Don Marco PANERO sdb"In cammino verso la meta"
21 febbraio 2016 | 2a Domenica di Quaresima - Anno C | Omelia
In cammino verso la meta
Vangelo: Lc 9,28-36
1. Si sa che le immagini restano impresse nella memoria più delle parole; se poi quelle immagini
mentali sono il risultato di un’esperienza prodigiosa, di una frequentazione del mistero di Dio, si può star certi che rimarranno incancellabili. Qualcosa di simile sperimentano appunto i tre discepoli, testimoni privilegiati della Trasfigurazione del Signore.
Ora, la seconda domenica di Quaresima presenta ogni anno il brano della Trasfigurazione di Gesù, messo sempre in parallelo nella prima lettura con un episodio della vita di Abramo. Il senso dell’abbinamento è evidente: vengono offerte l’inizio e il compimento dell’alleanza che Dio ha stabilito con il suo popolo, quell’alleanza che era stata anticipata in Adamo con l’umanità intera, che viene intrapresa con Abramo e che trova il suo compimento definitivo in Gesù, per mai più interrompersi.
Gesù ratificherà quest’alleanza sulla Croce, dando la sua vita per la sua sposa amata, la Chiesa. Nel quadro di questa grande alleanza si situa la nostra personale alleanza battesimale e religiosa. Possiamo domandarci: Sto onorando questa speciale alleanza che il Signore ha stabilito con me attraverso i sigilli del battesimo e della consacrazione religiosa? Quali i miei abituali accomodamenti o più comuni cedimenti? Come posso esservi fedele fin nelle piccole cose?
2. Ma veniamo all’episodio della Trasfigurazione, perché custodisce insegnamenti spirituali preziosi, che possiamo cogliere soprattutto dall’agire dei discepoli. Vi sono infatti due particolari, propri della narrazione lucana, che ci offrono una promettente pista interpretativa.
Solo Luca menziona il contenuto di quel singolare colloquio tra Gesù, Mosè ed Elia, che è verosimilmente il mistero pasquale che Gesù avrebbe affrontato a Gerusalemme, riepilogato appunto sotto la cifra dell’esodo, della sua dipartita da questo mondo. Questo è importante! In un anticipo di gloria celeste, momento privilegiato che rivela la sua figliolanza divina ed il suo singolarissimo legame con il Padre, Gesù introduce il tema doloroso della sua passione, che aveva annunciato ai discepoli soltanto poco prima (cfr. Lc 9,22).
Gesù, insomma, intende mostrare il legame indissolubile tra la gloria e la passione, che non possono in alcun modo essere separate, poiché la massima esaltazione del Signore, il suo atto di suprema obbedienza al Padre - la sua gloria, appunto - si realizzerà proprio nel dramma della Croce.
3. Ebbene, questa preoccupazione di Gesù, che sta alla base del singolare avvenimento della Trasfigurazione, sfugge del tutto ai discepoli i quali, nota ancora Luca, sono oppressi dal sonno. Non è un elemento banale, o un semplice espediente narrativo. Il sonno dei discepoli, che ritornerà di nuovo al Getsemani (22,45-46), rappresenta bene lo stato di apatia spirituale e la lentezza di cuore nel credere.
I discepoli vedono sì la gloria di Gesù, si dilettano della compagnia celeste di Mosè ed Elia, ma non colgono affatto il legame di tutto ciò con il sacrificio che Gesù, di lì a breve, compirà, che invece è proprio quanto l’episodio della Trasfigurazione sta a significare. La loro percezione dell’avvenimento rimane puramente esteriore ed emotiva, come rivelerà poco dopo l’affermazione avventata dello stesso Pietro.
4. Ecco, questa brillante sortita di Pietro, nella sua ingenua spontaneità, merita considerazione. Pietro avanza la sua proposta proprio quando la compagnia di Mosè ed Elia sta per sciogliersi, in un irrealistico tentativo di eternizzare una condizione celeste che per il momento è data loro soltanto come anticipo, né potrebbe essere altrimenti. Pietro si azzarda a proporre una sorta di ‘scorciatoia spirituale’, vuole rendere stabile e permanentemente disponibile un momento che per sua natura è destinato a passare; si vuole arrestare a quella che è soltanto una tappa, per quanto affascinante, ma non è ancora la meta.
