Padre Paolo Berti, “...questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri”

XXXII Domenica del tempo ordinario      
Mc 12,38-44
Omelia 
Sarepta di Sidone era una cittadina fuori della giurisdizione di Acab, il quale ricercava Elia per ucciderlo. Sarepta era in territorio pagano e la
vedova a cui fu inviato Elia era una pagana, ciononostante conosceva la religione monoteista di Israele. C'era una gravissima carestia per mancanza di pioggia; proprio Elia, ispirato da Dio, aveva affermato che ci sarebbe stata una siccità, e che questa sarebbe durata fin tanto che proprio lui non l'avesse fatta cessare (1Re 17,1): “Se non quando lo comanderò io”, disse.
Rimaniamo imbarazzati di fronte a questo potere di Elia sulla carestia, ma era per il bene della gente che Elia aveva chiamato sulla terra la siccità. Infatti, Acab aveva come moglie Gezabele, figlia del re di Sidone (1 Re 16,31), la quale aveva introdotto in Israele il culto al dio Baal, il dio della fertilità, della pioggia, della prosperità dei campi. Israele, qui precisamente il regno del Nord e non la Giudea, si era rivolto a Baal, chiedendo a quella divinità la prosperità. Ma ecco che Baal, invocato a più non posso, non dava la pioggia; la pioggia invece dipendeva da Elia, dal Dio di Elia.
La vedova di Sarepta aveva riconosciuto in tale situazione drammatica il Dio di Israele, similmente a Raab la prostituta, (Gs 2,8s), che riconobbe l'unico vero Dio dal fatto che stava vincendo in battaglia contro tutti gli dei delle città cananee, dopo aver vinto quelli dell'Egitto. Il Dio di Elia, di Israele, con la siccità stava buttando a terra tutta l'impalcatura idolatrica dell'inesistente Baal.
Il testo è chiaro: appena la vedova vide Elia riconobbe in lui un Israelita, il cui Dio non era il suo dio: “Per la vita del Signore, tuo Dio...”. La vedova era al limite delle sue possibilità di vita, ma credette nelle parole di Elia, credette nel Dio di Elia, ebbe fede nell'unico Dio.
Questa vedova di Sarepta venne messa in risalto da Gesù (Lc 4,25), così come la vedova che mise i suoi due ultimi spiccioli nel tesoro del tempio. Anzi, Gesù pose quella vedova, che versava i suoi ultimi spiccioli tra una folla di benestanti e ricchi, ad esempio per i discepoli.
Quella vedova sapeva bene che metteva pochissimo nel tesoro del tempio a confronto degli altri, ma sapeva che il valore di un'offerta non si misura dalla quantità, ma da ciò che è nel cuore di una persona. E i suoi due spiccioli esprimevano tanto: erano gli ultimi che aveva. Quanto le aveva lasciato il marito si era ben presto esaurito; sicuramente era stata ingannata. L'avevano indebitata e poi costretta a cedere quello che aveva. C'erano i “divoratori dei beni delle vedove”; Gesù li denuncia. Ma quella vedova così colpita dalla vita, dagli uomini, dimostra di avere una grande fede. Legge tutto quello che le accade come una prova, permessa da Dio, ma ordita dal peccato degli uomini; e la prova la vuol vivere fino in fondo nella fede, nell'umiltà. Crede nel tempio, nella presenza di Dio nel tempio, sopra l'arca tra i due cherubini, e vi mette gli ultimi suoi due spiccioli. Non si domanda a chi andranno in realtà quei soldi; sa che sono per il mantenimento del culto nel tempio e questo per lei è tutto. Offre il suo contributo, anche se questo ormai rappresenta per lei la sussistenza per qualche ultimo giorno. Il salmo che abbiamo ascoltato è nel cuore di quella vedova: “Il Signore rimane fedele per sempre, rende giustizia agli oppressi, dà il pane agli affamati”. Due vedove affamate. La prima per la carestia; la seconda perché rapinata dagli uomini. Due vedove egualmente vittime del peccato, il peccato di singoli, ma anche di alleati per oscurare la vera identità di Dio, che è bontà, provvidenza, giustizia, misericordia. Peccati di singoli, ma anche peccati collettivamente accettati, condivisi; e così l'accettazione collettiva diventa "peccato del mondo" (Cf. Gv 1,29). In larghe zone sociali di Israele si era stabilito il peccato del mondo. Pensiamo alle varie sette di Israele (Farisei, Sadducei, ecc.), con i loro aspetti tetri; queste parole di Gesù su di loro dicono tutto: "Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe...; divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere”. Ma Cristo ha liberato l'uomo dalla compagine del mondo. La Chiesa, luogo di relazioni fraterne, ha in sé i peccatori, ma non ha in sé il peccato del mondo, cioè la solidarietà nel peccato, perché vive nell'alleanza d'amore di Dio, in Cristo. La Chiesa è chiamata a lottare con l'annuncio di Cristo, con la preghiera e la testimonianza pronta al sacrificio, per liberare gli uomini e aiutarli a rimanere liberi. Un uomo che si sottrae al peccato del mondo deve lottare. Pensate come hanno lottato i cristiani contro il paganesimo; come hanno dovuto lottare coi familiari che rimanevano del mondo! Gesù lo ha detto (Mt 10,34): “Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; sono venuto a portare non pace, ma una spada. Sono infatti venuto per separare”.
Si rimane impressionati dalla compagine del mondo strutturato sul peccato, ma da esso siamo stati liberati. Di fronte alla Chiesa, ad una Chiesa fervente, la compagine del mondo arretra sconfitta. Cristo è morto per tutti, anche per chi promuove il mondo, la solidarietà del mondo nel peccato, ma occorrono cristiani ferventi, che aiutino gli uomini a liberarsi dal mondo, intendendo per mondo non la società umana, ma le compagini strutturali di peccato, che si formano nella società. Sarà una grande gioia quando in tutto il mondo sarà riconosciuta la libertà di coscienza, presupposto che non si costruisca nessun regime del mondo. Pensate alle regole di una setta; chi esce da una setta deve temere per la sua vita.
La libertà dal peccato deve accettare anche questo, ma meglio la morte che rimanere nel buio. Chi esce dal circolo della droga deve temere della sua incolumità, ma meglio la morte, che la schiavitù che ha per catene il peccato. Il peccato del mondo si è scagliato contro Cristo per farlo retrocedere, ma nulla ha potuto contro l'amore. Cristo dà la forza ad un uomo, che vuole la libertà dal peccato, di accettare persecuzione e morte, nella certezza che egli risulterà vincitore, poiché Cristo è il Salvatore e il Glorificatore dell'uomo. Cristo ha gettato fuori il principe di questo mondo (Cf. Gv 12,31); fuori perché egli ha costituito la Chiesa contro la quale le potenze degli inferi non prevarranno (Cf. Mt 16,18); mai il demonio potrà impadronirsi della Chiesa, Sposa di Cristo.
La vedova del Vangelo vinceva il mondo, non si lasciava prendere dal mondo. Poteva prostituirsi, poteva ingannare, mentire, delinquere, diventare del mondo, solidale col mondo, invece ebbe fiducia in Dio. Aveva due spiccioli e li mise nel tesoro del tempio, in mezzo a tanti del mondo che sfoggiavano ricchezze e che si vantavano di essere dei perfetti davanti a Dio. La vedova non cadde nella ribellione a Dio vedendo la sua miseria; non diede dell'ingiusto a Dio; accettò la prova costruita dalle mani del mondo, e così non seguì il principe nero e orrido di questo mondo, il Maligno. Ave Maria. Vieni, Signore Gesù.

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