padre Antonio Rungi"Trasfigurati dal perdono di Dio e dei fratelli"
Trasfigurati dal perdono di Dio e dei fratelli
padre Antonio Rungi
II Domenica di Quaresima (Anno C) (21/02/2016)
Vangelo: Lc 9,28-36
La seconda domenica di questo itinerario quaresimale dell'anno giubilare della misericordia ci porta a salire, con Gesù e coi i tre Apostoli, Pietro, Giacomo e Giovanni, sul monte Tabor, il Monte della Trasfigurazione del Signore, ma anche a riscendere da questo monte, dopo l'esperienza della contemplazione della gloria di Dio, immergendoci nella vita di tutti i giorni e sapendo accogliere anche le prove che ci attendono. Oggi, infatti, il Vangelo di Luca ci racconta di questo momento estasiante dei tre discepoli del Signore che si trova ad assistere, per la stessa volontà di Gesù, a questo momento della sua vita, prima di salire il monte del Calvario. Cosa successe su quel
monte è detto con precisione dall'evangelista: "Mentre pregava, il suo volto di Gesù cambiò d'aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante".
Prima costatazione di una trasformazione esteriore di Gesù visibile e percepibile agli occhi dei tre apostoli, che rimasero sbalorditi e positivamente impressionati da quella visione celestiale. Gesù sul monte Tabor non è solo in questo suo apparire, in questa sua nuova teofania, Insieme a Lui ci sono due uomini che conversavano con lui: "erano Mosè ed Elìa, apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme". Sono due personaggi molto conosciuti presso il popolo ebraico. Per cui agli apostoli non è difficile riconoscerli, anche se Pietro, Giacomo e Giovanni, pur essendo assonnati, "quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui".
Questa apparizione di Mosé ed Elia vicino ha Gesù facci capire esattamente di cosa ha bisogno l'uomo per incontrare Dio, per trasfigurarsi in Lui, per contemplarlo nella sua gloria. Ci vogliono tre cose essenziali: la fede-contemplativa, la parola che è vita e la profezia che è speranza ed annunzio. In un attimo i tre discepoli sperimentano contemporaneamente questo stato di benessere spirituale ed anche fisico, al punto tale, che Pietro prende la parola e si rivolge a Gesù, trasmettendo a Lui lo stato di benessere assoluto in cui si trovano tutte e tre in quel momento: «Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elìa».
Commentando questa situazione, l'Evangelista Luca, annota questo fatto: "Egli, Pietro, non sapeva quello che diceva". Sarà stato il sonno, sarà stata la visione beatifica a cui assistono, certo è che, nel descrivere il fatto, Luca annota che "mentre Pietro parlava così, venne una nube e li coprì con la sua ombra. All'entrare nella nube, ebbero paura". Immersi totalmente nella dimensione della contemplazione dell'eterno i tre discepoli sentirono con chiarezza una voce che diceva: «Questi è il Figlio mio, l'eletto; ascoltatelo!». In altra circostanza una voce aveva detto di ascoltare Gesù e fu in occasione del Battesimo al Giordano. Anche in quella circostanza Gesù è indicato come il Figlio di Dio al quale bisogna prestare la giusta attenzione a quanto Egli afferma. Chiaro invito a fare tesoro di ogni parola che esce dalla bocca del Signore se vogliamo rinnovarci e convertirci a Lui.
Non senza una sottile connotazione spiritualistica che l'Evangelista Luca, afferma a chiusura di quanto è successo il Monte della Trasfigurazione che "appena la voce cessò, restò Gesù solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto". Il silenzio interiore, la meditazione, la contemplazione richiedono tempi di concentrazione su se stessi, perché ciò che si è udito e visto possa trasformare il cuore, la mente e la vita.
