Abbazia Santa Maria di Pulsano LECTIO DIVINA «DELLA PRIMA PREDICAZIONE A NAZARET»

DOMENICA «DELLA PRIMA PREDICAZIONE A NAZARET», III del Tempo per l'Anno C
Luca 1,1-4; 4,14-21; Neemia 8,2-4a.5-6.8.10; Salmo 18; 1 Corinti 12,12-31
Antifona d’Ingresso Sal 95,1.6
Cantate al Signore un canto nuovo,

cantate al Signore da tutta la terra;
splendore e maestà dinanzi a lui,
potenza e bellezza nel suo santuario.

L’orante del Sal 95,1.6, (salmo della regalità divina) con due imperativi innici, esorta il popolo d’Israele, e oggi noi, a cantare al Signore il «cantico nuovo» (v. 1b; e 32,3; 39,4; 97,1; 149,1), ossia il «cantico del Mar Rosso» (Es 15,1-18), che celebra l’irresistibile vittoria divina sui nemici e l’inizio del suo esodo verso la patria. Ora, l’esodo forma una tipologia, essendo essenzialmente l’unico evento di salvezza, il passaggio dalla morte alla vita, che si dovrà ripetere nella vita d’Israele. Quando il Signore salva, «fa fare esodo», e così i Profeti annunciano il nuovo esodo dall’esilio, fino all’ultimo esodo, quello di Cristo al Padre nella gloria della Resurrezione. Perciò il «canto dell’esodo» è sempre il medesimo, ma sempre nuovo per la novità della vita che suppone già avvenuta. Per questo è invitata l’intera terra ad unirsi alla gioia dell’acquisita salvezza. La lode al Signore prosegue poi nel presentare la sua Manifestazione sovrana, poiché davanti a Lui si svolge un’immensa celebrazione, nel cielo e sulla terra, e il suo santuario celeste e terrestre appare un’indicibile e magnificante gloria (v. 6; Is 60,13), la quale attrae i fedeli nella gioia e nella santificazione.

Canto all’Evangelo Lc 4,18
Alleluia, alleluia.
Il Signore mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio,
a proclamare ai prigionieri la liberazione.
Alleluia.

