P. Ermanno Rossi O.P." La Trasfigurazione di Gesù"
II Domenica QUARESIMA – Anno C
(Gen 15, 5-12.17-18; Lc 9, 28b-36)
Quale mistero la scelta d’Abramo, un pagano originario di una terra del Medio Oriente!
Dio lo chiama - è una voce interiore, forse una visione - e lo invita a lasciar tutto e partire. Comincia, così, un'avventura che interesserà gli uomini d’ogni epoca e continente.
Abramo affronta il deserto, ma, più ancora, il buio della fede.
Il figlio della promessa non arriva, e lui è ormai vecchio e la moglie anziana e sterile; ma Abramo crede: “Ciò gli fu computato a giustizia”, afferma la Scrittura. Questa fede adamantina è l'espressione massima della sua santità; ma che cosa vuol dire credere?
Dio assicura ad Abramo una discendenza numerosa, una terra ed una particolare intimità; ma egli non vedrà la realizzazione piena di queste promesse. Egli avrà solo piccoli e provvisori anticipi; eppure l'esperienza di Dio gli basta. Si fida di lui.
La manifestazione di Dio, al tramonto del sole - il fuoco passa tra le vittime squarciate e le consuma - dà ad Abramo una certezza: Dio è con lui. Il futuro della sua famiglia è nelle mani di un Dio fedele alle promesse. Ciò gli dà la speranza e il coraggio.
Abramo è il simbolo dell'uomo di fede.
Credere è accettare l'oscurità della promessa per un futuro che Dio solo conosce. L'uomo di fede trova in Dio il punto di riferimento per la sua esperienza interiore; impara il coraggio della propria povertà.
Un’esperienza simile l’hanno fatta gli Apostoli sul Tabor.
Gesù è in cammino verso Gerusalemme; va incontro alla sua passione e morte.
Questo tragico avvenimento non sarà solo per lui la prova suprema. Esso avrebbe demolito l'idea che gli Apostoli si erano fatte del Messia e avrebbe messo a dura prova la loro fede: come accettare un Salvatore perdente? Gesù deve, dunque, prepararli: ed ecco la Trasfigurazione.
Che questo sia il suo intento, si desume dal fatto che - prima e dopo la trasfigurazione – egli annuncia la sua prossima passione e morte.
Di fatto, gli Apostoli crolleranno sotto la croce; ma l'esperienza avuta sul Tabor - una volta ritornata la luce - fece capir loro il vero significato degli avvenimenti. La manifestazione della gloria divina, sul volto di Gesù, l'autorevole conferma della Legge e dei Profeti e quella solenne del Padre celeste - “Questi è il mio Figlio, l'eletto: ascoltatelo!” - sono segni della sua divinità, tali da sostenere la fede degli Apostoli nel momento della crisi.
L'esperienza di Dio - che gli parlava nel cuore e nella mente - fu, per Abramo, parallela a quella che gli Apostoli ebbero sul Tabor. Deve essere stata fortissima, se lo decise ad abbandonare ogni sicurezza e ad affrontare un'avventura che durò non un giorno, ma un'intera, lunga esistenza. Credette e gli fu computato a giustizia.
Qualche cosa di simile avviene anche nella nostra vita.
Chi di noi, nella lotta quotidiana, non ha sperimentato l'incertezza - talvolta l'angoscia - per restare fedele ai propri impegni, quando è duro rimanere fedeli al Cristo che interpella con la sua parola, e andar contro corrente; quando tutto crolla e sembra che Dio stesso ti abbia dimenticato?
In quel momento anche noi ci lamentiamo con Dio; ma Egli cammina con noi. Egli si allea con noi per farci uscire dalla schiavitù del male e del peccato verso la libertà e la pienezza di vita.
In quei momenti anche noi dobbiamo credere all'amore del Padre. La Trasfigurazione di Gesù è un'anteprima: è il segno di ciò che è riservato a ciascuno di noi.
(Gen 15, 5-12.17-18; Lc 9, 28b-36)
Quale mistero la scelta d’Abramo, un pagano originario di una terra del Medio Oriente!
Dio lo chiama - è una voce interiore, forse una visione - e lo invita a lasciar tutto e partire. Comincia, così, un'avventura che interesserà gli uomini d’ogni epoca e continente.
Abramo affronta il deserto, ma, più ancora, il buio della fede.
Il figlio della promessa non arriva, e lui è ormai vecchio e la moglie anziana e sterile; ma Abramo crede: “Ciò gli fu computato a giustizia”, afferma la Scrittura. Questa fede adamantina è l'espressione massima della sua santità; ma che cosa vuol dire credere?
Dio assicura ad Abramo una discendenza numerosa, una terra ed una particolare intimità; ma egli non vedrà la realizzazione piena di queste promesse. Egli avrà solo piccoli e provvisori anticipi; eppure l'esperienza di Dio gli basta. Si fida di lui.
La manifestazione di Dio, al tramonto del sole - il fuoco passa tra le vittime squarciate e le consuma - dà ad Abramo una certezza: Dio è con lui. Il futuro della sua famiglia è nelle mani di un Dio fedele alle promesse. Ciò gli dà la speranza e il coraggio.
Abramo è il simbolo dell'uomo di fede.
Credere è accettare l'oscurità della promessa per un futuro che Dio solo conosce. L'uomo di fede trova in Dio il punto di riferimento per la sua esperienza interiore; impara il coraggio della propria povertà.
Un’esperienza simile l’hanno fatta gli Apostoli sul Tabor.
Gesù è in cammino verso Gerusalemme; va incontro alla sua passione e morte.
Questo tragico avvenimento non sarà solo per lui la prova suprema. Esso avrebbe demolito l'idea che gli Apostoli si erano fatte del Messia e avrebbe messo a dura prova la loro fede: come accettare un Salvatore perdente? Gesù deve, dunque, prepararli: ed ecco la Trasfigurazione.
Che questo sia il suo intento, si desume dal fatto che - prima e dopo la trasfigurazione – egli annuncia la sua prossima passione e morte.
Di fatto, gli Apostoli crolleranno sotto la croce; ma l'esperienza avuta sul Tabor - una volta ritornata la luce - fece capir loro il vero significato degli avvenimenti. La manifestazione della gloria divina, sul volto di Gesù, l'autorevole conferma della Legge e dei Profeti e quella solenne del Padre celeste - “Questi è il mio Figlio, l'eletto: ascoltatelo!” - sono segni della sua divinità, tali da sostenere la fede degli Apostoli nel momento della crisi.
L'esperienza di Dio - che gli parlava nel cuore e nella mente - fu, per Abramo, parallela a quella che gli Apostoli ebbero sul Tabor. Deve essere stata fortissima, se lo decise ad abbandonare ogni sicurezza e ad affrontare un'avventura che durò non un giorno, ma un'intera, lunga esistenza. Credette e gli fu computato a giustizia.
Qualche cosa di simile avviene anche nella nostra vita.
Chi di noi, nella lotta quotidiana, non ha sperimentato l'incertezza - talvolta l'angoscia - per restare fedele ai propri impegni, quando è duro rimanere fedeli al Cristo che interpella con la sua parola, e andar contro corrente; quando tutto crolla e sembra che Dio stesso ti abbia dimenticato?
In quel momento anche noi ci lamentiamo con Dio; ma Egli cammina con noi. Egli si allea con noi per farci uscire dalla schiavitù del male e del peccato verso la libertà e la pienezza di vita.
In quei momenti anche noi dobbiamo credere all'amore del Padre. La Trasfigurazione di Gesù è un'anteprima: è il segno di ciò che è riservato a ciascuno di noi.
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