DON Tonino Lasconi, "Cerchiamo le cose di lassù"

Cerchiamo le cose di lassù
Domenica di pasqua - Anno C - 2016
Gv 20,1-9 
"Dio lo ha risuscitato al terzo giorno e volle che si manifestasse, non a tutto il popolo, ma a testimoni
prescelti da Dio, a noi che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti", così Pietro annuncia la risurrezione di Gesù, confermando ciò che Dio ripetutamente ricorda: "I miei pensieri non sono i vostri pensieri" (Is 55,8).

Noi, infatti, nascondiamo i nostri insuccessi e le nostre sconfitte dietro a false sicurezze e a stentati sorrisi, per non farci scoprire deboli e vulnerabili, mentre sbandieriamo ai quattro venti i nostri successi, anche piccoli e fittizi. Al posto di Gesù, noi avremmo manifestato la risurrezione nel tempio di Gerusalemme, nel sinedrio riunito per festeggiare la sua vittoria sul Nazzareno, nel pretorio di Pilato intento a fregarsi le mani per essersi tolto l'impiccio, tra la folla che aveva scelto Barabba..., lui invece, in quella straordinaria e unica alba del primo giorno della settimana, la manifesta a "pochi testimoni prescelti": Pietro e Giovanni, e soltanto con un segno: "i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte". Un segno importante (i teli sgonfiati senza più l'involucro dentro, e il sudario che avvolgeva il capo lontano dai teli significavano chiaramente che là dentro il corpo non c'era più), ma sempre un segno da capire, interpretare e accettare.

Non poteva essere che così. I pensieri di Dio sono "imperscrutabili" (Rm 11.33), cioè impossibili da capire, soltanto da credere sono. Se così non fosse, non sarebbero di Dio, ma i nostri. Non poteva, perciò, essere soltanto da credere l'evento fondamentale della nostra fede: la risurrezione di Gesù. Credere nella sua risurrezione – e conseguentemente nella nostra – significa accettare un evento "imperscrutabile", contrario all'esperienza umana che sperimenta la morte come un passaggio verso la notte, verso la fine, verso il sepolcro, verso il niente, non verso la "mattina della risurrezione", verso la luce, verso la vita per sempre.

Senza prove della risurrezione di Gesù, e conseguentemente nella nostra, dove poggiare la nostra fede, e come rendere convincente il nostro annuncio a "tutto il popolo" che Cristo è risorto e noi risorgeremo con lui, obbedendo alla consegna del Risorto? A Pietro e Giovanni Gesù ha dato un segno. A noi?

A noi ha lasciato come segno la testimonianza ininterrotta - da quella mattina fino a noi - di uomini e donne che, in forza di questa fede, hanno cercato "le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio; non a quelle della terra", anche a costo di affrontare sofferenze, persecuzioni e persino la perdita della vita. Non abbiamo altra prova che questa. Per rendere credibile il nostro annuncio non c'è altro modo che cercare le cose di lassù.


Ma quali sono le cose di lassù?

Non sono quelle che stanno lassù, quelle che verranno dopo, ma quelle che stanno già quaggiù, "come lievito". Cercare le cose di lassù significa diventare lievito, portandone un pezzettino dovunque viviamo, dovunque veniamo a trovarci, in modo che dovunque possa crescere la "pasta nuova: azzimi di sincerità e verità" della vita risorta, così come ha fatto Gesù, "il quale passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo".

Siamo in grado di avere questa fede e dare questa testimonianza, noi così incerti, impauriti, umanamente poco credibili? I dodici e le donne non erano meno incerti e impauriti di noi, ma con la forza del Signore risorto ci sono riusciti. Con la sua forza possiamo riuscirci a che noi, a patto che ci mettiamo la nostra forza. Debole e incerta non importa. Purché ce la mettiamo tutta.

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