Paolo Curtaz"Quel che si è "

Commento al Vangelo di domenica 8 novembre 201
Trentaduesima domenica durante l’anno, anno di Marco
Quel che si è 
1Re 17,10-16/ Eb 9, 24-28/ Mc 12,38-44 
Ultime zampate del leone Marco alla fine di questo anno liturgico. Ultime zampate, e che
zampate!, del Signore che smonta ogni atteggiamento ipocrita, che ci obbliga alla verità, che ci spinge all’autenticità. Il tema, come abbiamo letto, è quello delicatissimo dell’elemosina. Elemento presente in ogni esperienza religiosa, non solo cristiana, va a toccare dei nervi scoperti: la gestione che facciamo dei nostri beni materiali, del denaro. E la capacità che abbiamo di metterci in gioco, di condividere le nostre risorse (non solo i denari). Riflettere su questo tema in un momento di crisi economica drammatico, come è quello che stiamo vivendo, farlo in un paese in cui ogni giorno si accumulano scandali di persone che hanno rubato a più non posso il denaro pubblico (cioè mio) e in una Chiesa che non sempre ha saputo fare buon uso (cioè quello evangelico) dei beni materiali consegnatici dalla storia è davvero molto molto difficile. Anche perché, lo ammetto con un po’ di sconforto, ho scoperto che è uso comune essere molto poveri e francescani… con i soldi degli altri. Non ho mai incontrato una sola persona che mi dicesse di vivere per accumulare denaro e, lo so, morirò senza averla incontrata! Lasciamoci scuotere, anche se fa un po’ male.
Occhio!
L’invito di Gesù è una inquietante staffilata, ci lascia interdetti: poche volte, nei vangeli, il Signore esplicita in maniera così diretta la sua preoccupazione. I discepoli possono diventare come gli scribi, questa è la preoccupazione del Maestro. Aveva di che preoccuparsi. Gli scribi, coloro che sanno leggere e interpretare la Scrittura sono descritti da Gesù come persone vanitose e che fanno del loro servizio una smisurata ricerca di potere. Amano indossare una divisa per farsi riconoscere, amano il rispetto timoroso dei poveri cittadini, amano essere considerati come dell’autorità, sono sempre presenti agli eventi sociali, godono della loro posizione e non perdono l’occasione per mettersi in mostra. La loro fede è diventata occasione di prestigio e di ostentazione. Vivono di rendita sul rispetto del popolo, godono di una fama assolutamente immeritata. Possiamo diventare come gli scribi. E subito pensiamo a chi, nella Chiesa, ha ruoli e responsabilità e si adagia, in tutta umiltà, ai privilegi spesso anacronistici della propria posizione. Ho visto preti santamente scannarsi per un titolo di “monsignore”! Ma anche nel piccolo possiamo sognare di diventare come gli scribi: in parrocchia, in una diocesi, a volte si assiste, allibiti, alla ricerca della visibilità e dell’onore. Dobbiamo davvero giudicare noi stessi con severità. Ancora più “occhio”! Gesù entra nel dettaglio, così, per fare il simpatico. Gli scribi divorano i denari delle vedove, dice. Se la vedovanza già rappresenta uno stato di grande dolore, di lacerazione interiore, di frantumazione di affetti, restare vedove. al tempo di Gesù, era una vera e propria tragedia. Senza servizi sociali, senza appoggio dalla famiglia, spesso la vedova si vedeva costretta, per vivere, a mendicare o, peggio, a prostituirsi. La condizione della vedova, perciò, era la peggiore che si potesse immaginare: sola, senza sussistenza economica, disprezzata perché mendicante o prostituta. Ma ricercata dagli scribi che riuscivano a ricevere donazioni od elemosine da donne rimaste sole e plagiate in nome di Dio. La bramosia ha accecato il loro cuore, come rischia di accecare il nostro. Attenti: Gesù non è classista, non considera la ricchezza un male ma un pericolo, perché promette ciò che non può mantenere. E, nella Bibbia, si afferma che la ricchezza è dono di Dio ma la povertà è sempre responsabilità del ricco.
Invece
Come scampare questo rischio? Gesù propone, a sorpresa, il modello di una vedova che, umilmente, vede entrare nel tempio. La vedova del Vangelo getta nel tesoro del Tempio qualche euro, mentre i notabili della città e i devoti si spintonano per far notare le somme considerevoli che versano nelle casse del Tempio appena ricostruito. Gesù loda la generosità di questa donna che ha dato il suo necessario come offerta a Dio, e ignora le generose offerte pubblicate e titoli cubitali del miliardario di turno. Ci sono momenti nella vita in cui perdiamo tutto: salute, lavoro, una persona cara (non necessariamente perché muore), voglia di vivere. Momenti faticosi, terribili, in cui abbiamo l’impressione di non sopravvivere. Come la vedova di Elia, trasciniamo un passo dopo l’altro, tenuti in vita da qualche affetto (il figlio per la vedova) ma rassegnati a veder consumare ogni forza, ogni energia. Quante persone in questo stato ho conosciuto nella mia vita! La vedova del Vangelo – ingenua – mette quel poco che ha per il Tempio, per Dio. Non sa dove finiranno i soldi, forse saranno disprezzati dal sacrestano del Tempio, forse serviranno a comperare detersivo per i pavimenti… poco importa, il suo gesto è assoluto, profetico, colmo di una tenerezza infinita. Dona quel poco che è per Dio. L’elemosina che fa è del suo cuore, di ciò che è, perché non ha nulla. Si mette in gioco, ci sta, non delega ad altri, nemmeno ai soldi che potrebbe forse avere.
Ecco il vero discepolo.

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