Gesù, con la delicatezza del silenzio, lo rinvia invece al ‘giro lungo’ della sua sequela, condotta avanti fedelmente, giorno per giorno, pur tra prove e tribolazioni, fino al dono supremo della propria vita.
Non si accede alla gloria del Signore attraverso varchi privilegiati: occorre partecipare alla sua offerta, per condividere il suo riposo presso il Padre. Certo che Pietro giungerà a questa gloria, ma quante cose dovrà ancora imparare prima di allora! Quante peripezie dovrà sostenere, in nome della causa di Gesù e del suo Vangelo, sino alla gloriosa testimonianza del martirio!
Tutto questo Pietro ora non può saperlo. E come lo potrebbe? Gesù glielo annuncerà velatamente dopo la sua risurrezione (cfr. Gv 21,18-19), e Pietro lo comprenderà man mano.
5. Eppure, questa vicenda di Pietro è istruttiva per noi. Vi sono momenti, periodi della vita, in cui si avverte crescere in sé questo desiderio: è bello per noi essere qui. Sono momenti di pienezza, di consolazione, autentico dono con cui il Signore ci fortifica, consolida la nostra fiducia in Lui, cura le nostre afflizioni e ci prepara per più impegnative lotte.
È senz’altro comprensibile il desiderio spontaneo che questi momenti non finiscano mai, vorremmo che così fosse tutta la vita, e ci atterrisce il pensiero che possano venire giornate diverse da queste.
È il caso, allora, di seguire la via dei discepoli in discesa dal monte. Interiormente corroborati, penetrati ormai in una nuova intimità con Dio, non si attardano a prolungare la loro sosta sul monte, né si rammaricano perché si trattava soltanto di una sosta. Proseguono il loro cammino dietro a Gesù, lasciandosi condurre da Lui, lasciando che sia Lui a stabilire la meta e a pianificare l’itinerario.
Facciamo tesoro dei momenti di consolazione, qualora ci vengano concessi. Senza però attaccarvi il cuore, ma tenendolo piuttosto ben stretto al Signore, per seguirlo con pari affetto anche nella monotonia della pianura e sui pendii del calvario. Così sapremo onorare e rallegrarci dell’alleanza che Egli ha stabilito con noi.
Don Marco PANERO sdb
Fonte: www.donbosco-torino.it
In cammino verso la meta
Vangelo: Lc 9,28-36
1. Si sa che le immagini restano impresse nella memoria più delle parole; se poi quelle immagini
mentali sono il risultato di un’esperienza prodigiosa, di una frequentazione del mistero di Dio, si può star certi che rimarranno incancellabili. Qualcosa di simile sperimentano appunto i tre discepoli, testimoni privilegiati della Trasfigurazione del Signore.
Ora, la seconda domenica di Quaresima presenta ogni anno il brano della Trasfigurazione di Gesù, messo sempre in parallelo nella prima lettura con un episodio della vita di Abramo. Il senso dell’abbinamento è evidente: vengono offerte l’inizio e il compimento dell’alleanza che Dio ha stabilito con il suo popolo, quell’alleanza che era stata anticipata in Adamo con l’umanità intera, che viene intrapresa con Abramo e che trova il suo compimento definitivo in Gesù, per mai più interrompersi.
Gesù ratificherà quest’alleanza sulla Croce, dando la sua vita per la sua sposa amata, la Chiesa. Nel quadro di questa grande alleanza si situa la nostra personale alleanza battesimale e religiosa. Possiamo domandarci: Sto onorando questa speciale alleanza che il Signore ha stabilito con me attraverso i sigilli del battesimo e della consacrazione religiosa? Quali i miei abituali accomodamenti o più comuni cedimenti? Come posso esservi fedele fin nelle piccole cose?
2. Ma veniamo all’episodio della Trasfigurazione, perché custodisce insegnamenti spirituali preziosi, che possiamo cogliere soprattutto dall’agire dei discepoli. Vi sono infatti due particolari, propri della narrazione lucana, che ci offrono una promettente pista interpretativa.
Solo Luca menziona il contenuto di quel singolare colloquio tra Gesù, Mosè ed Elia, che è verosimilmente il mistero pasquale che Gesù avrebbe affrontato a Gerusalemme, riepilogato appunto sotto la cifra dell’esodo, della sua dipartita da questo mondo. Questo è importante! In un anticipo di gloria celeste, momento privilegiato che rivela la sua figliolanza divina ed il suo singolarissimo legame con il Padre, Gesù introduce il tema doloroso della sua passione, che aveva annunciato ai discepoli soltanto poco prima (cfr. Lc 9,22).