Questo invito al cambiamento radicale di noi stessi, soprattutto in questo tempo di Quaresima ci viene suggerito, indicato e dettagliatamente proposto dal brano della seconda lettura di oggi, tratto dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippési: "Fratelli, fatevi insieme miei imitatori e guardate quelli che si comportano secondo l'esempio che avete in noi. Perché molti - ve l'ho già detto più volte e ora, con le lacrime agli occhi, ve lo ripeto - si comportano da nemici della croce di Cristo". Chi sono i nemici della croce di Cristo, sono tutti coloro che non hanno fede, non accettano l'insegnamento di Cristo nel suo vangelo, non agiscono rettamente e vivono la solo dimensione terrena e materiale della propria esistenza, al punto tale che il ventre è il loro Dio e si vantano di ciò di cui dovrebbero vergognarsi".
Per gli amici della croce del Crocifisso invece esiste un'altra prospettiva ed un altro modo di vivere che è quello che guarda il cielo e agisce in prospettiva dell'eternità. Infatti, scrive l'Apostolo che "la nostra cittadinanza è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che egli ha di sottomettere a sé tutte le cose".
Si tratta di avere fede ed una fede forte, nel credere fermamente alla parola di Dio, alle promesse che Cristo ci ha detto: "Ed io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me" (12,32).
Riecheggiano in queste parole, ciò che leggiamo nella prima lettura, e che il Signore rivolse ad Abramo: «Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle» e soggiunse: «Tale sarà la tua discendenza». Egli credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia. La vecchia alleanza stipulata da Dio con Abramo e la nuova alleanza stipulata da Cristo con l'umanità nel mistero della Pasqua ha un solo filo conduttore: l'amore misericordioso di Dio, manifestato a noi nella croce di Cristo. E' tale amore che può e deve trasfigurare la nostra mente, il nostro cuore e la nostra vita, nell'attesa di contemplare per sempre il volto glorioso e luminoso di Cristo nell'eternità. Quel Paradiso che i tre discepoli del Signore ebbero modo di sperimentare sul monte Tabor e che noi speriamo di avere in premio, per l'eternità, a conclusione del nostro cammino terreno.
padre Antonio Rungi
II Domenica di Quaresima (Anno C) (21/02/2016)
Vangelo: Lc 9,28-36
La seconda domenica di questo itinerario quaresimale dell'anno giubilare della misericordia ci porta a salire, con Gesù e coi i tre Apostoli, Pietro, Giacomo e Giovanni, sul monte Tabor, il Monte della Trasfigurazione del Signore, ma anche a riscendere da questo monte, dopo l'esperienza della contemplazione della gloria di Dio, immergendoci nella vita di tutti i giorni e sapendo accogliere anche le prove che ci attendono. Oggi, infatti, il Vangelo di Luca ci racconta di questo momento estasiante dei tre discepoli del Signore che si trova ad assistere, per la stessa volontà di Gesù, a questo momento della sua vita, prima di salire il monte del Calvario. Cosa successe su quel
monte è detto con precisione dall'evangelista: "Mentre pregava, il suo volto di Gesù cambiò d'aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante".
Prima costatazione di una trasformazione esteriore di Gesù visibile e percepibile agli occhi dei tre apostoli, che rimasero sbalorditi e positivamente impressionati da quella visione celestiale. Gesù sul monte Tabor non è solo in questo suo apparire, in questa sua nuova teofania, Insieme a Lui ci sono due uomini che conversavano con lui: "erano Mosè ed Elìa, apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme". Sono due personaggi molto conosciuti presso il popolo ebraico. Per cui agli apostoli non è difficile riconoscerli, anche se Pietro, Giacomo e Giovanni, pur essendo assonnati, "quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui".