Il Canto all’evangelo è tratto dalla pericope odierna e presenta il Messia anzitutto come evangelizzatore dei poveri e liberatore dei prigionieri. L’annuncio della Parola di Dio, che edifica in un corpo solo la sua Chiesa è il tema dominante della liturgia di questa domenica (Cfr. Colletta).
Due scene parallele prevalgono nel lezionario biblico; la prima scena ha come sfondo la Gerusalemme ricostruita che ha ormai alle spalle l'amara esperienza dell'esilio babilonese. In un giorno autunnale, siamo nel primo giorno del settimo mese (Tisri = sett./ott) di un anno che gli studiosi tendono ad identificare col 444 a. C, una gran folla si accalca alla porta delle Acque, nell'area del Tempio riedificato (Ne 8,2).
In mezzo all'assemblea si leva il sacerdote Esdra, la guida spirituale della nazione; questo scriba, esperto nella legge di Mose (Esd 7,10), apre il rotolo biblico e lo proclama "a quanti erano capaci di intendere" (in pratica tutti i cittadini di Gerusalemme dai 12 anni in avanti, senza distinzione di sesso, censo, età e cultura).
La Parola di Dio risuona così in una solenne liturgia comunitaria.
Tre sono i verbi fondamentali che reggono questa proclamazione della Parola:
1. innanzitutto «leggere» la Bibbia, ma non in una qualsiasi maniera: si parla, infatti, di una lettura «a brani distinti». È necessaria, quindi, una certa programmazione, una didattica.
2. il secondo verbo è quello della «spiegazione del senso». Un antico aforisma rabbinico afferma che «ogni parola della Bibbia ha settanta volti»; il maestro nella fede deve svelare questi volti, deve perlustrare il testo in tutte le sue sfumature. Il termine tecnico per indicare lo studio della Bibbia è «esegesi» che in greco significa ''tirar fuori" tutti i tesori, tutta la forza, tutta la spiritualità della pagina biblica»
3. 1 terzo verbo nella lettura della Bibbia è «comprendere». L'originale ebraico usa un termine sapienziale che indica la comprensione saporosa, intensa, alimentata dall’intelligenza e dal cuore.
Per la seconda scena ci spostiamo nella sinagoga di un modesto villaggio della Galilea, Nazaret. È un sabato e davanti alla folla che si accalca in quella sala si leva un nazaretano la cui fama in quei giorni sta dilagando in tutta la regione. Anch'egli apre il rotolo biblico e proclama un brano di Isaia, un annunzio di speranza e di liberazione. Il silenzio e gli occhi fissi dell'uditorio attendono la spiegazione, l'omelia sinagogale. Quell'uomo, Gesù, figlio di Giuseppe, pronunzia una sola frase, strana e pesante come un macigno: tutta la speranza annunziata da Isaia è diventata realtà «oggi», proprio in lui, Gesù di Nazaret.
Gesù dichiara di essere lui l'unto di Dio, il mashiah-messia, il frutto maturato della profezia di Isaia. È una rivelazione strepitosa eppure avviene così semplicemente, in mezzo agli uomini riuniti per la funzione del sabato.
In un giorno e in un ora che non sono nemmeno segnati, Gesù annuncia il più difficile dei «Sono io».
A queste due scene appena descritte non possiamo non sovrapporre un terzo quadro, quello dell'assemblea domenicale a cui presto parteciperemo.
Il Cristo entra ancora nelle nostre assemblee con la sua “Parola” che è letta, spiegata e compresa? Da questo triplice processo che coinvolge l'orecchio e il cuore sbocciano quei due atteggiamenti apparentemente antitetici, ma in realtà complementari, che caratterizzano l'assemblea radunata attorno a Esdra?
Affiorano ai nostri occhi le lacrime della conversione (Ne 8,9), segno vivo del pentimento, mentre le nostre labbra si aprono al sorriso, perché, come ci ricorda il governatore Neemia, l'ultima parola di Dio non è mai quella del giudizio bensì la promessa del perdono (Ne 8,10)? Speriamo!
Un antico detto giudaico ammoniva: «Gira e rigira la parola di Dio perché in essa vi è tutto. Contemplala, invecchia e consumati in essa. Da essa non ti allontanare perché non vi è per te sorte migliore».
Il lezionario fa precedere la prima predicazione pubblica di Gesù con la presentazione che Luca fa della sua opera letteraria. Da un punto di vista artistico siamo di fronte al periodo letterario ideale, compiuto di tutto il N.T. che nulla ha da invidiare alle più pure pagine della letteratura greca classica.
Questi primi versetti ci aiutano a percepire il canone storiografico adottato da Luca; qui si parala infatti dello scopo, del contenuto, delle fonti e del metodo di ricerca e composizione.
Dal punto di vista sinottico, confrontando il prologo lucano con quello degli altri evangelisti, si coglie subito la sua singolarità. Mentre Marco (1,1) ci dà un prologo da catechista, nel senso che egli, fin dall'inizio del suo Evangelo, si preoccupa di darci la sintesi della sua cristologia proprio per una intenzione di ordine catechetico; Matteo (1,1-17) ci dà un prologo da scriba, nel senso che, aperto alla sensibilità giudaica dei suoi destinatari, egli si preoccupa di far risaltare fin dall'inizio i molteplici rapporti che legano Gesù al popolo giudaico; e Giovanni (1,1-18) ci dà un prologo da teologo, nel senso che l'inizio del suo Evangelo si caratterizza proprio per una acutissima e profondissima riflessione teologica circa i rapporti di Gesù di Nazaret con il Padre. Luca invece ci dà un prologo da storico, nel senso che egli si preoccupa di collegare esplicitamente l'evento Gesù di Nazaret con la "diakonia" dei suoi evangelizzatori.
Il tempo di Gesù e quello della Chiesa formano una visione unitaria della storia della salvezza che prelude alla scelta tipicamente lucana di far seguire al racconto dell'evangelo di Gesù la narrazione della storia della Chiesa nascente.

