circonda, ma atteggiarsi con esso in maniera salvifica e feconda, in una parola amandolo. È una questione di cuore, di avere un cuore trasparente: «Beati i puri di cuore perché vedranno Dio» (Mt 5, 8).

Cominceremo un cammino di illuminazione quando riconosceremo di essere ciechi, quando prenderemo coscienza di essere ammorbati da una mentalità omicida e suicida, incentrata com’è sul potere, sull’avere e sul successo. Saremo illuminati quando anche noi come Bartimeo cominceremo a gridare la nostra malattia esistenziale, quella che ci ha relegati paralizzati ai bordi della strada dell’esistenza. Cominceremo un cammino dalle tenebre alla luce quando impareremo a tendere la mano per lasciarci ricondurre a Casa, nel cuore luminoso dell’Amato. Quando scopriamo che solo nella nostra povertà e nel nostro peccato possiamo fare esperienza della salvezza. Che solo perché tenebra possiamo essere raggiunti dalla sua luce scoprendoci figli amati, e potremo finalmente lasciar cadere la nostra vana-gloria per fare esperienza della gloria del Padre che è solo quella di poter amare.

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