Questa apparizione di Mosé ed Elia vicino ha Gesù facci capire esattamente di cosa ha bisogno l'uomo per incontrare Dio, per trasfigurarsi in Lui, per contemplarlo nella sua gloria. Ci vogliono tre cose essenziali: la fede-contemplativa, la parola che è vita e la profezia che è speranza ed annunzio. In un attimo i tre discepoli sperimentano contemporaneamente questo stato di benessere spirituale ed anche fisico, al punto tale, che Pietro prende la parola e si rivolge a Gesù, trasmettendo a Lui lo stato di benessere assoluto in cui si trovano tutte e tre in quel momento: «Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elìa».
Commentando questa situazione, l'Evangelista Luca, annota questo fatto: "Egli, Pietro, non sapeva quello che diceva". Sarà stato il sonno, sarà stata la visione beatifica a cui assistono, certo è che, nel descrivere il fatto, Luca annota che "mentre Pietro parlava così, venne una nube e li coprì con la sua ombra. All'entrare nella nube, ebbero paura". Immersi totalmente nella dimensione della contemplazione dell'eterno i tre discepoli sentirono con chiarezza una voce che diceva: «Questi è il Figlio mio, l'eletto; ascoltatelo!». In altra circostanza una voce aveva detto di ascoltare Gesù e fu in occasione del Battesimo al Giordano. Anche in quella circostanza Gesù è indicato come il Figlio di Dio al quale bisogna prestare la giusta attenzione a quanto Egli afferma. Chiaro invito a fare tesoro di ogni parola che esce dalla bocca del Signore se vogliamo rinnovarci e convertirci a Lui.
Non senza una sottile connotazione spiritualistica che l'Evangelista Luca, afferma a chiusura di quanto è successo il Monte della Trasfigurazione che "appena la voce cessò, restò Gesù solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto". Il silenzio interiore, la meditazione, la contemplazione richiedono tempi di concentrazione su se stessi, perché ciò che si è udito e visto possa trasformare il cuore, la mente e la vita.
Questo invito al cambiamento radicale di noi stessi, soprattutto in questo tempo di Quaresima ci viene suggerito, indicato e dettagliatamente proposto dal brano della seconda lettura di oggi, tratto dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippési: "Fratelli, fatevi insieme miei imitatori e guardate quelli che si comportano secondo l'esempio che avete in noi. Perché molti - ve l'ho già detto più volte e ora, con le lacrime agli occhi, ve lo ripeto - si comportano da nemici della croce di Cristo". Chi sono i nemici della croce di Cristo, sono tutti coloro che non hanno fede, non accettano l'insegnamento di Cristo nel suo vangelo, non agiscono rettamente e vivono la solo dimensione terrena e materiale della propria esistenza, al punto tale che il ventre è il loro Dio e si vantano di ciò di cui dovrebbero vergognarsi".
Per gli amici della croce del Crocifisso invece esiste un'altra prospettiva ed un altro modo di vivere che è quello che guarda il cielo e agisce in prospettiva dell'eternità. Infatti, scrive l'Apostolo che "la nostra cittadinanza è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che egli ha di sottomettere a sé tutte le cose".
Si tratta di avere fede ed una fede forte, nel credere fermamente alla parola di Dio, alle promesse che Cristo ci ha detto: "Ed io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me" (12,32).
Riecheggiano in queste parole, ciò che leggiamo nella prima lettura, e che il Signore rivolse ad Abramo: «Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle» e soggiunse: «Tale sarà la tua discendenza». Egli credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia. La vecchia alleanza stipulata da Dio con Abramo e la nuova alleanza stipulata da Cristo con l'umanità nel mistero della Pasqua ha un solo filo conduttore: l'amore misericordioso di Dio, manifestato a noi nella croce di Cristo. E' tale amore che può e deve trasfigurare la nostra mente, il nostro cuore e la nostra vita, nell'attesa di contemplare per sempre il volto glorioso e luminoso di Cristo nell'eternità. Quel Paradiso che i tre discepoli del Signore ebbero modo di sperimentare sul monte Tabor e che noi speriamo di avere in premio, per l'eternità, a conclusione del nostro cammino terreno.
Commenti
Posta un commento