Michele Antonio Corona III Domenica di Quaresima (Anno C)

 Commento su Luca 13,1-9
Michele Antonio Corona
III Domenica di Quaresima (Anno C) (28/02/2016)
Vangelo: Lc 13,1-9
Forse anche io sono uno tra quegli uomini scandalizzati da una sciagura avvenuta ai miei giorni.
Anche io sono tra coloro che vanno da Dio e lo accusano dei mali del mondo. Anche io, molto spesso, dribblo la mia responsabilità personale e quella dell'umanità sui fatti di vita per affidare ad un urlo scoordinato contro il cielo il mio disgustato dissapore per le ingiustizie del mondo.
Quei galilei si presentarono a Gesù, forse, per smontare la sua predicazione evangelica leggiadramente spensierata. La vita è altra rispetto alla fiducia e alla speranza, pensavano. Questo Gesù troppo fiducioso verso il prossimo, esagerato nell'accondiscendere ai minimi gesti dei peccatori, propenso a offrire amore anche a chi vive in situazioni poco credibili, doveva essere messo davanti a fatti che lo avessero fatto schierare. Pilato poteva essere perdonato? Paradossalmente, proprio colui che laverà le mani per la sua vita viene tirato in causa per aver lavato i sacrifici di alcuni galilei col loro sangue. Questo Pilato ha ancora speranza? E a loro perché giunse una morte così infame? La mentalità del tempo parlava di "giusta retribuzione". Se anche Gesù fosse stato d'accordo, allora avrebbero potuto sapere chi era giusto e ingiusto, a partire dalle vicende della vita.
Ma Gesù è uomo di vita, maestro di bene, baluardo di speranza, specchio di verità. Alla domanda di quei moralisti - tra cui mi ritrovo spesso anche io - Gesù riporta un altro fatto di cronaca, in cui un colpevole materiale non si trova. Oggi, quando avviene il crollo di un edificio, si indaga il progettista, il costruttore, gli operai, i fornitori, la commissione edilizia, ecc. Allora, a chi si poteva dare la colpa? O a Dio, ma i bigotti se ne guardano bene per paura di un Dio punitivo, oppure alle vittime, ree di qualche peccato.
Gesù ribalta la prospettiva e capovolge lo sguardo, ancora una volta. Ciò che è capitato non è per peccato, ma per segno. Il moralismo fatalista è "segno di potere" sugli altri; mentre il vangelo annunciato da Gesù trasmette il "potere del segno"! Ciò che è avvenuto allora (e non solo!) è occasione di comprensione della realtà, possibilità di presa di coscienza, ammissione matura di responsabilità personale e collettiva. "Convertirsi" non è gesto morale da sbandierare agli altri, ma è cambiamento esistenziale di prospettiva, apertura del cuore, accoglienza della realtà altrui.
La parabola ulteriore del fico evidenzia due realtà frontali: l'urgenza della conversione e la pazienza del padrone della vigna. Il fico, infruttuoso e costantemente improduttivo, dovrebbe essere tagliato se si guardasse solo ai frutti, senza offrire ad esso alcuna speranza. Ma qualcuno suggerisce al padrone di aver pazienza e di concedere nuove possibilità di vita. Forse anche io vorrei incentivare una potatura decisa della vita altrui, quando questa mi sembra infruttuosa e inutile. Anche io sono tentato di essere decisionista nell'esistenza dell'altro, quando non risponde ai miei criteri. Anche io divento piuttosto fermo in condanne e apostrofi sulle esperienze degli altri... ma molto comprensivo quando si parla della mia vita. E tu?

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