Gesù, insomma, intende mostrare il legame indissolubile tra la gloria e la passione, che non possono in alcun modo essere separate, poiché la massima esaltazione del Signore, il suo atto di suprema obbedienza al Padre - la sua gloria, appunto - si realizzerà proprio nel dramma della Croce.
3. Ebbene, questa preoccupazione di Gesù, che sta alla base del singolare avvenimento della Trasfigurazione, sfugge del tutto ai discepoli i quali, nota ancora Luca, sono oppressi dal sonno. Non è un elemento banale, o un semplice espediente narrativo. Il sonno dei discepoli, che ritornerà di nuovo al Getsemani (22,45-46), rappresenta bene lo stato di apatia spirituale e la lentezza di cuore nel credere.
I discepoli vedono sì la gloria di Gesù, si dilettano della compagnia celeste di Mosè ed Elia, ma non colgono affatto il legame di tutto ciò con il sacrificio che Gesù, di lì a breve, compirà, che invece è proprio quanto l’episodio della Trasfigurazione sta a significare. La loro percezione dell’avvenimento rimane puramente esteriore ed emotiva, come rivelerà poco dopo l’affermazione avventata dello stesso Pietro.
4. Ecco, questa brillante sortita di Pietro, nella sua ingenua spontaneità, merita considerazione. Pietro avanza la sua proposta proprio quando la compagnia di Mosè ed Elia sta per sciogliersi, in un irrealistico tentativo di eternizzare una condizione celeste che per il momento è data loro soltanto come anticipo, né potrebbe essere altrimenti. Pietro si azzarda a proporre una sorta di ‘scorciatoia spirituale’, vuole rendere stabile e permanentemente disponibile un momento che per sua natura è destinato a passare; si vuole arrestare a quella che è soltanto una tappa, per quanto affascinante, ma non è ancora la meta.
Gesù, con la delicatezza del silenzio, lo rinvia invece al ‘giro lungo’ della sua sequela, condotta avanti fedelmente, giorno per giorno, pur tra prove e tribolazioni, fino al dono supremo della propria vita.
Non si accede alla gloria del Signore attraverso varchi privilegiati: occorre partecipare alla sua offerta, per condividere il suo riposo presso il Padre. Certo che Pietro giungerà a questa gloria, ma quante cose dovrà ancora imparare prima di allora! Quante peripezie dovrà sostenere, in nome della causa di Gesù e del suo Vangelo, sino alla gloriosa testimonianza del martirio!
Tutto questo Pietro ora non può saperlo. E come lo potrebbe? Gesù glielo annuncerà velatamente dopo la sua risurrezione (cfr. Gv 21,18-19), e Pietro lo comprenderà man mano.
5. Eppure, questa vicenda di Pietro è istruttiva per noi. Vi sono momenti, periodi della vita, in cui si avverte crescere in sé questo desiderio: è bello per noi essere qui. Sono momenti di pienezza, di consolazione, autentico dono con cui il Signore ci fortifica, consolida la nostra fiducia in Lui, cura le nostre afflizioni e ci prepara per più impegnative lotte.
È senz’altro comprensibile il desiderio spontaneo che questi momenti non finiscano mai, vorremmo che così fosse tutta la vita, e ci atterrisce il pensiero che possano venire giornate diverse da queste.
È il caso, allora, di seguire la via dei discepoli in discesa dal monte. Interiormente corroborati, penetrati ormai in una nuova intimità con Dio, non si attardano a prolungare la loro sosta sul monte, né si rammaricano perché si trattava soltanto di una sosta. Proseguono il loro cammino dietro a Gesù, lasciandosi condurre da Lui, lasciando che sia Lui a stabilire la meta e a pianificare l’itinerario.
Facciamo tesoro dei momenti di consolazione, qualora ci vengano concessi. Senza però attaccarvi il cuore, ma tenendolo piuttosto ben stretto al Signore, per seguirlo con pari affetto anche nella monotonia della pianura e sui pendii del calvario. Così sapremo onorare e rallegrarci dell’alleanza che Egli ha stabilito con noi.
Don Marco PANERO sdb
Fonte: www.donbosco-torino.it
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