don Luciano Cantini "Ancora quest'anno"
Ancora quest'anno
don Luciano Cantini
III Domenica di Quaresima (Anno C) (28/02/2016)
Vangelo: Lc 13,1-9
Il fatto di quei Galilei
Una provocazione; alcuni riferiscono un fatto noto, l'articolo determinativo quei ne è segno; un fatto
grave e sacrilego: una rivolta soffocata nel sangue dai romani nel tempio. Si cercava forse la reazione di Gesù perché galileo, uno scatto, una manifestazione d'ira, la voglia di vendetta. Era un modo come un altro per far uscire allo scoperto quel predicatore della Galilea, terra di Zeloti e rivoluzionari, di cui ancora non si era capito nulla.
Come se oggi fosse tutto chiaro di questo personaggio controverso vissuto duemila anni fa, la cui storia ancora affascina e lascia perplessi, che richiama seguaci e detrattori, discepoli e nemici, capace di unire e di dividere.
Che dire, oggi, di quei Cristiani che sono stati trucidati dagli integralisti islamici? O dei Cristiani costretti a scappare dalle loro case e dalla loro terra? Che dire di tutto quel sangue versato in medio oriente, in nord d'Africa, in ogni dove. La storia sembra non cambiare la sua virulenza.
Gesù disse loro
Come il solito Gesù si libera dalla contingenza delle domande e delle provocazioni per fare, e far fare, un salto e andare oltre. Dapprima sgombra l'idea che associa i fatti della vita alla punizione divina... nessuno è più peccatore o colpevole; una cosa è certa: se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. È una frase questa che Gesù ripete due volte, destinata ai suoi interlocutori che si ritengono né peccatori, né colpevoli.
È rivolta a tutti noi che ci rifugiamo nell'angolo sicuro della nostra vita tenendoci lontani dalla storia - sempre che sia possibile - certi di non cadere nell'ira divina perché "non facciamo male a nessuno".
Siamo davvero certi che la violenza che ci circonda non ci tocchi, che la delinquenza sia responsabilità solo di altri, che le mafie come il terrorismo riguardino solo certi angoli di mondo lasciandoci esenti da coinvolgimenti e responsabilità?
Gesù ancora dice a ciascuno di noi: se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo.
"noi dobbiamo convertirci a ciò che ci viene insegnato dai fatti, e ricordarci che la nostra sorte sarà peggiore" (E. Balducci). Non possiamo guardare la storia dal di fuori dei fatti, lasciare che farisaicamente ci scivolino addosso; sono segni da leggere, moniti per il futuro. Sono i fatti che chiedono conversione, cambiamento radicale: alla violenza non si può rispondere con altrettanta violenza, non saranno le strategie degli uomini a salvarci o a apportare cambiamenti radicali.
Tàglialo dunque!
La parabola del fico privo di frutti ben ci racconta la storia umana e il giudizio di Dio che incombe su di essa: Perché deve sfruttare il terreno?
La parabola sembra mettere in contrapposizione la mano di colui che viene a cercare frutti e la pazienza del vignaiuolo abituato a mettere le mani nel terreno. È lo stesso desiderare che anima i due: gustare i frutti dell'albero.
C'è una speranza che anima la pazienza del contadino; non una incerta speranza passiva da slot-machine, non l'immersione nel mondo vuoto delle scommesse quanto un impegno concreto a concimare e zappare, a mettere il proprio ingegno e il proprio sudore, ad entrare nella storia e incidere su di essa con le proprie capacità e professionalità, mettendo passione in ogni azione.
Giovanni nel suo vangelo è ancora più radicale perché tagliare e potare è attività costante dell'azione di Dio che continuamente tende la mano in cerca del frutto: Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto (Gv 15,2).
don Luciano Cantini
III Domenica di Quaresima (Anno C) (28/02/2016)
Vangelo: Lc 13,1-9
Il fatto di quei Galilei
Una provocazione; alcuni riferiscono un fatto noto, l'articolo determinativo quei ne è segno; un fatto
grave e sacrilego: una rivolta soffocata nel sangue dai romani nel tempio. Si cercava forse la reazione di Gesù perché galileo, uno scatto, una manifestazione d'ira, la voglia di vendetta. Era un modo come un altro per far uscire allo scoperto quel predicatore della Galilea, terra di Zeloti e rivoluzionari, di cui ancora non si era capito nulla.
Come se oggi fosse tutto chiaro di questo personaggio controverso vissuto duemila anni fa, la cui storia ancora affascina e lascia perplessi, che richiama seguaci e detrattori, discepoli e nemici, capace di unire e di dividere.
Che dire, oggi, di quei Cristiani che sono stati trucidati dagli integralisti islamici? O dei Cristiani costretti a scappare dalle loro case e dalla loro terra? Che dire di tutto quel sangue versato in medio oriente, in nord d'Africa, in ogni dove. La storia sembra non cambiare la sua virulenza.
Gesù disse loro
Come il solito Gesù si libera dalla contingenza delle domande e delle provocazioni per fare, e far fare, un salto e andare oltre. Dapprima sgombra l'idea che associa i fatti della vita alla punizione divina... nessuno è più peccatore o colpevole; una cosa è certa: se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. È una frase questa che Gesù ripete due volte, destinata ai suoi interlocutori che si ritengono né peccatori, né colpevoli.
È rivolta a tutti noi che ci rifugiamo nell'angolo sicuro della nostra vita tenendoci lontani dalla storia - sempre che sia possibile - certi di non cadere nell'ira divina perché "non facciamo male a nessuno".
Siamo davvero certi che la violenza che ci circonda non ci tocchi, che la delinquenza sia responsabilità solo di altri, che le mafie come il terrorismo riguardino solo certi angoli di mondo lasciandoci esenti da coinvolgimenti e responsabilità?
Gesù ancora dice a ciascuno di noi: se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo.
"noi dobbiamo convertirci a ciò che ci viene insegnato dai fatti, e ricordarci che la nostra sorte sarà peggiore" (E. Balducci). Non possiamo guardare la storia dal di fuori dei fatti, lasciare che farisaicamente ci scivolino addosso; sono segni da leggere, moniti per il futuro. Sono i fatti che chiedono conversione, cambiamento radicale: alla violenza non si può rispondere con altrettanta violenza, non saranno le strategie degli uomini a salvarci o a apportare cambiamenti radicali.
Tàglialo dunque!
La parabola del fico privo di frutti ben ci racconta la storia umana e il giudizio di Dio che incombe su di essa: Perché deve sfruttare il terreno?
La parabola sembra mettere in contrapposizione la mano di colui che viene a cercare frutti e la pazienza del vignaiuolo abituato a mettere le mani nel terreno. È lo stesso desiderare che anima i due: gustare i frutti dell'albero.
C'è una speranza che anima la pazienza del contadino; non una incerta speranza passiva da slot-machine, non l'immersione nel mondo vuoto delle scommesse quanto un impegno concreto a concimare e zappare, a mettere il proprio ingegno e il proprio sudore, ad entrare nella storia e incidere su di essa con le proprie capacità e professionalità, mettendo passione in ogni azione.
Giovanni nel suo vangelo è ancora più radicale perché tagliare e potare è attività costante dell'azione di Dio che continuamente tende la mano in cerca del frutto: Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto (Gv 15,2).
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