P. Ermanno Rossi O.P.III Domenica QUARESIMA – Anno C
III Domenica QUARESIMA – Anno C
(Es 3,1-8a. 13-15; 1 Cor 10,1-6.10-12; Lc 13,1-9)
Il libro dell'Esodo ci presenta Mosè che pascola il gregge: dopo la tempestosa esperienza in Egitto –
dov’era stato cercato a morte dal Faraone – e la faticosa attraversata del deserto, finalmente la pace in queste immense distese, dietro il gregge di Ietro, suo suocero.
Ma proprio qui lo attendeva Dio. Quale impressione sentirsi chiamare - in quelle solitudini - da una voce profonda e solenne, piena di pace: “Mosè, Mosè!”
Trovarsi a faccia a faccia con Dio è un’esperienza che incute sempre timore. Mosè si vela il volto: teme che - guardando Dio - abbia a morire.
La Voce pronuncia parole che attraverseranno i millenni. Il Dio dei Padri, il Dio d’Abramo, d’Isacco e di Giacobbe rivela il suo nome.
Può meravigliare la domanda di Mosè di conoscere il nome di Dio; ma la risposta resterà una tappa fondamentale nell’auto-rivelazione di Dio: “Io sono Colui che sono”[1].
“Io sono” è il suo nome. Dio è Colui che è; è Colui che è con noi. È il Dio dei Padri, il Dio che ha scelto i Padri perché li amava. È l'Essere, ma è un Essere che ama.
Egli ha sentito il gemito del popolo angariato, ed è venuto in suo aiuto.
D'ora in poi Mosè dovrà affrontare mille pericoli: Dio gli affida la liberazione di un popolo oppresso. Dovrà affrontare il faraone che non ha alcun’intenzione di privarsi del quasi gratuito lavoro di un popolo. Dovrà affrontare, poi, il deserto, un cammino estenuante di 40 anni tra pericoli d’ogni genere: mancanza d'acqua, di cibo, perversità ed insidie da parte degli uomini, anche dei fratelli.
Mosè dice il suo “sì” al Signore, un “sì” che ha un valore incommensurabile. Ce ne sarà un altro simile - ma ancora più carico di conseguenze -: quello di Maria, che cambierà la storia; vero spartiacque. Se Mosè non avesse detto il suo “sì”, oggi non parleremmo di lui; la storia sarebbe diversa, molto diversa.
L'importanza di un “sì”! Ogni santo ha avuto un suo “sì” iniziale, che ha cambiato la vita a lui e a molti altri lungo i secoli. È stato quello che ha iniziato mille avventure.
Anche a noi, a volte, il Signore rivolge una sua domanda. C'è un momento nella vita in cui tutto il nostro destino dipende da quel “sì”, o dal rifiuto a aderire all’appello di Dio. È il momento in cui si delinea la nostra vocazione.
Occorre stare attenti alla voce del Dio che chiama. Gli operai della parabola - che sono stati inoperosi tutto il giorno - sono chiamati un'ora prima che la giornata lavorativa termini. Questo capita a chi si converte alla fine della sua vita; ma ogni ora è buona, purché si risponda di sì. Dio, poi, ricompensa questi ultimi come quelli che hanno lavorato tutto il giorno. Generosità della divina bontà! Non è mai troppo tardi per rispondere al Signore che chiama!
II
(Lettera ai Corinti)
“Tutti furono sotto la nube, tutti attraversarono il mare, tutti furono battezzati in rapporto a Mosè nella nube e nel mare, tutti mangiarono lo stesso cibo spirituale, tutti bevvero la stessa bevanda spirituale (…), ma della maggior parte di loro Dio non si compiacque e perciò furono abbattuti nel deserto”.
Mi ha impressionato quest’affermazione di Paolo ai Corinzi.
Gli ebrei erranti nel deserto - già affranti da molta sofferenza - che avran pensato di se stessi? Quando esprimevano a Mosè il loro disappunto - spesso esprimevano la loro rabbia per la condizione in cui erano venuti a trovarsi e si lamentavano di Dio; lo hanno persino rinnegato: ricordiamo il vitello d'oro! - pensavano d’avere le loro buone ragioni. Si ritenevano vittime innocenti e non dei colpevoli.
Ed io penso a me. Anch'io sono sotto la nube (la stessa protezione di Dio), anch'io ho ricevuto il battesimo, anch'io mangio e bevo un cibo spirituale: il Corpo e il Sangue di Cristo. Avrei, dunque, tutti i motivi per ritenermi di casa con Dio, suo amico. Ma come stanno veramente le cose? Tutto ciò mi giustifica e, cioè, mi fa giusto e santo?
