don Angelo Sceppacerca"Pentimento e perdono,"

Commento su Luca 15,1-3.11-32
IV Domenica di Quaresima - Laetare (Anno C) (06/03/2016)
Vangelo: Lc 15,1-3.11-32 
Dio e i peccatori; in mezzo gli scribi e i farisei con la loro diffamazione; questo è il filo conduttore
del capitolo 15 di Luca. L'apprensione del Signore è prima di tutto per costoro perché, mentre i peccatori si lasciano avvolgere dalla misericordia, al contrario la reazione dei farisei e degli scribi raggiunge l'apice nella riottosità del figlio maggiore. La domanda da porsi, oggi, non riguarda l'estensione della misericordia, ma la nostra capacità di consentirla. In altre parole: sappiamo gioire per il ritrovamento di un figlio perso? Anche l'immagine della donna che ha perso la moneta e la ritrova, dice la sproporzione tra un'intera casa messa sottosopra per una moneta, anche se ne possiede in tutto solo dieci.
Chi si tiene a distanza (scribi e farisei) e chi si fa avvicinare (pubblicani e peccatori). Al pastore, più delle 99, interessa quella impaurita e persa, finché non la riporta a casa. Questa condizione non è fissata una volta nel tempo; è sempre possibile perdersi e convertirsi. C'è anche la notizia su cosa si fa in paradiso: Dio dice "Congratulatevi con me perché un peccatore si è convertito". La differenza fra monete, pecore e figli è che le prime si devono trovare, i figli devono farsi trovare, meglio se si rialzano e si mettono loro stessi in cammino, con gioia e fiducia. La gioia è una costante del Vangelo di Luca. Gioia del Signore, degli angeli, delle pecorelle, dei figli, il minore e il maggiore. Peccato è non gioire.
Pentimento e perdono, tenacia del pastore e della donna che cercavano quello che avevano perduto, ma su tutto domina la potenza misericordiosa del Padre, che vede il figlio tornare quando era ancora lontano; più ancora per tutto quello che dice e compie in aggiunta a quello sguardo telescopico.
Se il peccato è sempre smarrimento di sé, la condizione giusta dell'uomo è la comunione col Padre e con la sua eccessiva misericordia che lo porta a uscire non solo per andare incontro al figlio piccolo che ritornava, ma anche a pregare il maggiore che protesta per questo imparziale e asimmetrico perdono.
Ognuno di noi è il minore; ognuno è il maggiore. Ciò che conta è il Padre, il solo capace di ritrovarci come figli. Questo è il miracolo che esige la festa.
Commento a cura di don Angelo Sceppacerca

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