CIPRIANI SETTIMO SDB, "In quei giorni il cielo si oscurerà..."

15 novembre 2015 | 33a Domenica - Tempo Ordinario B | Appunti per Lectio
33a Domenica del Tempo Ordinario - B
* In quel tempo sarà salvato il tuo popolo.
* Dal Salmo 15 - Rit.: Proteggimi, o Dio: in te mi rifugio.

* Eb 10,11-14.18 - Cristo con un'unica oblazione ha reso perfetti per sempre quelli che vengono santificati.
* Canto al Vangelo - Alleluia, alleluia. Vegliate e state pronti, perché non sapete in quale giorno il Signore verrà. Alleluia.
* Mc 13,24-32 - Il Figlio dell'uomo riunirà i suoi eletti dai quattro venti.
"In quei giorni il cielo si oscurerà..."
Siamo ormai alla fine del ciclo liturgico, anche se esso di fatto si conchiuderà con la festa di Cristo, re dell'universo, che celebreremo la Domenica prossima, quale ideale convergere di tutte le cose verso di lui.
La Liturgia odierna intende quasi preparargli la strada, dimostrando come tutto volge verso il suo termine, quasi per una intrinseca incapacità a sussistere fuori di lui e senza di lui: così che anche questa caducità delle cose, proprio per sottrarsi al nulla, ha bisogno della sovrana "regalità" di Cristo, nella quale soltanto si riscatta dalla propria labilità ed assume il suo vero significato, che è quello di diventare "annunzio" di una situazione ultima e definitiva, dove persino la "morte sarà inghiottita" dalla vita.
Pur nella drammaticità dei testi, che oggi prevalgono nella Liturgia, si intende perciò celebrare la "vittoria" del bene sul male, della vita sulla morte, dell'eternità sul tempo che passa e si logora. È l'attesa del cristiano verso i traguardi che ci stanno davanti che viene stimolata: è la dimensione "escatologica" del nostro vivere che viene così riportata in primo piano, proprio perché "tutta la predicazione cristiana, tutta l'esistenza cristiana e la Chiesa stessa nel suo insieme sono caratterizzate dal loro orientamento escatologico" (J. Moltmann).
Vivere nell'attesa della "fine", però, non è un disimpegnarsi dalla storia, ma un immergervisi più profondamente perché la fine rappresenti appunto il massimo di crescita dell'umanità, finalmente fatta degna di entrare nel "regno" senza tramonto di Dio.

La dimensione "escatologica" della vita cristiana
Il brano di Vangelo è solo una piccola parte, quella saliente, del più lungo discorso "escatologico", che praticamente è l'unico discorso, di una certa ampiezza, riportatoci dal Vangelo di Marco.
Prendendo spunto dalla sorpresa meraviglia di uno dei suoi discepoli di fronte alla maestosità del tempio, Gesù rispose: "Vedi queste grandi costruzioni? Non rimarrà qui pietra su pietra che non sia distrutta" (Mc 13,2). Successivamente, dietro insistenza ancora degli apostoli, che volevano sapere qualcosa di più preciso sul "tempo" e sui "segni" della catastrofe (v. 4), egli fa una descrizione "apocalittica" della fine del tempio e della città santa (vv. 5-23), che diventa però segno "premonitore" della fine di tutte le cose e annuncio della "parusia", cioè del ritorno glorioso del Signore.
È di questa ultima realtà che a Marco interessava soprattutto parlare, quando componeva il suo Vangelo, per l'utilità dei suoi lettori, i quali probabilmente non dovevano avere più eccessiva curiosità circa il destino di Gerusalemme, sia che egli scrivesse prima o dopo la rovina della città santa. Invece non potevano non essere interessati al "ritorno" definitivo di Cristo, con cui era effettivamente intrecciato il loro destino e quello di tutti gli uomini.
Il brano che la Liturgia oggi ci fa leggere appartiene precisamente a questa parte, che amplifica ed attualizza il messaggio escatologico di Gesù facendolo diventare "dimensione di fede" per tutti più che "predizione" di cose future che, di fatto, stando almeno al dettato di Marco, sono sconosciute persino al "Figlio dell'uomo" (v. 32), cioè a Gesù stesso.
È quanto afferma molto pertinentemente un noto esegeta: "Qualunque sia l'attualizzazione nei confronti delle condizioni di quel tempo, qualunque sia l'attesa storicamente condizionata dell'imminenza della "fine" o della parusia, in questo discorso si giunge sempre a qualche cosa di diverso da un'istruzione su ciò che alla comunità sta per accadere e sul tempo in cui accadrà. Il discorso mira piuttosto a predisporre la comunità cristiana all'avvenire, guidandola al retto comportamento nel presente fino a conseguire quelle virtù escatologiche, che attualmente da essa si richiedono per affrontare il futuro a piede fermo. Ma proprio questo è estremamente attuale ai nostri giorni; poiché mai forse come oggi l'umanità volse lo sguardo all'avvenire per chiedersi in che modo sia possibile superare i gravi problemi dello sviluppo umano, che stanno diventando sempre più urgenti e numerosi. La speranza cristiana ha in questo un grande compito, il quale deve essere peraltro ripensato con novità di intenti e difeso da eventuali atteggiamenti errati".

"Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire sulle nubi"
"In quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà e la luna non darà più il suo splendore, e gli astri si metteranno a cadere dal cielo, e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria..." (vv. 24-27).
Precedentemente Gesù aveva parlato della grande "tribolazione" di Gerusalemme (vv. 14-23). Travalicando i tempi e adoperando un evidente linguaggio "apocalittico", che non va preso alla lettera e vuole esprimere solamente l'eccezionalità e novità del fatto, egli annuncia qui il suo ritorno come "giudice" alla fine della storia. Questo adunarsi degli "eletti" risponde alle attese dell'ebraismo, con la differenza che nell'Antico Testamento veniva presa in considerazione solo la riunione delle dodici tribù d'Israele; qui invece si parla della "nuova" comunità dei credenti.
L'immagine del "Figlio dell'uomo", che "viene sulle nubi del cielo" (v. 26), si ispira chiaramente a Daniele (7,13-14), dove appare appunto questa figura celestiale che viene condotta davanti al trono dell'Altissimo e le vengono dati poteri divini. Qui denota Gesù Cristo in quanto, con la sua risurrezione, è entrato ormai nella gloria del Padre, "siede alla sua destra" (Mc 16,19) e alla fine ritornerà per radunare i suoi "eletti" nel regno che durerà per sempre.
I versi che seguono dovrebbero in parte rispondere alla curiosità degli apostoli di sapere "quando" certe cose dovrebbero accadere, come abbiamo sopra ricordato (v. 4); d'altra parte, è anche chiaro che Gesù non vuol per niente rivelare ciò che lui stesso dice di ignorare. Probabilmente ci troviamo davanti a parole dette in circostanze diverse, apparentemente anche contraddittorie, che però nell'intenzione dell'evangelista vogliono creare un clima di "attesa", che non deve disarmare neppure per un attimo, proprio perché "colui che deve venire" può venire ad ogni momento.

