Paolo Curtaz, "Dal deserto al Tabor"

Commento al Vangelo del 21 febbraio 2016 – Dal deserto al Tabor
Non entriamo nel deserto per gioco, e il deserto, come ogni altra realtà della vita, come ha
sperimentato Israele, ha un doppio volto, luminoso e tenebroso, straordinario ed oscuro.
Israele ha vissuto quarant’anni nel deserto, il luogo della non-scelta, intimorito dai popoli che abitavano la terra della liberazione, indeciso e spaventato.
E più volte, nel deserto, il popolo ha dovuto misurare il proprio limite, confrontarsi con i propri demoni e i propri idoli, alternando alleanza con Dio ad abbandono, gioia a disperazione.
Ma il deserto è anche il luogo in cui uno zelante e sanguinario Elia incontra Dio, alla fine della sua fuga da Gezabele che lo vuole uccidere. In cui, nella grotta, il profeta abbandona le sue certezze per incontrare il vento silenzioso della leggerezza di Dio.
E il luogo in cui Dio chiama a sé il suo popolo, perché, come sperimenta Osea, nell’essenziale si torna all’Essenziale.
Così noi affrontiamo il deserto della Quaresima.
Non per imporci una malsana penitenza, ma una necessaria battuta d’arresto.
Non per mortificarci, ma per vivificarci.
E affrontiamo le tentazioni, che derivano dall’essere liberi, se lo siamo, per scegliere chi essere, dove stare, con chi stare.
Come ci diceva Luca domenica scorsa. la tentazione, il cui termine significa “passare attraverso”, è la dimensione abituale in cui viviamo e ci colpisce proprio perché credenti e pieni di Spirito Santo. Paradossalmente, è buon segno essere tentati, significa che siamo nella logica della conversione.
Se siamo tentati è perché siamo credenti.
Insomma, siamo chiamati ad attraversare il deserto per raggiungere il Tabor.
Non per giocare a fare gli eremiti.
La bellezza
Gesù, sul Tabor, non si toglie la maschera per svelare chi è veramente, non ci sono fenomeni speciali, o abiti luccicanti o colonne sonori roboanti. Gli evangelisti usano un linguaggio particolare, simbolico, che richiama le manifestazioni di Dio nell’Antico Testamento.
È il loro sguardo che cambia, la loro percezione, la loro esperienza di fede.
Ora vedono col cuore, ora capiscono con l’anima, ora, per un attimo, vedono la bellezza di Dio.
Bellezza che è nel nostro sguardo, non nelle cose o nelle persone.
Quanto è bello vedere la bellezza di Dio! Quanto riconoscere, nell’umanissimo volto del Signore Gesù, la trasparenza sorridente del volto del Padre!
E quanta bellezza manca, alla nostra fede!
Abbiamo costretto l’esperienza della fede nelle categorie della giustizia e della moralità.
È giusto e doveroso credere in Dio, pensiamo.
È bellissimo, replicano gli apostoli. Una bellezza che supera ogni altra bellezza, che illumina e ridimensiona ogni altra gioia che in Dio, e solo in Dio, acquista spessore e speranza di immortalità.
Questa bellezza cerchiamo, quando ci inoltriamo nel deserto della Quaresima.
Cerchiamo il Dio bellissimo, altro che.
Dettagli
Luca scrive che Gesù è salito sul Tabor per pregare e che è in preghiera, mentre si trasfigura, come ad indicare che solo in un profondo cammino di interiorità possiamo scoprire la bellezza di appartenere a Dio.
Perciò è urgente riscoprire nella nostra fede l’aspetto della preghiera come incontro intimo e fecondo con la Parola di Dio, per farne una lettura orante, prolungata e feconda.
Ci parla del suo volto trasformato, che cambia d’aspetto: come quando si è innamorati, come quando si è felici, come quando torniamo da un’esperienza di fede straordinaria. Si vede, se abbiamo incontrato la bellezza di Dio, non abbiamo bisogno di parlarne troppo a lungo.
E bene fa papa Francesco a richiamarci all’essenzialità di una testimonianza credibile. Credibile perché gioiosa, credibile perché innamorata.
Solo un appassionato può essere credibile mentre parla d’amore!
Gesù parla con Elia e Mosè, i profeti e la Legge, per dare pienezza alla sua rivelazione. Ma solo Luca ci dice che parla del suo esodo, della sua dipartita. Sono passati otto giorni dall’annuncio che Gesù ha fatto ai suoi discepoli riguardo alla brutta piega che stanno prendendo gli eventi e di una sua possibile morte all’orizzonte.
Oggi veniamo a sapere da Luca che proprio qui, nella gloria, Gesù riceve conferma di ciò e una chiave di lettura del dolore che sta per affrontare. Quando siamo sul Tabor capiamo che la vita reale è fatta anche di croci e di sconfitte, di dolore e di delusioni. Solo nella bellezza possiamo affrontare il dolore.
Sono oppressi dal sonno, i discepoli, qui come sarà poi nel Getsemani. Per vedere la bellezza di Dio dobbiamo duramente lottare, combattere, restare svegli. Oggi restare cristiani richiede uno sforzo immane, sovrumano, che solo lo Spirito ci permette di realizzare. Evitiamo di costruire delle tende per “bloccare” il Signore nel momento della gloria. Se abbiamo la gioia di vedere la bellezza di Dio è per portarla con noi nella città.
Ha ragione Pietro, è bello per noi restare con Cristo.
Facciamone memoria, nel deserto che stiamo vivendo.

FONTE:http://www.tiraccontolaparola.it/



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