Matias Augé COMMENTO DOMENICA IV DI AVVENTO


DOMENICA IV DI AVVENTO (C) 
Signore, fa’ splendere il tuo volto e noi saremo salvi
Mi 5,1-4°; Sal 79; Eb 10,5-10; Lc 1,39-45
Il Sal 79, che fu una supplica d’Israele per implorare l’intervento di Dio liberatore, è diventato preghiera e supplica della Chiesa
soprattutto nel Tempo di Avvento. Nell’attesa dell’imminente manifestazione del Cristo, la nostra preghiera diventa pressante: “Signore, fa splendere il tuo volto e noi saremo salvi” (ritornello del salmo responsoriale).

La quarta e ultima domenica di Avvento svolge il ruolo di una sorta di vigilia del Natale e quindi l’attenzione dei testi liturgici è volta a coloro che, in ogni nascita, sono i protagonisti: la madre e il suo figlio. Il Messia annunciato, “colui che deve essere il dominatore in Israele” (prima lettura), giunge tramite la piena disponibilità di Maria al piano di Dio (cf. vangelo). Egli viene per adempiere la volontà salvifica del Padre, per salvare cioè l’uomo mediante l’offerta non di olocausti né sacrifici ma del proprio corpo (cf. seconda lettura).

Nelle due prime letture è sottintesa una visione di Cristo, Sapienza di Dio, presente fin dalle origini del mondo, che attraversa la storia e sarà il suo termine perché a Lui tutto tende, tutto si risolve e tutto si compirà in Lui. Per il profeta Michea, profeta contadino contemporaneo di Isaia, la liberazione e la restaurazione storico-politica e nazionale di Israele è l’immagine della nuova restaurazione messianica, universale ed eterna. Sarà opera del Messia, discendente di Davide, nato a Betlemme. La lettera agli Ebrei spiega come il Messia porterà a termine quest’opera di restaurazione dell’umanità: al “sacrificio” e all’ “offerta” dell’antica alleanza, segni efficaci della salvezza offerta all’uomo, si sostituisce il “corpo”, cioè la realtà personale del Cristo uomo e Dio. Attraverso l’offerta volontaria della propria vita, egli instaura i tempi nuovi che realizzano il compimento delle promesse divine. L’autodonazione di Gesù è unica e irrepetibile, come la sua morte. Come atto estremo di amore fedele è un’offerta che ha un’efficacia definitiva. Ecco quindi che fin dal Natale viene evocato il mistero pasquale, che porta a verità tutto, anche il mistero dell’Incarnazione. Su questa linea, la colletta della messa prega il Padre, che ci ha rivelato l’incarnazione di suo Figlio: “per la sua passione e la sua croce guidaci alla gloria della risurrezione”. Perciò anche il Natale trova il suo momento culminante nella celebrazione eucaristia, memoriale della pasqua di morte e risurrezione.

La venuta del Figlio di Dio richiede una preparazione, una disposizione all’accoglimento. Questa preparazione si compie lungo tutto l’Antico Testamento, e trova espressione particolare nelle parole dei profeti e nelle speranze e preghiere del popolo d’Israele. Ma questa preparazione ha un suo particolare compimento nella fede obbediente di Maria. Elisabetta proclama Maria beata perché “ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto”. Troviamo nel vangelo di san Luca un altro passaggio dove viene lodata da Gesù stesso la fede obbediente di Maria. L’evangelista ci tramanda le parole di una donna che si trova tra la folla che segue e ascolta Gesù: “Beato il grembo che ti ha portato e il seno e il seno che ti ha allattato!”. A queste parole Gesù risponde: “Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!” (Lc 11,27-28). Qui sta la vera grandezza di Maria, nella sua totale disponibilità all’ascolto e nell’accoglienza fattiva della parola di Dio. Maria, che ha incarnato l’attesa e la fede di Israele nelle promesse di Dio, diventa prototipo della Chiesa nel suo cammino incontro al Cristo.

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