Settimio CIPRIANI SDB "Mentre egli pregava, il suo volto cambiò d'aspetto..."

21 febbraio 2016 | 2a Domenica di Quaresima - Anno C | Appunti per la Lectio
"Mentre egli pregava, il suo volto cambiò d'aspetto..."
Vangelo: Lc 9,28-36 
In un clima così austero, come quello che la Quaresima vuol creare, sorprende un poco il trovarsi di
fronte il racconto della Trasfigurazione del Signore che, in ognuno dei tre cicli, la Liturgia ci presenta sempre nella seconda Domenica di Quaresima: è una scena di gloria e di manifestazione di potenza, che a prima vista sembra stonare con l'itinerario "penitenziale" e di "conversione" caratteristico di questo ciclo liturgico.
A ben leggere il racconto evangelico, però, soprattutto quello di Luca propostoci per oggi, la verità è ben altra: infatti, proprio questo racconto ci aiuta a penetrare meglio il senso vasto e profondo del ciclo quaresimale.

Mosè ed Elia "parlavano della sua dipartita"

E incominciamo da due caratteristiche del racconto lucano (9,28-36), che subito ci riportano in pieno clima quaresimale.
La prima è l'esplicito riferimento alla "preghiera", che costituisce come l'ambiente spirituale in cui si snoda quella meravigliosa e misteriosa manifestazione del divino in Cristo che avvenne sul "monte" (solo la tradizione posteriore parla del Tabor): "Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. E, mentre pregava, il suo volto cambiò d'aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante" (vv. 28-29). Il testo sembra quasi suggerirci, con la ripetuta insistenza sul "pregare" di Gesù, che è proprio questa preghiera intensa, solitaria e profonda a provocare la "trasfigurazione" della sua persona: l'uomo che prega profondamente, come faceva Cristo, si immerge talmente in Dio che ne ghermisce quasi delle faville di luce, che trasformano addirittura la sua figura "fisica", oltre che la sua stessa vita.
Sappiamo come il tema della preghiera sia caro all'evangelista Luca: ma il richiamarlo proprio in questo periodo liturgico sta a significare che la Quaresima assume il suo significato più vero sotto il segno della "preghiera". Il cristiano, che intraprende l'itinerario quaresimale, deve sapere che la "trasfigurazione" della sua vita è possibile solo alla luce fiammante della preghiera: solo da Dio viene la forza per camminare verso la "novità" della Pasqua.
E poi la seconda caratteristica del racconto lucano: mentre gli altri due Sinottici concordano nel riferirci la presenza di Mosè e di Elia che "parlavano" con Gesù sul monte della Trasfigurazione (v. 30), solo Luca ci dice qualcosa sul "contenuto" di quel misterioso dialogo di Gesù con i due più prestigiosi personaggi dell'A. Testamento: "Parlavano della sua dipartita, che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme" (v. 31). Il termine greco, corrispondente a "dipartita", è "éxodos", cioè "esodo": è tutta la tematica dell'esodo perciò che viene qui riassunta, come tensione verso la liberazione definitiva e conquista della Terra promessa, la quale però giunge al termine di una infinita catena di sofferenza e di "tentazioni" nel deserto.
Proprio per questo il racconto della Trasfigurazione ci inserisce di nuovo nel clima della Quaresima, intesa come ripetizione, quasi "concentrata", sia del faticoso viaggio dell'esodo d'Israele dalla schiavitù egiziana che del viaggio di Cristo verso Gerusalemme, dove egli consumerà il suo sacrificio. Quasi immediatamente dopo, infatti, Luca incomincerà a descriverci l'interminabile "viaggio" di Gesù verso la città santa: "Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato tolto dal mondo, si diresse decisamente verso Gerusalemme" (9,51). È la Quaresima che marcia verso la Pasqua!

"Pietro e i suoi compagni... videro la sua gloria"

