Paolo Curtaz, "Altrove"

Trentatreesima domenica durante l’anno  Dn 12,1-3/ Mc 13,24-32
Altrove
Questa pagina su cui oggi meditiamo è un vero balsamo per la nostra fede messa a dura prova.
Siamo come sballottati dalle tante notizie che ci giungono e che ci spaventano: folle di disperati premono alle porte dell’Europa per trovare accoglienza e rifugio dalla
guerra che, invece di diminuire, contagia un paese dopo l’altro; la finanza mondiale, che ormai ha in mano il destino di intere nazioni, pensa solo ad arricchirsi a scapito delle future generazioni; anche nella Chiesa soffiano venti di divisione e di discordia: a Sinodo finito molti passano il tempo a litigare e ad esasperare le posizioni invece di gioire di quanto lo Spirito ha suscitato in queste settimane…
Dobbiamo anche noi cedere alla disperazione? O lasciare che la sindrome della lamentazione cosmica distrugga il nostro ottimismo? Ammettere la sconfitta e lasciare che le tenebre prevalgano, che le nostre memorie cristiane siano ridicolizzate da altre tradizioni (penso alla dilagante ed inquietante festa di Halloween)?
No certo, Marco, prima di salutarci, ancora ci incoraggia.
Declino
La sua comunità è in grave difficoltà: L’Impero romano attraversa una crisi profonda, sembra essere in dissoluzione. La situazione è molto simile a quella che stiamo vivendo, di fine impero, di passaggio. Alcuni esegeti sostengono addirittura che Marco abbia riaperto la sua opera conclusa per inserirvi un capitolo nuovo, il tredicesimo, nato proprio per rassicurare i discepoli.
Il linguaggio è quello in uso all’epoca di Gesù, fatto di immagini enigmatiche e di iperboli, non da prendere alla lettera ma da interpretare correttamente. Ed è un messaggio di speranza che non spaventa ma rassicura: cadono le stelle, cioè gli astri venerati dalle religioni pagane.
Non si parla della fine del mondo ma del declino del paganesimo, di una fede che vede negli astri una minaccia o una divinità. Cade l’Impero, certo, ma cade anche una visione superficiale e superstiziosa di vedere Dio.
La piccola fede cristiana è protetta dal suo Signore, non ha nulla da temere.
Anche noi, a volte, sentiamo che la fede che abbiamo conosciuto e in cui siamo rinati, la visione nuova di noi stessi e della vita che ci ha incoraggiati e convinti a spendere la nostra vita per il Vangelo, dando una mano in parrocchia, imparando a pregare, mettendoci a servizio gli uni degli altri, è messa ai margini.
La fede c’è ancora, certo, ma spesso superficiali ed emotiva, piccina e mondana, litigiosa e partigiana.
E aggredita e assediata da modi altri di vedere il cristianesimo, spesso come una minaccia o l’ingombrante retaggio di un passato da superare.
Confidiamo fiduciosi, dice Marco, ciò che crolla sono gli astri.
Anche nella nostra fede, ciò che crolla è ciò che abbiamo aggiunto, spesso allontanandoci dal Vangelo o, addirittura, tradendolo.
Crolli l’inutile. Resti l’essenziale e il vero.
E se tutto ciò che abbiamo vissuto, l’amore immenso che abbiamo sperimentato e messo nelle nostre azioni fosse pensato per affrontare ora questa tenebra e non cedere allo scoraggiamento?
Di più.
Angeli
Gli angeli arrivando dai quattro punti cardinal per radunare i discepoli.
E ne conoscono tanti, anche più di quattro. Uomini e donne che vivono nella profezia (papa Francesco e i suoi predecessori, in primis), che incoraggiano, radunano, motivano, soccorrono. Tanti che precedono e suscitano la venuta del Figlio dell’uomo, del Messia in cui abbiamo creduto e che, certo, tornerà nella gloria.
Angeli che incontriamo ogni giorno, ogni domenica, che radunano, invece di disperdere, che costruiscono, invece di demolire. Angeli che colmano.
Calma e gesso
Quando accadrà? Quando vedremo il Signore tornare? Quando il cupio dissolversi del mondo approderà alla gloria e alla definitiva manifestazione di Dio?
Non lo sappiamo, non possiamo saperlo, non dobbiamo saperlo.
Solo possiamo guardare al fico, l’ultimo albero a mettere le foglie, appena prima dell’estate.
Il fico, nella Scrittura, richiama sempre alla Parola, alla Scrittura che è dolce al palato proprio come il frutto del fico. E Gesù richiama tutti ad accogliere la Parola che dimora, che resiste.
E noi, qui, dopo duemila anni, ancora scrutiamo la Parola, la assaporiamo, ce ne stupiamo, lasciamo che invada i nostri cuori, che invada le nostre menti.
Questa resta, frutto dolce al nostro palato, che dimora e ci illumina, che ci incoraggia e ci sprona, che ci rasserena e motiva, che ci accompagna per farci volare in alto e vedere.
Vedere l’opera di Dio che manifesta, inesorabile, nel dispiegamento del caos.
Altrove
Gesù ci ammonisce: la costruzione del Regno non è necessariamente semplice, non è un passaggio di gloria in gloria, essere travolti dal Vangelo ed iniziare il cammino di discepolato significa porsi in un atteggiamento di cambiamento perpetuo, di fatica nell’affrontare le contraddizioni del sé e del mondo. Il Regno subisce violenza, non si manifesta con adunate oceaniche e opere mirabolanti.
Nel segno della contraddizione, della fatica si esplica il Regno, fra il già e il non ancora, allontanandoci dalla logica manageriale del successo misurabile che – ahimè – a volte si insinua anche nella logica ecclesiale.
Gli angeli radunano i discepoli dai quattro angoli della terra, coloro che affrontano con serenità la costruzione del Regno vengono radunati e sostenuti. Solo la Parola e la certezza di avere sperimentato Dio o di averne intuita la presenza ci fanno andare avanti tra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio.

DAL SITO : TI  RACCONTO LA PAROLA

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