Esaminiamo il brano

v. 1 - «Poiché»: La parola greca (epeideper) con cui inizia l’Evangelo è molto formale, avendo il tono ufficiale di «in quanto» o «visto che». Analogamente, «hanno posto mano» letteralmente ha il significato di «hanno cercato», e può avere valore neutro oppure una connotazione negativa. Il problema è quello di stabilire il rapporto tra il carattere causativo di questa proposizione introduttiva e la decisione di Luca di scrivere a sua volta. In italiano se ne rende bene il senso con l'espressione: Proprio appunto perché . Sembra implicita la domanda: «Perché anche tu scrivi, dopo che l'hanno già fatto molti altri?», per cui la risposta che dà Luca riesce chiara: «Proprio appunto perché molti hanno posto mano...anche a me è sembrato bene» ecc.
«stendere un racconto...»: lett. "riordinare". Il fatto sembra supporre che le narrazioni dei testimoni oculari siano state fatte senza un preciso ordine, a seconda che le circostanze lo richiedevano o si vuol dire che l'ordine seguito (ad esempio nella catechesi) procedeva per linee non adatte a una narrazione continua. I testimoni per esempio erano troppo coinvolti in prima persona e la loro passione faceva sì che il racconto perdesse in obiettività.
«gli avvenimenti successi tra di noi»: Questo potrebbe essere tradotto con «che sono accaduti», ma il richiamo biblico al «compimento» è voluto e inconfondibile. Messo al passivo, significa che è Dio che li ha portati a compimento (cf Lc 4,21; 22,37; 24,44; At 1,16; 3,18).
«tra di noi»: Dato che il prologo all’Evangelo fa da introduzione a entrambi i due tomi dell’opera lucana, questa precisazione è importante. Gli avvenimenti che Luca riferisce si protraggono fino al tempo dei suoi lettori: sono tutti un adempimento delle promesse di Dio. Questo semplice inciso estende la dichiarazione d'intenti di Luca fino ad abbracciare gli avvenimenti descritti negli Atti.
v. 2 «testimoni... ministri della Parola»: Questo è l'unico passo nella Bibbia in cui si trova l'espressione «testimoni», che rispecchia l'interesse storico di Luca. Anche se il greco si presta a vedere nei «testimoni oculari» e nei «ministri» due gruppi distinti, è più probabile che Luca avesse in mente un solo gruppo, cioè i testimoni oculari che sono diventati ministri della Parola (cf At 1,21-22 e 26,16). Luca perciò vanta di avere accesso a:
a) resoconti di testimoni oculari;
b) documenti scritti;
c) le proprie accurate ricerche.
Qui come in tutto Luca-Atti (cf anche in 1,4), il termine «Parola» ha una valenza teologica (ad esempio: Lc 4,32; 5,1; 8,11.21; 11,28; At 4,4; 6,2.7; 8,4; 19,10).
v. 3 «ho deciso anch'io»: Può essere tradotto anche con «è parso bene anche a me»; per l'espressione idiomatica cf At 15,25. Dato che l'espressione compare anche in At 15,28, alcuni copisti hanno aggiunto anche qui nei loro manoscritti l'espressione «e allo Spirito Santo».
Seguono poi quattro argomenti su cui è fondata questa ricerca.
«ricerche accurate»: primo argomento: ci si riferisce a una metodologia propria di una mentalità che oggi chiamiamo scientifica e che non si lascia influenzare da preferenze o antipatie.
«ogni circostanza»: lett. tutto, senza eccezione. Secondo argomento: Luca non ha fatto distinzione fra cose rilevanti e no, ma le ha esaminate tutte, senza tralasciarne alcuna. In questa espressione sono inclusi anche i primi due capitoli che, pur non essendo oggetto della tradizione dei testimoni oculari, ne sono però il fondamento e l'origine: per questo hanno dovuto essere esaminati anch’essi con la stessa scrupolosità.
