MONASTERO MARANGO"Parola di Dio e poveri, per una nuova stagione di speranza"

2° Domenica di Avvento (anno C)
Letture: Bar 5,1-9; Fil 1,4-6.8-11; Lc 3,1-6
DON Giorgio Scatto  
1«Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare».
Solo Luca, fra tutti gli evangelisti, determina con una certa esattezza l’anno d’inizio del ministero
profetico di Giovanni, figlio del sacerdote Zaccaria. Il primo anno di Tiberio coincide con quello della morte di Augusto (14 d.C.). L’anno quindicesimo dovrebbe corrispondere con una certa approssimazione al 26/27 d.C.
Luca ci informa pure sui nomi di chi governava la Palestina in quel tempo: in Giudea Ponzio Pilato (26-36 d.C.), come rappresentante del potere centrale di Roma. In Galilea Erode Antipa (4 a.C.- 39 d.C.), del quale Gesù fu suddito per tutta la vita. Fu proprio questo Erode a ordinare l’esecuzione del Battista nella fortezza del Macheronte.  Filippo (4 a.C.-33 d.C.), fratellastro di Erode, governava le regioni a nord – est della Galilea. Viene pure ricordato un certo Lisania, che non sappiamo bene chi fosse: ma c’è ben poca differenza con gli altri, tutti manovrati dal sistema e a servizio di esso. Figure di poco conto, spesso sanguinarie e violente. Ma questo è per sottolineare che Dio interviene proprio in questa storia, spesso così deprimente e umiliante. Interviene per liberarci dalla terra di schiavitù e di esilio e per condurre il suo popolo verso inediti orizzonti di felicità: «Deponi, o Gerusalemme, la veste del lutto e dell’afflizione, rivestiti dello splendore della gloria che ti viene da Dio per sempre».
 L’ambiente religioso, non era migliore di quello politico. Esso era dominato dalla presenza dei sommi sacerdoti Anna e Caifa, essi pure strumenti docili nelle mani di Roma. Sommo sacerdote in carica era Caifa (18 – 36 d.C.), anche se il suo suocero Anna, deposto nel 18, continuava a far sentire la sua influenza politico – religiosa.

«La Parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto».
Non tutto avviene nei palazzi del potere o della politica. In un luogo così marginale e privo di segni, com’è il deserto, la Parola di Dio fiorisce e apre nuove vie di speranza attraverso la vita e la testimonianza del Battista. «Il suo nome era Giovanni». Di famiglia sacerdotale rurale, possiede un linguaggio ruvido, non sconosciuto dagli antichi profeti. Si presenta come uno di loro. Rompe con il tempio e con tutto il sistema religioso dominante. Abbandona la terra sacra di Israele e si reca nel deserto a gridare il suo messaggio. La Parola che era all’origine del popolo, che aveva plasmato la sua identità con il soffio potente dello Spirito, per molto tempo era rimasta come impigliata nei preziosi rotoli di pergamena, custodita e rinchiusa nei solenni luoghi di culto. Una Parola morta. Il profeta la libera da ogni rivestimento sacro, la conduce lontano dalle luci ingannevoli del tempio e là, nel deserto, questa Parola ritrova il suo terreno, torna ad essere feconda, capace di creare una nuova storia.
 Quando la Parola viene messa a morte?
La Parola viene messa a morte dalle passioni umane che la soffocano, dalle meschinità, dagli intrighi, dall’ignoranza dell’essenziale. La Parola viene uccisa nel moralismo e nel legalismo, nel volto oscuro dei rappresentanti della Chiesa divenuti indegni della responsabilità ricevuta, nella corruzione di uomini che pure si professano credenti, nella sottomissione a Cesare e ai molteplici volti del potere.
Giovanni non si lascia intimorire dallo spettacolo della presunta onnipotenza dei grandi della terra: sa che la Parola di Dio scava la roccia, apre sentieri, non si ferma davanti alle porte chiuse. E’ il profeta di una “Chiesa in uscita”. Con la sua parola sferzante ci testimonia che è urgente uscire dal tempio, impegnandoci a incontrare le persone , soprattutto nel variegato mondo delle periferie esistenziali, dove l’uomo è marginalizzato o ritenuto semplicemente materiale di scarto. Questo profeta del deserto grida che occorre ricostruire un popolo a partire dall’incontro tra la Parola di Dio e i poveri, quelli che stanno nei vasti e inesplorati deserti, sempre più vuoti e spaventosi. Il 27 novembre, visitando il quartiere di Kangemi, uno dei quartieri più poveri di Nairobi, papa Francesco sottolineava la grande saggezza che si trova spesso nei quartieri popolari, «una saggezza che scaturisce da un’ostinata resistenza di ciò che è autentico, da valori evangelici che la società del benessere, intorpidita dal consumo sfrenato, sembrerebbe aver dimenticato». Quelli che si nutrono di paura, di parole di esclusione e di odio, di rifiuto dell’altro, non riescono a riconoscere «legami di appartenenza e di convivenza che trasformano l’affollamento in un’esperienza comunitaria in cui si infrangono le pareti dell’io e si superano le barriere dell’egoismo».
Penso che la ‘fuga nel deserto’ di Giovanni voglia dire proprio questo: Parola di Dio e poveri, per una nuova stagione di speranza; «Sorgi, o Gerusalemme, sta in piedi sull’altura e guarda verso oriente: vedi i tuoi figli riuniti, dal tramonto del sole fino al suo sorgere, alla parola del santo, esultanti per il ricordo di Dio».

«Percorse tutta la regione del Giordano».
A Luca piace presentare i portatori della Parola come dei viandanti sempre in cammino. Giovanni porta una Parola che brucia la carne, che penetra nelle viscere, che sradica e purifica; lui è una voce che grida, non un timido venditore di parole religiose. Annuncia una Parola che cambia la vita, che crea strade nel deserto, che riempie gli ampi avvallamenti che impediscono di incontrare l’altro, che abbassa gli alti monti dell’orgoglio e dell’indifferenza. Tutto questo si chiama conversione. Prepara ad accogliere Colui che viene per perdonarci i peccati. Commenta Origene, uno dei massimi esegeti dell’antichità cristiana: «Quale strada noi dobbiamo preparare al Signore? Bisogna preparare al Signore una via interiore, e disporre nel nostro cuore delle strade diritte e spianate. E’ attraverso questa via che è entrato il Verbo di Dio, che prende il suo posto nel cuore umano capace di accoglierlo».

Giorgio Scatto  

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