La santità è una qualità interiore. E' una presenza tutta speciale, particolare, di Dio nell'essere. Al limite, posso avere Cristo in me solo materialmente (quando faccio la comunione). I sacramenti, infatti, non hanno un'efficacia magica; la vita cristiana impegna tutto l'uomo e la sua libertà.
E, allora, come comportarmi? Cedere alla presunzione o allo scoraggiamento?
No! Nè l'una nè l'altra cosa, ma solo il santo timor di Dio. “Dopo aver fatto tutte queste cose - avverte Gesù - dite: siamo servi inutili”. Figurarsi, poi, se non facciamo “tutte queste cose” e, cioè, le opere di Dio, ma solo le opere dell'uomo!
III
(Vangelo)
Il Vangelo ci presenta la storia vista con gli occhi di Dio.
Un giorno chiesero a Gesù: “Perché quest'uomo è nato cieco? Forse hanno peccato i suoi genitori o lui?”. No! il male fisico ha un'altra spiegazione.
Il Vangelo d’oggi parla di un delitto e di una disgrazia. Perché questi mali? Questi infelici erano dei colpevoli puniti da Dio? Erano più peccatori di noi, che siamo stati risparmiati da tali sciagure?
Ne capitano ogni giorno. Possiamo fare dei paragoni, ricavarne delle conclusioni, emettere dei giudizi. Ma la risposta di Gesù è chiara, liberante: “No, vi dico; ma se non vi convertirete, perirete tutti allo stesso modo”.
Siamo tutti peccatori; tutti abbiamo bisogno di convertirci. A noi è stato concesso un tempo d'attesa, un tempo di misericordia.
«Purtroppo ciascuno di noi assomiglia molto ad un albero che ha già dato, per anni, molteplici prove della sua sterilità. Ma, fortunatamente, Dio è simile a quel contadino che, con una pazienza senza limiti, concede ancora al fico infecondo l'occasione di dare frutto. Un anno di grazia: il tempo del ministero di Cristo, il tempo della chiesa prima del ritorno del Signore, il tempo della nostra vita, scandito da un certo numero di quaresime, che ci sono offerte come occasioni di salvezza. L'inalterabile pazienza di Cristo, da cui traspare la sua profonda disillusione di fronte ai suoi contemporanei - e, nello stesso tempo, la sua irriducibile preoccupazione per i peccatori -, come dovrebbe provocarci all'impazienza nei confronti di noi stessi! Non è mai troppo tardi per convertirsi, finché l'albero della nostra vita è ancora verde. Ma è urgente, è ora! Sarà per oggi?».
(Es 3,1-8a. 13-15; 1 Cor 10,1-6.10-12; Lc 13,1-9)
Il libro dell'Esodo ci presenta Mosè che pascola il gregge: dopo la tempestosa esperienza in Egitto –
dov’era stato cercato a morte dal Faraone – e la faticosa attraversata del deserto, finalmente la pace in queste immense distese, dietro il gregge di Ietro, suo suocero.
Ma proprio qui lo attendeva Dio. Quale impressione sentirsi chiamare - in quelle solitudini - da una voce profonda e solenne, piena di pace: “Mosè, Mosè!”
Trovarsi a faccia a faccia con Dio è un’esperienza che incute sempre timore. Mosè si vela il volto: teme che - guardando Dio - abbia a morire.
La Voce pronuncia parole che attraverseranno i millenni. Il Dio dei Padri, il Dio d’Abramo, d’Isacco e di Giacobbe rivela il suo nome.
Può meravigliare la domanda di Mosè di conoscere il nome di Dio; ma la risposta resterà una tappa fondamentale nell’auto-rivelazione di Dio: “Io sono Colui che sono”[1].
“Io sono” è il suo nome. Dio è Colui che è; è Colui che è con noi. È il Dio dei Padri, il Dio che ha scelto i Padri perché li amava. È l'Essere, ma è un Essere che ama.
Egli ha sentito il gemito del popolo angariato, ed è venuto in suo aiuto.
D'ora in poi Mosè dovrà affrontare mille pericoli: Dio gli affida la liberazione di un popolo oppresso. Dovrà affrontare il faraone che non ha alcun’intenzione di privarsi del quasi gratuito lavoro di un popolo. Dovrà affrontare, poi, il deserto, un cammino estenuante di 40 anni tra pericoli d’ogni genere: mancanza d'acqua, di cibo, perversità ed insidie da parte degli uomini, anche dei fratelli.
Mosè dice il suo “sì” al Signore, un “sì” che ha un valore incommensurabile. Ce ne sarà un altro simile - ma ancora più carico di conseguenze -: quello di Maria, che cambierà la storia; vero spartiacque. Se Mosè non avesse detto il suo “sì”, oggi non parleremmo di lui; la storia sarebbe diversa, molto diversa.