«dall’inizio»: lett. «da sopra» oppure da molto tempo e quindi in maniera esauriente. Terzo argomento: gli avvenimenti sono stati esaminati a lungo, sotto tutti gli aspetti. L'avverbio di luogo sembra indicare non solo una ricerca che va molto al di là di quell'inizio da cui partono i testimoni oculari ma quella che è la ricerca storica normale nella concezione greca della storia, per cui un avvenimento è controllato e capito alla luce di un altro.
«un resoconto ordinato»: La parola «resoconto» è implicita nell'uso di «raccontare» in 1,1. L'aggettivo «ordinato» (o «con ordine»: kathexes) ha un'importanza critica. Significa solo «in occasione», come in At 3,24; 18,23? Oppure si vuol dare particolare risalto all'ordine in cui gli avvenimenti sono riferiti, come in At 11,4? Nell'opera di Luca 1'«ordine» è chiaramente la caratteristica distintiva, in contrapposizione ai molti che «hanno cercato di raccontare» (1,1). Il compito principale dello storico è quello di «ordinare ed esporre», di «descrivere gli avvenimenti in bell'ordine» (da Luciano, Come scrivere la storia 50-51).
illustre Teòfilo: La persona alla quale un'opera era dedicata normalmente era il committente che finanziava la pubblicazione. Teòfilo è il «lettore presunto» di Luca (1,4), sia che questo nome abbia o non abbia una risonanza simbolica («Amico di Dio») o che egli rappresenti un più ampio pubblico di lettori cristiani di estrazione gentile.
v. 4 - «ti possa rendere conto...»: le ricerche accurate e l’esposizione ordinata hanno infatti per scopo che Teofilo si renda conto della solidità della catechesi ricevuta, nel duplice senso di credibilità dei fatti e di validità della proposta di lasciarsi coinvolgere in essi.
Letteralmente: «che tu possa conoscere [o riconoscere] la certezza». La narrazione di Luca dà al lettore conoscenza e certezza. Ma di cosa? La parola chiave è asphaleia. Non significa «verità» in contrapposto a «falsità», come se i predecessori di Luca avessero falsificato la realtà dei farti. Asphaleia si riferisce piuttosto a uno stato mentale di certezza e di sicurezza (At 5,23 e per l'espressione idiomatica 21,24). Il resoconto di Luca si propone di avere una qualità «di convincimento».
«degli insegnamenti che hai ricevuto»: Il termine usato (katecheó) può semplicemente significare «essere informato, venire a conoscenza», come se Teòfilo fosse un estraneo (cf ad esempio At 21,21.24), ma è di gran lunga preferibile la traduzione più forte, che fa riferimento all'iniziazione nella comunità (cf At 18,25). Allo stesso modo, «insegnamenti» sta per «le parole» (logon), che sarebbe la traduzione preferibile, vista l'importanza che riveste il tema della parola di Dio (cf la nota relativa a 1,2).
v. 14-15 - Il lezionario passa, con un lungo salto, dal prologo dell’evangelo all'episodio della visita di Gesù a Nazaret, che contiene il primo annuncio del messaggio di Cristo e dove è in evidenza non tanto la proclamazione dell'avvento del Regno di Dio e delle condizioni per entrarvi (Cfr. Mt 4,17; Mc 1,13-15), quanto la persona stessa di Cristo come culmine della storia della salvezza preparata e narrata dall'" A.T. Questi vv. fanno da introduzione generale alla intera sezione.
«potenza dello Spirito»: Luca pone la predicazione di Gesù sotto l’influsso dello Spirito Santo, che aveva precedentemente ricevuto (3,22) e lo accompagnerà sempre.
