don Massimo Cautero I Domenica di Avvento

I Domenica di Avvento (Anno C) (29/11/2015)
Vangelo: Lc 21,25-28.34-36
Commento a cura di don Massimo Cautero
Siamo qui a dare inizio ad un nuovo tempo di avvento, ancora una volta ci è dato di poter vivere e riflettere su un tempo significativo, per dare significato al nostro tempo del pellegrinaggio terreno, al tempo della fede, a quello della speranza e quello dell'amore.
Si, perché il tempo è il campo dove si gioca il nostro compimento, la nostra salvezza e poter vivere un tempo significativo vuol dire amare la vita, desiderare la vita e vivere una speranza capace di colorare ogni angolo della nostra esistenza.

Al contrario, vivere un tempo senza significato e senza senso vuol dire essere in balia delle paure e della morte. Il tempo diventa una clessidra che fa scorrere via ogni granello di speranza, la gioia e l'amore sono soffocati da un presente maligno e senza senso dove non c'è spazio per la vita perché la morte incombe su di essa ogni momento.
Dato di fatto è un mondo, il nostro, destinato alla consumazione ed alla morte, sappiamo benissimo che tutto quello che conosciamo, persino il sole, ha il tempo contato e che nulla, nemmeno le montagne o l'abisso del mare, è capace di arrivare all'eternità. Sperimentiamo questa insufficienza ogni giorno, affrontiamo violenze e morte ogni santo giorno e, nonostante tutto, ne capiamo l'ingiustizia e la brutalità senza rassegnarci ad esse. Di fronte a tanto possiamo avere paura e disperazione o, guardando a Gesù, possiamo trovare un'alternativa, trasformare la paura in attesa, la rassegnazione in speranza, il non-senso in fede e la violenza in amore.
Il tempo di avvento che ci accingiamo a vivere è, ancora una volta, una palestra che ci allena a vivere la speranza, il pungolo che ci stimola a desiderare di essere liberati da una logica della paura e disperazione. Attendere invocando il nostro Signore è mostrare la dignità dei figli di Dio, esercitare il dono della libertà che ci porta fuori dalle tirannie del mondo, attendere nella fede, dono del passato, amando (forza operativa della fede nel presente!) vuol dire possedere il futuro, la speranza. Attendere vuol dire "sapere che Egli sta arrivando" ed è molto di più che una scommessa, è certezza, consolazione, vittoria.
Persino il viola che utilizzeremo in questo tempo liturgico può essere letto come un colore che "porta male", "dei morti", oppure come il colore che, lo sa bene chi ha vegliato sino all'alba, assume il cielo notturno quando sta arrivando il sole, un momento magico e terribile, dove posso dire ancora "è buio" e sto inciampando oppure affermare che l'oscurità sta morendo perché arriva il sole, dobbiamo solo aspettare e, aspettando, far crescere la gioia di un nuovo giorno, di una nuova luce ma, sopratutto, non perdere la pazienza, tenere duro, non smarrire la speranza non rinunciando al bene che anima la nostra vita, mantenendo in vita le nostre cose buone nonostante la continua tentazione di farle morire a vantaggio di gioie effimere, momentanei sollievi dalla sofferenza e dissipazioni inutili.
Gli scenari che troviamo descritti nel vangelo di oggi sono relativi a questa speranza: non importa cosa accade di brutto o cosa può spaventarci, la paura non ci appartiene e non deve appartenerci, quindi vegliamo nell'oscurità perché apparteniamo a quel sole che sta sorgendo, a quella luce che illumina ogni uomo che è la vita in persona, Cristo Gesù.
Solo una cosa rimane da aggiungere: restiamo saldi, non ci lasciamo sviare, troviamo il coraggio di dire a noi stessi "non apparteniamo alla paura, non apparteniamo alla violenza", siamo di Cristo, siamo in Cristo Figli di Dio, non apparteniamo alla morte ma alla vita e preghiamo ogni giorno che le forze non ci vengano meno nel credere questa verità!

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