È proprio per questa "compenetrazione" dei due misteri liturgici che la Quaresima viene come bagnata dai fulgori della Pasqua. Oltre le particolarità specifiche del Vangelo di Luca, infatti, è lo stesso episodio della Trasfigurazione, nella sua globalità di significato, che ci introduce a penetrare più a fondo il senso della Quaresima.
Al di là dell'inceppato linguaggio con cui gli Evangelisti, non concordando sempre fra di loro, ci descrivono quel "qualcosa" di prodigioso e divino che avvenne in quell'occasione in Cristo, essi convengono nell'affermare una cosa: agli occhi assonnati, ma pur tenuti faticosamente svegli, dei tre Apostoli, fortunati spettatori della scena, si manifestò la "gloria" (dóxa) di Dio rifulgente "sul volto di Cristo" (cf 2 Cor 4,6). Ecco infatti come si esprime Luca: "Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; tuttavia restarono svegli e videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui" (v. 32). La stessa "nuvola", che li avvolge e che li intimidisce, rimanda a una particolare presenza del divino: si pensi alla "nube" che si posa sull'arca dell'alleanza (Es 40,35) e sul tempio di Salomone (1 Re 8,10). Cristo dunque dà ai suoi Apostoli una manifestazione visiva, e anche uditiva, della "gloria" e della potenza di Dio che lo avvolge.
Il suo camminare verso la morte, di cui immediatamente prima e dopo la nostra scena egli dà l'amaro annuncio (cf 9,22; 9,43-44), non deve perciò velare agli occhi dei suoi Apostoli che egli, nonostante lo smacco della passione, è e rimarrà "il Figlio eletto" del Padre (v. 35). Questo dovranno ricordarselo soprattutto quei tre, che saranno egualmente testimoni della sua straziante agonia nell'orto (cf Mc 14,32-42): nel momento più buio dell'esistenza di Gesù dovranno ritornare allo splendore del Tabor per capire il "senso" di quelle sofferenze e di quello strazio!
In tal modo la Trasfigurazione è come un "anticipo" della gloria della Risurrezione e tende a dare significato e sbocco positivo alla stessa morte di croce: Gesù muore per entrare nella luce della Risurrezione. È precisamente questo il significato della Quaresima cristiana: un camminare sulla via della rinuncia e dell'inchiodamento a tutte le esigenze della nostra professione di fede in Gesù, "Figlio eletto" del Padre, per partecipare infine alla sua Risurrezione gloriosa.
Ma come avvenne per Gesù, così avviene anche per noi: nella intensità di adesione alla volontà del Padre c'è come un riflesso e un anticipo di quella trasformazione finale che ci collocherà totalmente nella luce di Dio. Per la fede, infatti, tutta la nostra vita viene come illuminata e "trasfigurata".
È significativo perciò il fatto che la "voce", che esplode dalla nube da cui furono avvolti gli Apostoli, alla quasi identica proclamazione che ebbe luogo in occasione del Battesimo di Gesù (cf Lc 3,22) aggiunga il comando di "ascoltarlo": "Questi è il Figlio mio, l'eletto; ascoltatelo" (v. 35). Per la "fede" il cristiano, pur essendo ancora in cammino verso la Terra promessa, già è illuminato dai suoi fulgori e gode in qualche modo del suo possesso: la "parola" di Dio non può né illuderci né deluderci.
Per questo il deserto, cioè la Quaresima, non ci fa paura; se mai, ci mette le ali per arrivare prima alla nostra destinazione!

"La nostra patria è nei cieli"

Su questa linea mi sembra che si muova anche la seconda lettura, ripresa dalla lettera ai Filippesi (3,17-4,1).
Prima di tutto S. Paolo si preoccupa di alcuni cristiani, che sembrano aver cancellato dalla loro vita il ricordo stesso della "croce", dalla quale soltanto viene la salvezza: "Molti, ve l'ho già detto più volte e ora con le lacrime agli occhi ve lo ripeto, si comportano da nemici della croce di Cristo: la perdizione però sarà la loro fine, perché essi, che hanno come Dio il loro ventre, si vantano di ciò di cui dovrebbero vergognarsi, tutti intenti alle cose della terra" (vv. 18-19). Probabilmente l'Apostolo parla dei "giudaizzanti", a cui aveva già fatto accenno in 3,2 della stessa lettera, oppure di alcuni cristiani moralmente rilassati; in ogni caso, si tratta di gente che ha perduto il senso "quaresimale" della vita, eliminando l'ombra "fastidiosa" della croce dalla loro esistenza. Come se ci potesse essere la gioia della Pasqua senza il viaggio verso il Calvario!
In secondo luogo, S. Paolo fa vedere come la luce della "trasfigurazione" finale, che coinvolgerà il nostro stesso corpo, si riverbera sin da ora sulla nostra vita piegandola all'attesa di quello che avverrà: "La nostra patria invece è nei cieli e di là aspettiamo come Salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che ha di sottomettere a sé tutte le cose" (vv. 20-21). Pur adoperando un vocabolario diverso, il pensiero dell'Apostolo è assai vicino a quello espresso nel brano evangelico: nell'attesa della "trasfigurazione" finale, il cristiano "trasforma" giorno per giorno la sua vita, in modo da prepararsi alla "cittadinanza" futura vivendola già in anticipo alla luce della "fede".

"Fede" e "promessa"

Quella "fede" eroica, che ottenne ad Abramo la giustificazione, come ci dice la prima lettura: "Egli credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia" (Gn 15,6). È noto come S. Paolo sfrutterà questo testo per dimostrare che Cristo ci salva solo in virtù della fede, "senza le opere della legge".
Ma a noi interessa qui rilevare che la fede di Abramo si basa esclusivamente sulla "promessa" di Dio di dargli una "discendenza", numerosa come le stelle del cielo (v. 5), e la terra di Palestina come permanente dimora: "Alla tua discendenza io do questo paese dal fiume d'Egitto al grande fiume, il fiume Eufrate" (v. 18). "L'alleanza", contratta da Dio con Abramo in quel giorno e sancita con il tradizionale rito sacrificale (vv. 9-17), rimaneva appesa solo alla capacità di "credere" a quelle parole: tutto, infatti, sarebbe accaduto in secoli molto lontani!
Come si vede, anche qui la fede ha capacità di anticipare i tempi e di "trasfigurare" l'esistenza in attesa che quei tempi maturino. A ben pensarci, anche l'Antico Testamento, come tutta la nostra vita sono un misterioso "intreccio" di attesa quaresimale e di anticipata luce di Pasqua!

Settimio CIPRIANI

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