vv. 16-17 - «sinagoga»: (= assemblea) si trova in ogni centro abitato ebraico ed era frequentato di solito il sabato e i giorni festivi. Dopo la recita delle preghiere quotidiane, si leggeva un brano della Legge e poi uno dai Profeti, cui seguiva un sermone da parte di qualcuno capace. Tutto si concludeva con la benedizione di Nm 6,24-26.
«si alzò»: il lettore del brano profetico poteva essere un laico; questi era scelto dal capo della sinagoga o presentarsi spontaneamente. Chi era in grado, ne dava anche la spiegazione e ne faceva un commento edificante.
vv. 18-19 - Il testo che Gesù legge in realtà è composito; Luca lo compendia citando Is 61,1-2, ma esso comprende Is 61,1-3; 58,1-11; 35,1-3. Si tratta di testi assolutamente decisivi, che Gesù con sovrana sicurezza applica a se stesso, nella coscienza di essere il Realizzatore di tutta la promessa antica.
È notevole come Luca nel citare il passo di Isaia si ferma all’annuncio di «un anno di grazia» sopprimendo il versetto seguente che annuncia il giudizio delle nazioni: «un giorno di vendetta per il nostro Dio». Luca aggiunge invece un altro versetto tratto da Is 58,6: «a render liberi gli oppressi». La sottolineatura è quindi tutta sul carattere di «grazia» e di «salvezza» della presenza di Gesù.
«Lo Spirito di Dio è su di me»: È la formula di possesso che il Signore esercita sul suo prescelto mediante il suo Spirito onnipotente (altra formula è «la Mano di Dio fu su di me», Cfr. Ez 37,1 dove la Mano è metafora per indicare lo Spirito, la Potenza operatrice di Dio).
«annunziare ai poveri...»: Citando i profeti, sono descritte le funzioni dell'Unto di Dio, indotte in lui dallo Spirito:
1. evangelizzare i poveri (verbo tecnico = euangelízō);
2. annunciare ai prigionieri la áphesis, la "remissione dei peccati", l'abbono totale delle colpe davanti a Dio ed ai fratelli, dalle quali essi sono detenuti;
3. predicare l'anno di grazia, cioè il tempo del perdono che Dio accorda a quanti gli si accostano con sentimenti di umiltà e di povertà.
vv. 20-21 - «Oggi»: sémeron. Nel silenzio della celebrazione liturgica mentre l'assemblea si dispone con vari sentimenti ad ascoltare da lui l'omelia sul Testo sacro, risuona quell'oggi (sémeron) che sarà un classico nelle omelie dei Padri greci per secoli. Il testo è molto forte: Oggi Dio nelle orecchie, ossia tramite l'ascolto qualificato, adempie la Scrittura portata dal Figlio.
E questo avviene sempre, ieri come oggi. Oggi ancora Gesù è il Messia; oggi ancora ci sono dei poveri, degli oppressi, dei prigionieri. Noi siamo dunque suoi contemporanei sempre e la sua Parola non ha perso niente della sua attualità. Il giubileo divino, se accettato, comincia a produrre i suoi effetti straordinari, ma occorre «ascoltarlo» affinché Dio lo possa attuare in noi. Il verbo di Dio non può lasciare indifferenti coloro che interpella, ma esige e provoca una risposta. Oggi la Parola di Dio viene proposta a noi; oggi essa diventa viva e attuale nella celebrazione liturgica.

Colletta
O Padre,
tu hai mandato il Cristo, re e profeta,
ad annunziare ai poveri
il lieto messaggio del tuo regno,
fa che la sua parola
che oggi risuona nella Chiesa,
ci edifichi in un corpo solo
e ci renda strumento di liberazione e di salvezza.
Per il nostro Signore,..

Abbazia Santa Maria di Pulsano

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