L'importanza di un “sì”! Ogni santo ha avuto un suo “sì” iniziale, che ha cambiato la vita a lui e a molti altri lungo i secoli. È stato quello che ha iniziato mille avventure.
Anche a noi, a volte, il Signore rivolge una sua domanda. C'è un momento nella vita in cui tutto il nostro destino dipende da quel “sì”, o dal rifiuto a aderire all’appello di Dio. È il momento in cui si delinea la nostra vocazione.
Occorre stare attenti alla voce del Dio che chiama. Gli operai della parabola - che sono stati inoperosi tutto il giorno - sono chiamati un'ora prima che la giornata lavorativa termini. Questo capita a chi si converte alla fine della sua vita; ma ogni ora è buona, purché si risponda di sì. Dio, poi, ricompensa questi ultimi come quelli che hanno lavorato tutto il giorno. Generosità della divina bontà! Non è mai troppo tardi per rispondere al Signore che chiama!
II
(Lettera ai Corinti)
“Tutti furono sotto la nube, tutti attraversarono il mare, tutti furono battezzati in rapporto a Mosè nella nube e nel mare, tutti mangiarono lo stesso cibo spirituale, tutti bevvero la stessa bevanda spirituale (…), ma della maggior parte di loro Dio non si compiacque e perciò furono abbattuti nel deserto”.
Mi ha impressionato quest’affermazione di Paolo ai Corinzi.
Gli ebrei erranti nel deserto - già affranti da molta sofferenza - che avran pensato di se stessi? Quando esprimevano a Mosè il loro disappunto - spesso esprimevano la loro rabbia per la condizione in cui erano venuti a trovarsi e si lamentavano di Dio; lo hanno persino rinnegato: ricordiamo il vitello d'oro! - pensavano d’avere le loro buone ragioni. Si ritenevano vittime innocenti e non dei colpevoli.
Ed io penso a me. Anch'io sono sotto la nube (la stessa protezione di Dio), anch'io ho ricevuto il battesimo, anch'io mangio e bevo un cibo spirituale: il Corpo e il Sangue di Cristo. Avrei, dunque, tutti i motivi per ritenermi di casa con Dio, suo amico. Ma come stanno veramente le cose? Tutto ciò mi giustifica e, cioè, mi fa giusto e santo?
La santità è una qualità interiore. E' una presenza tutta speciale, particolare, di Dio nell'essere. Al limite, posso avere Cristo in me solo materialmente (quando faccio la comunione). I sacramenti, infatti, non hanno un'efficacia magica; la vita cristiana impegna tutto l'uomo e la sua libertà.
E, allora, come comportarmi? Cedere alla presunzione o allo scoraggiamento?
No! Nè l'una nè l'altra cosa, ma solo il santo timor di Dio. “Dopo aver fatto tutte queste cose - avverte Gesù - dite: siamo servi inutili”. Figurarsi, poi, se non facciamo “tutte queste cose” e, cioè, le opere di Dio, ma solo le opere dell'uomo!
III
(Vangelo)
Il Vangelo ci presenta la storia vista con gli occhi di Dio.
Un giorno chiesero a Gesù: “Perché quest'uomo è nato cieco? Forse hanno peccato i suoi genitori o lui?”. No! il male fisico ha un'altra spiegazione.
Il Vangelo d’oggi parla di un delitto e di una disgrazia. Perché questi mali? Questi infelici erano dei colpevoli puniti da Dio? Erano più peccatori di noi, che siamo stati risparmiati da tali sciagure?
Ne capitano ogni giorno. Possiamo fare dei paragoni, ricavarne delle conclusioni, emettere dei giudizi. Ma la risposta di Gesù è chiara, liberante: “No, vi dico; ma se non vi convertirete, perirete tutti allo stesso modo”.
Siamo tutti peccatori; tutti abbiamo bisogno di convertirci. A noi è stato concesso un tempo d'attesa, un tempo di misericordia.
«Purtroppo ciascuno di noi assomiglia molto ad un albero che ha già dato, per anni, molteplici prove della sua sterilità. Ma, fortunatamente, Dio è simile a quel contadino che, con una pazienza senza limiti, concede ancora al fico infecondo l'occasione di dare frutto. Un anno di grazia: il tempo del ministero di Cristo, il tempo della chiesa prima del ritorno del Signore, il tempo della nostra vita, scandito da un certo numero di quaresime, che ci sono offerte come occasioni di salvezza. L'inalterabile pazienza di Cristo, da cui traspare la sua profonda disillusione di fronte ai suoi contemporanei - e, nello stesso tempo, la sua irriducibile preoccupazione per i peccatori -, come dovrebbe provocarci all'impazienza nei confronti di noi stessi! Non è mai troppo tardi per convertirsi, finché l'albero della nostra vita è ancora verde. Ma è urgente, è ora! Sarà per oggi?».
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