PADRE BALDO ALAGNA "NIENTE PAURA DI SPICCARE IL VOLO !"

Lettura Evangelica: (Marco 13,24-32)  Egli è vicino, è alle porte…
 Non passerà questa generazione prima che’ tutte queste cose siano avvenute; e altrove: Vedrete il Figlio dell’uomo venire (cf. Mc. 14, 62).
Tutti sappiamo che cosa produce il corto circuito tra queste due prospettive; produce l’attesa imminente della fine del mondo che periodicamente ha scosso l’umanità, senza produrre nulla di buono, ma solo isterismo e ango­scia. Ci sono gruppi religiosi che di questa attesa, periodi­camente aggiornata, fanno il centro del proprio messaggio. E un mezzo potente di presa sulla fantasia di gente incline al fanatismo (avventisti, testimoni di Geova). Alcuni di questi girano anche tra noi di casa in casa, incutendo timore con l’annuncio dell’imminente fine del mondo. Diciamo con molta onestà una cosa: nessuno, nep­pure la Chiesa, ha ancora saputo spiegare esattamente il senso di questi discorsi cosiddetti « escatologici » del Van­gelo. Gesù avrebbe dunque parlato per non farsi capire? Certamente no! E che Gesù parlava con un linguaggio figurato chiamato lin­guaggio apocalittico, di cui abbiamo, in gran parte, smar­rito la chiave, ma di cui si sa che non sempre tiene conto dello schema ben chiaro di passato, presente, futuro, con cui ragioniamo noi. L’importanza è accordata tutta al fatto che una cosa avverrà, non al tempo in cui avverrà.

La Fine DI UN mondo e non DEL mondo. Seconda ragione: quelle parole di Gesù furono ri­prese dai discepoli, e fissate nella forma attuale, in un momento di estremo sconvolgimento politico, religioso e sociale: il momento in cui, con la distruzione di Gerusalem­me da parte dei romani, si assisteva, di fatto, alla fine del mondo giudaico ed era facile scambiare la fine di « un » mondo per la fine « del» mondo. Quanti, nei momenti più bui dell’ultima guerra, quando tutto crollava sotto le bombe, non hanno pensato che fosse venuta la fine? Tutto ciò ci fa comprendere come, anche al tempo degli apostoli, le parole di Gesù potessero venire facilmente reinterpretate e applicate ora a una lontana e definitiva fine, ora a fatti più vicini. Forse un giorno, con la pazienza e lo studio, gli esegeti arriveranno a fare più luce su queste parti del Van­gelo, come è avvenuto per altre. Noi, però, non dobbiamo sospendere giudizio e de­cisioni fino a quel giorno. Abbiamo detto che, nel linguaggio usato da Gesù, la cosa più importante è sapere che un fatto accadrà, non sapere quando accadrà. E allora cerchiamo di scoprire qual è questo fatto certo che ci riguarda e sul quale sì che dobbiamo impostare tutta la nostra vita.

Gesù verrà … Il Signore è venuto una prima volta e verrà una seconda volta in futuro. Lo dice tutta quanta la predicazione di Gesù e della primitiva Chiesa. Il regno di Dio è vicino; anzi, e gia presente in mezzo a noi nella persona di Gesù e poi nella Chiesa. Non occorre più il telescopio per scorgere di lontano il Regno di Dio; lo puoi vedere a occhio nudo. Non solo puoi vederlo, ma puoi entrarvi, e di fatto i poveri, i bambini, gli affamati, vi entrano a frotte, lo posseggono già. Come dire: la fine è già cominciata; il futuro è già qui, grazie alla risurrezione di Cristo da morte. Tutto que­sto è a disposizione già di questa generazione. In un altro senso, però, il Regno deve ancora venire; deve venire nella sua forma e condizione definitiva, quella che si inaugurerà con il grande giudizio e segnerà la fine di questa terra e di questi cieli e il principio di una nuova terra e di nuovi cieli nei quali regnerà stabilmente la giu­stizia (cf. 2 Pt. 2, 13). Qui, si tratta ormai di « quel gior­no » e di « quell’ora » che nessuno conosce. Ecco dunque la grande cosa sicura da ritenere: Gesù, venendo la prima volta, ha già inaugurato il Regno; noi possiamo entrarvi fin d’ora e diventare già «figli del Re­gno » con una vita conforme al Vangelo.

Non possiamo aver paura e spicchiamo il volo ! In questa situazione, la seconda venuta non ci deve far paura; essa è una promessa, non una minaccia. E la promessa di cui si nutre tutta la speranza cristiana. Ciò spie­ga quel fatto singolare che si nota nella primitiva Chiesa: i cristiani di allora, dopo aver ascoltato questi discorsi che anche noi abbiamo sentito oggi, si mettevano tranquillamente a pregare e invocare dicendo: Maranatha: Vieni, Signore Gesù (cf. 1Cor. 16, 22; Ap. 22, 10). Lo spunto ce l’offre quella bella immagine che avete sott’occhio quando guardate nella natura dei fili elettrici, sorretti da un palo, sospesi nell’aria; posati su di essi, uccelli a perdita d’occhio che si reggono con le zampette su quell’esilissimo sostegno. Dietro di loro, il vuoto; davanti, il vuoto; da lì non pos­sono allontanarsi che spiccando il volo. Noi siamo nella stessa situazione di quegli uccelli, anche se tanto meno sicuri e tranquilli di loro. Uccelli migratori che si preparano al gran volo. Ci reggiamo su un piccolo sostegno, l’uno accanto all’altro, ma in fondo soli come que­gli uccelli, di fronte allo spazio vuoto che si apre davanti a noi. Ogni tanto, uno si stacca e scompare dalla vista (ne ca­dono al ritmo di più di uno al secondo). Diciamo: è tra­passato, è scomparso. Ma dove va? La parola di Dio di oggi ha cercato di dirci proprio questo: dove andiamo, il giorno che le gambe non ci reggeranno più e saremo presi dalla grande vertigine della morte. Ma ci ha anche detto un’altra cosa più importante ancora: quello che possiamo fare adesso, mentre siamo ancora attaccati al « filo » della vita: entrare nel Regno, crescere, prepararci al gran passo, in modo che esso sia gioioso e libero, come lo spiccare il volo dell’uccello che va verso il paese dove sa di trovare il sole e tanto caldo. Il  « paese » al quale pensiamo a ogni Messa, quando diciamo: « Annunziamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell’attesa della tua venuta ».

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