"Dal fico imparate la parabola"
"Dal fico imparate questa parabola: quando già il suo ramo si fa tenero e mette le foglie, voi sapete che l'estate è vicina; così anche voi, quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, alle porte..." (vv. 28-32).
Ci sono dunque dei "segni", che possono far pensare che il Signore sia già "alle porte" (v. 29), come il fico che, quando si intenerisce e mette le foglie, annuncia già l'estate (v. 28). La fine di Gerusalemme ha potuto essere un "segno" per gli uomini di quella "generazione" (v. 30).
Tutto, in realtà, può essere e diventare annuncio della fine; ma "quando" essa davvero verrà nessuno lo conosce, "neanche gli angeli nel cielo e neppure il Figlio dell'uomo, ma solo il Padre" (v. 32). Così siamo costretti ad essere sempre "vigilanti", come nei pochi versi, che seguono e concludono il discorso, si dice in maniera esplicita, specie con la parabola del servo-portinaio: "Vigilate dunque, perché non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino, perché non giunga all'improvviso, trovandovi addormentati" (vv. 35-36).
È così che l'attesa escatologica, come è già stato accennato, non è un disimpegno, per il cristiano, dalle opere e dal lavoro di ogni giorno, ma una ragione di più per rendere se stesso, le cose e il mondo più degni di far parte, anzi, di costituire il "regno" definitivo di Dio.

"Molti di quelli che dormono nella polvere si risveglieranno"
La prima lettura, ripresa da Daniele, ha influenzato non poco, a livello letterario, tutto il discorso escatologico di Gesù. Qui essa fa vedere l'esito finale di una grande lotta, che in trasparenza ci descrive la lunga contesa fra i Seleucidi di Siria e i Lagidi di Egitto per il possedimento della Palestina, con la vittoria dei primi ad opera soprattutto di Antioco IV Epifane (175-165 a.C.), che cercherà di imporre agli Ebrei i costumi dei pagani. Iddio però libererà il suo "popolo" ad opera dei Maccabei: i molti "martiri", che ci furono in quel tempo, egli li restituirà alla vita, mentre i malvagi li condannerà alla "vergogna eterna".
"Vi sarà un tempo di angoscia, come non c'era mai stato dal sorgere delle nazioni fino a quel tempo; in quel tempo sarà salvato il tuo popolo, chiunque si troverà scritto nel libro. Molti di quelli che dormono nella polvere della terra si risveglieranno: gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l'infamia eterna" (Dn 12,1-3).
Era un messaggio di immensa speranza che l'autore del libro di Daniele lanciava ai suoi contemporanei, frustrati ed oppressi (II sec. a.C. circa): bisogna sperare anche oltre la morte!
L'ultima parola appartiene sempre a Dio, che ha il potere persino di "risuscitare" da morte. È uno dei pochi testi dell'Antico Testamento, questo, che sembra affermare in maniera esplicita la "risurrezione della carne". L'uomo, alla fine, ritroverà Dio con tutto se stesso, anche con il proprio corpo.

"Aspettando che i suoi nemici vengano posti sotto i suoi piedi"
La seconda lettura continua lo sviluppo della tematica sul sacerdozio di Cristo, che viene qui descritto nella sua "irrepetibilità" e "definitivitezza", a cui nulla si può aggiungere, a differenza di quello levitico, continuamente rinnovabile.
"Infatti Cristo, avendo offerto un solo sacrificio per i peccati una volta per sempre, si è assiso alla destra di Dio, aspettando ormai solo che i suoi nemici vengano posti sotto i suoi piedi. Poiché con un'unica oblazione egli ha reso perfetti per sempre quelli che vengono santificati" (Eb 10,11-14).
Vorrei solo notare due cose su questo testo. La prima è che il sacerdozio di Cristo, pur essendo un sacerdozio "crocifisso", è anche un sacerdozio "glorioso": anche oggi, alla "destra del Padre", egli vive ed attua il suo sacerdozio. Per lui non è un fatto del passato, ma una realtà del presente! La seconda è che anche qui c'è un rimando "escatologico": "...una volta per sempre si è assiso alla destra di Dio; aspettando ormai solo che i suoi nemici vengano posti sotto i suoi piedi" (vv. 12-13). Le ultime parole rimandano al Salmo 110,1.
Il Cristo che ci verrà incontro nella parusia è il Cristo "giudice", ma anche il Cristo "sommo sacerdote". È per questo che la nostra fiducia è anche più grande.

      Da CIPRIANI SETTIMO

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